Consumatori sì, ma responsabili

Difficile gestire un carrello in mano e un portafoglio in borsa. E così i nostri consumi sono talvolta a livello dello spreco. In barba alla recessione economica di cui tanto si parla. Perché niente sbianca meglio di quel tal prodotto e nessun cibo è più irrinunciabile di quel tal altro. E non si può fare a meno dell’ultima novità del mese e di quell’offerta da sogno. L’ha detto la televisione… quella signora invadente che in genere vorrebbe imporci cosa fare e cosa non fare, a quali acquisti rivolgere il nostro interesse e a quali necessità dare la priorità. Fino a quando, fatti i conti a fine mese, ci si accorge che qualcosa non è poi così indispensabile. Vuoi la crisi economica, vuoi una mentalità diversa che si va acquisendo, i consumi degli italiani non sono più quelli di una volta. E se da un lato occorre fare di necessità virtù, dall’altro qualcosa di interessante bolle in pentola. Come ad esempio il fatto che è in crescita il numero degli italiani che adottano comportamenti di consumo responsabile: dal 2002 ad oggi sarebbero aumentati del 7,5 per cento. Ad evidenziarlo, di recente, è stata un’indagine sul consumo responsabile commissionata dalla Fondazione Cariplo e realizzato dall’Iref (l’Istituto di ricerche educative e formative delle Acli), che ha preso in considerazione varie forme di questo tipo di consumo: il commercio equo e solidale, cioè di quei prodotti alimentari o di artigianato il cui ricavato va effettivamente ai produttori che operano nei paesi poveri; il consumo critico, ossia di quei beni e servizi da imprese che rispettano il divieto di sfruttare il lavoro minorile, non inquinano l’ambiente o devolvono una parte dei loro ricavi a fini di beneficenza…; gli stili di vita basati sulla sobrietà, ovvero le pratiche di consumo caratterizzate da una particolare attenzione al risparmio energetico ed accompagnate dal recupero e dal riutilizzo di beni di cui si è già in possesso; la finanza etica, cioè la sottoscrizione di fondi di risparmio, conti correnti e obbligazioni con un fine etico quali finanziamenti di progetti a carattere sociale o a sostegno dei paesi poveri o per la difesa dell’ambiente. Si sa il consumo non può essere considerato come un fenomeno di natura esclusivamente economica, ma ha anche una valenza culturale e sociale. Pensiamo a quanto esso incida sulla propria identità individuale, quanto sia uno strumento per tessere relazioni sociali, quanto possa esprimere la propria visione del mondo. E pensiamo anche a quanto semplicemente con la lista della spesa potremmo contribuire al benessere della società. È come se ogni volta andassimo a votare sul comportamento delle imprese, premiando quelle che si comportano bene e punendo le altre. Una sorta di rivoluzione silenziosa che, alla lunga, dovrebbe dare i suoi risultati. Certo, perché ciò sia possibile occorre, prima di comprare una qualsiasi merce, conoscere il comportamento delle aziende che la producono, ponendosi alcune domande sull’eventuale inquinamento ambientale prodotto o sullo sfruttamento di manodopera minorile, oppure se la tecnologia impiegata sia ad alto o a basso consumo energetico, se sono stati prodotti veleni durante la fabbricazione, se i lavoratori sono stati ben pagati oppure no, se ci sono stati illeciti finanziari, collusione con regimi dittatoriali… Se poi non bastasse il consumo critico, ecco un’arma ancora più efficace: il boicottaggio, quel tipo di azione straordinaria che interrompe temporaneamente in maniera organizzata l’acquisto di un prodotto per indurre le aziende produttrici a cambiare comportamento. Adottare il consumo critico può essere vissuto come uno strumento di coerenza personale per non compromettersi con metodi contrari alla propria coscienza, ma diventa più efficace se usato come mezzo di condizionamento delle imprese. Per questo è fondamentale, ad esempio, comunicare alle aziende i motivi per i quali si è deciso di comprare o di non comprare i loro prodotti. L’esperienza dimostra che dove i consumatori si fanno sentire, le imprese sono disposte a cambiare, se non altro perché non vogliono perdere quote di mercato. Negli Stati Uniti, ad esempio, la pressione dei consumatori e dell’opinione pubblica ha indotto multinazionali famose come Levi’s e Reebok ad adottare un codice di comportamento per il rispetto dei diritti dei lavoratori del sud del mondo. In Europa, la catena svedese di supermercati Ikea ha deciso di vendere solo tappeti prodotti