Cosa sono i corridoi umanitari?

Nel glossario quotidiano dei mezzi di comunicazione ricorrono espressioni ormai familiari che ripetiamo senza porci troppe domande. Ma ne conosciamo il significato? Chiediamo qualche chiarimento a Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio Politiche Migratorie e Protezione Internazionale di Caritas Italiana
Corridoi umanitari (AP Photo/Jeremias Gonzalez)

Per affrontare il grande tema delle migrazioni è necessario conoscere i termini della questione. Cominciamo con questo articolo intervista un dizionario essenziale sulle migrazioni. Ne abbiamo parlato con Oliviero Forti, responsabile per le politiche migratorie e la protezione internazionale di Caritas Italiana e chair dell’advocacy working group di Caritas Europa.

Da circa 20 anni è particolarmente attivo sui temi riguardanti la mobilità umana. Ha coordinato per alcune edizioni il Dossier statistico immigrazione della Caritas/Migrantes e ha collaborato con università e istituti di ricerca. Attualmente è impegnato soprattutto nei rapporti con le istituzioni e nei programmi internazionali volti all’implementazione di canali legali e sicuri di ingresso dall’Africa e dal Medio Oriente.

Cosa sono i corridoi umanitari?

I corridoi umanitari sono una iniziativa della società civile che presenta al Governo italiano una richiesta formale per reinsediare un certo numero di rifugiati presenti in paesi terzi. A fronte di questo vengono rilasciati altrettanti visti per fare giungere in Italia le persone in fuga dai propri Paesi. E una volta in Italia potranno fare la richiesta di protezione internazionale.

È uno strumento complementare rispetto al resettlment ossia il reinsediamento, che prevede il trasferimento permanente di rifugiati particolarmente bisognosi di protezione in uno Stato terzo pronto ad accoglierli, che offra loro piena protezione e l’opportunità di integrarsi nel Paese. I programmi di reinsediamento sono gestiti dalle Nazioni Unite attraverso UNHCR.

Nel caso dei corridoi umanitari invece l’impegno ad accompagnare e accogliere i profughi è assunto prima di tutto e interamente dalla società civile. Le organizzazioni che promuovono il corridoio umanitario prendono l’impegno di recarsi nei Paesi terzi per svolgere i colloqui con i beneficiari, conoscerli, e quindi inserirli nel programma e accompagnarli nel percorso di inserimento.

Con quale criterio vengono scelte le persone da inserire nel progetto?

I visti che il Governo rilascia purtroppo sono pochi, quindi è necessario privilegiare i più vulnerabili e coloro che avranno maggiori possibilità di integrazione in Italia, quindi vengono inserite nel progetto persone che hanno fragilità evidenti e che non possono essere adeguatamente protette o curate lì dove si trovano.

Quali sono gli elementi peculiari dei corridoi umanitari?

Il corridoio umanitario implica un impegno consistente delle organizzazioni. L’aspetto peculiare è senza dubbio il coinvolgimento delle comunità locali che accolgono e sostengono le persone per un lungo periodo. Caritas Italiana, ad esempio, coinvolge le comunità locali in modo che l’accoglienza non sia solo dare vitto, alloggio e formazione secondo gli standard previsti dalla legge, ma sosteniamo l’inserimento in una comunità locale che accompagna tutto il percorso.

Questo comporta che tutti i costi siano a carico delle organizzazioni che partecipano al protocollo e che pagano il viaggio (tranne alcune eccezioni) e tutto quanto occorre all’accoglienza. Quindi il Governo italiano non contribuisce economicamente per sostenere il corridoio, ma una volta giunte in Italia queste persone potranno usufruire di tutti i servizi pubblici come la scuola e i servizi sanitari.

I corridoi umanitari sono uno strumento di contrasto all’immigrazione illegale?

I corridoi hanno numeri che non sono significativi rispetto alle esigenze di protezione a livello globale, penso all’Afghanistan, al Niger, all’Etiopia dove riusciamo a intervenire con poche centinaia di persone.

I governi italiani sono sempre molto attenti al tema dei corridoi umanitari. Ma è anche vero che è un tema facilmente strumentalizzabile: dire che si combattono gli scafisti con i corridoi umanitari significa non dire la verità perché non possono da soli costituire un deterrente per le migrazioni irregolari.

Invece prevedendo quote più ampie di corridoi umanitari, di resettlement e soprattutto di lavoratori, sicuramente potremo dare una risposta a quella che viene chiamata migrazione mista, perché oggi non è solo chi fugge da guerre che arriva sulle coste ma anche chi cerca un lavoro.

Per chi invece è certamente destinatario della protezione internazionale, i corridoi umanitari sono una risposta, così come i corridoi universitari che già stiamo facendo per consentire ad alcuni giovani di completare i loro studi o come potrebbero essere i corridoi lavorativi per far giungere persone già in parte formate ad un lavoro.

C’è un aspetto di particolare valore e per cui è importante proseguire e potenziare i corridoi umanitari?

Certamente! I corridoi umanitari ci stanno aiutando a cambiare la narrazione delle migrazioni, soprattutto all’interno delle nostre comunità. La scelta di coinvolgere le comunità nello sforzo dell’accoglienza e dell’integrazione non solo aumenta la qualità dell’accoglienza ma rende consapevole la società civile e l’opinione pubblica sul valore dell’accoglienza, di quello che accade in tante parti del mondo di cui si sente parlare solo attraverso i media, e in quindi in modo indiretto. Mentre così conosciamo direttamente le situazioni da chi le vive. Questo è un valore straordinario.

Lo vediamo anche dalla disponibilità che si rinnova ad accogliere altre persone. Adesso sono i nostri territori che ci indicano persone che hanno necessità di essere portate in Italia. Viviamo una stagione in cui la migrazione non è più un fenomeno subìto ma un fenomeno in cui i cittadini possono avere una parte attiva, e questo è un grande valore.

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