da aziende che garantiscono di non aver utilizzato lavoro minorile. E dal 15 al 23 ottobre prossimo Io faccio la spesa giusta, la settimana per il commercio equo e solidale promossa da Fairtrade TransFair, il marchio di certificazione di questi prodotti. Coinvolgerà tremila punti vendita della piccola, media e grande distribuzione e del dettaglio biologico, con promozioni e iniziative tutte all’insegna dell’equosolidale. Saranno impegnati testimonial di primo piano del mondo della cultura, dello sport, del cinema a dire che la scelta di solidarietà nei confronti dei piccoli produttori del Sud del mondo può incidere effettivamente sulle vite di migliaia di persone. Non mancheranno incontri pubblici e dibattiti che avranno per protagonisti proprio loro, i produttori, testimoni di come sia possibile costruire rapporti commerciali più giusti. La prima edizione del 2004 ha coinvolto un milione circa di consumatori che hanno scelto di provare i prodotti certificati e che hanno continuato a sceglierli anche durante l’anno, contribuendo così a creare ulteriori occasioni di sviluppo per i piccoli produttori. I punti vendita coinvolti nell’iniziativa (Coop, Conad, GS, Famila, Naturasì, B’io) in questa settimana offriranno ai propri consumatori la possibilità, di conoscere il commercio equo attraverso azioni di sensibilizzazione e promozione. In contemporanea, le Librerie Feltrinelli di Milano, Bologna, Firenze, Roma e Napoli ospiteranno incontri e iniziative con i produttori e i testimonial della campagna. Sul sito di TransFair (www.transfair.it) sarà possibile consultare l’aggiornamento completo degli eventi che si succederanno durante la settimana e l’elenco dei punti vendita che hanno aderito a Io faccio la spesa giusta. Comunque, la spesa giusta potremmo cercare di farla tutto l’anno. SCEGLIERE IL BENE L’indagine Iref-Acli evidenzia che la crisi economica non frena il consumo etico. I consumatori responsabili sono, in primo luogo, fruitori del commercio equo e solidale (56 per cento).A seguire, in netta crescita rispetto al 2002, coloro che adottano stili di vita sobri, che ormai coinvolgono un italiano su due a dimostrazione di una maggiore consapevolezza delle conseguenze negative di una crescita illimitata dei consumi, in particolare nei confronti dell’ambiente. La principale motivazione che induce i cittadini ad adottare comportamenti di consumo responsabile è da ricondurre alla convinzione che il consumo ed il risparmio debbono avere un fine sociale (45 per cento). Ma qual è, più in generale, l’atteggiamento dei cittadini italiani verso il consumo in senso lato? La ricerca dell’Iref individua e propone tre diverse tipologie di consumatori: i tradizionalisti, i narcisisti e quelli etici. La prima tipologia è la più numerosa (47 per cento del campione). Il consumo è per loro essenzialmente un modo per procurarsi il necessario. Prezzo, robustezza e facilità d’uso sono gli aspetti del prodotto privilegiati per orientare l’acquisto. Il consumo responsabile è pressoché sconosciuto da questa categoria di consumatori con reddito tendenzialmente basso, preoccupati come sono di non riuscire a risparmiare, ma anche motivati da un’etica del risparmio legata soprattutto all’età per lo più anziana. La seconda tipologia è quella dei consumatori narcisisti (37 per cento del campione). Sono coloro che utilizzano i beni soprattutto come strumenti per costruire la propria immagine e trasmetterla agli altri e dunque poco interessati alle pratiche di consumo responsabile. I consumatori etici costituiscono il 16 per cento della popolazione. Per questo tipo di persone è essenziale disporre delle informazioni che consentano di realizzare gli acquisti nel rispetto delle proprie convinzioni, evitando in tal modo di sostenere economicamente un’impresa di cui non si condividono le strategie aziendali o governi antidemocratici. Per questo fanno ricorso abbondante ai canali offerti dalle nuove tecnologie, Internet soprattutto, nutrendo un’aperta diffidenza verso la pubblicità commerciale, ma anche nei confronti del mercato e delle principali istituzioni economiche. A questo stile di consumo corrisponde, più in generale, uno stile di vita caratterizzato da un forte attivismo civico, soprattutto nelle forme alternative della mobilitazione e dell’adesione al mondo del non profit (promozione sociale, volontariato, donazioni, collette alimentari). Un impegno, dunque, a tutto campo.

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