Col linguaggio della bellezza

Nel salone di Palazzo Ginnasi nel centro di Roma, dove ha sede la Turris Eburnea, le sedie disposte ai lati di una passerella cominciano ad essere occupate da ragazze, adolescenti per lo più; poche le persone adulte; qualche ragazzo. Quanto a me, mi sento un po’ come un pesce fuor d’acqua: è infatti la prima volta che mi capita di assistere ad una sfilata di moda. Mentre una musica rock si diffonde sotto le volte affrescate, cominciano a sfilare le prime indossatrici: sono giovani normali, sorridenti, senza l’aria sofisticata che circonda di solito le top model. Armoniosi nei colori e nelle linee moderne gli abiti presentati. Mi aspettavo le stranezze, se non gli eccessi, di certe sfilate viste in tv, e invece ecco uno spettacolo nel quale la grazia delle indossatrici valorizza l’abito e viceversa. Due studentesse universitarie si alternano nel presentare i modelli della collezione primavera-estate. Di tanto in tanto interrompono la sfilata per una breve intervista alla ragazza di turno: riguarda temi come l’amicizia, l’amore, le aspirazioni e le difficoltà proprie dei giovani. Anche nelle risposte predomina la naturalezza, la spontaneità. Il messaggio è appena accen- nato, quasi un lampo di luce che invita a saperne di più. Alla fine, un buffet nel quale raggiunge l’apice il clima familiare già stabilito. Le ragazze si mescolano agli ospiti, rispondendo alle loro domande. Senza più indosso i modelli nei quali si esprimeva la luminosità interiore della loro giovinezza, sono tornate quelle che in realtà sono: studentesse o impiegate che hanno offerto volontariamente parte del loro tempo libero. Di fronte a questa metamorfosi, mi viene da pensare ai brani del Vangelo riguardanti i gigli del campo, l’abito nuziale della parabola, le vesti risplendenti di Gesù trasfigurato, la sua stessa tunica tessuta tutta d’un pezzo; e poi, nell’Apocalisse, la Donna vestita di sole, le vesti candide degli eletti… dove l’abito è più di una protezione necessaria, ma dice una realtà, l’essenza di chi lo porta. L’esperienza merita approfondimenti. Ne parlo pertanto con Madin d’Osasco, che insieme a Gabriella Costa anima questa sede romana dell’associazione. Come è nata questa realtà? Da una intuizione di don Michele Peyron, che nella Torino fine anni Trenta aveva rinunciato ad una brillante carriera di avvocato per il sacerdozio. In un’epoca in cui ancora non si parlava di crisi della famiglia, aveva intuito tutta l’urgenza di far scoprire ai giovani l’amore vero e fornire loro le basi per realizzare un matrimonio che duri tutta la vita. Chiamato poi dal suo arcivescovo, il cardinal Fossati, ad essere cappellano dell’alta moda per rispondere ad un’esigenza espressa da papa Pio XI, don Peyron aveva cominciato a frequentare atelier di moda incontrando sarte e mannequin.A queste ragazze, molte volte cercate solo per la loro bellezza esteriore, risultava prezioso il consiglio di un sacerdote preparato sulle problematiche riguardanti l’affettività. Intanto, attorno a lui, si andava formando un gruppo un po’ originale di giovani con i quali organizzava piccoli spettacoli di moda a Torino e dintorni: era il primo seme della Turris Eburnea, che avrebbe fondato il 27 aprile del 1941. Appena ha potuto dedicarsi a tempo pieno alla nascente opera, don Peyron ha speso ogni sua energia per aiutare le ragazze a prendere coscienza della missione della donna nella famiglia e nella società. E per questo ha girato tutti i continenti, incontrando centinaia di migliaia di giovani. Le cose si sono sviluppate con l’incoraggiamento di Pio XII prima e soprattutto di Paolo VI poi. Dopo Torino, sono nati centri anche a Genova e a Roma, e adesso sta cominciando quello di Milano. La testimonianza sul valore della femminilità, sull’amore vero, su una bellezza soprattutto interiore ma che ben si può esprimere attraverso quella esteriore, è ciò che ci caratterizza. Comunque siamo una realtà ancora molto piccola nella Chiesa. Questa, in sintesi, la vostra storia. E la tua personale? Sono nata a Genova. Verso i 17-18 anni, cercavo di capire cosa volesse il Signore da me: mi sentivo infatti chiamata a dargli tutto, anche per ricambiare quanto avevo ricevuto sia dai miei e sia da chi mi aveva aiutato a fare un cammino di fede. A quell’epoca frequentavo diversi gruppi, tra cui i giovani dei Focolari; e da questa esperienza ho ricevuto moltissimo, anche grazie all’amicizia con Alberto e Carlo, i due gen per i quali si è aperta la causa di beatificazione. Lì ho capito il fascino della santità alla quale tutti siamo chiamati. Conoscevo don Peyron in quanto la sua famiglia e la mia erano amiche, e avevo anche dato il mio contributo in qualche sfilata. Ad un certo punto, dopo un periodo di buio assoluto, mi si è chiarito ogni dubbio e ho capito che il mio posto era qui. Per cui – era l’84 – da Genova sono venuta a Roma per dirlo a don Peyron, il quale in realtà già mi aspettava. Da allora ho potuto stargli vicina fino al momento della sua partenza per il cielo, avvenuta a 87 anni nell’ottobre del ’93. E posso dire di aver visto in lui una fede davvero fuori dal comune e una grande passione per i giovani . E la scelta del nome? Questo nome, che è tutto un programma, gli è stato suggerito da un discorso di Pio XII ai giovani. Il papa aveva indicato loro la fortezza e la purezza come virtù indispensabili per vivere una giovinezza veramente cristiana. Da qui l’idea di scegliere tra le litanie della Madonna quella in cui è invocata come Turris Eburnea, la torre d’avorio, simbolo appunto di fortezza e di purezza. Immagino che per un’opera così nuova nella Chiesa le difficoltà non siano mancate… Naturalmente! Insieme ai consensi e agli incoraggiamenti di anime grandi come don Giovanni Calabria, abbiamo incontrato anche ostacoli enormi. Don Peyron ha sofferto molto non vedendo capito questo tipo di apostolato. L’importante, diceva, non è essere conosciuti, aspettarsi il successo, ma mettere radici profonde perché l’albero si sviluppi verso l’alto; e questo comporta anche saper marcire sottoterra, lavorare nel silenzio per il regno di Dio… Tutta la nostra storia ci ha insegnato che solo passando attraverso l’amore a Gesù sulla croce si può portare frutto. La Turris Eburnea è completa come la pensava il fondatore? Nelle sue linee essenziali l’ha vista realizzata. Tuttavia ha lasciato al suo attuale successore don Antonio d’Osasco il compito di sviluppare e di definire meglio questo carisma. Al momento parlerei di cerchi concentrici di amici che nella libertà e nella gratuità, a seconda delle possibilità e della generosità di ciascuno, offrono il loro tempo e le loro energie. Al centro c’è un piccolo gruppo di persone che si dedicano a tempo pieno. Chi cura la creazione dei vostri modelli? È una bella domanda! Nessuna di noi ha seguito studi specifici in questo senso (io per esempio ho studiato come assistente sociale) per cui ci siamo fatte l’esperienza sul campo. Le collezioni sono ideate e confezionate in proprio, con il contributo di alcune sarte retribuite. Inoltre non sono in vendita e non si reclamizza nessuna sartoria: don Peyron ha sempre voluto testi- moniare la bellezza della gratuità e del disinteresse, appoggiandosi unicamente su contributi quasi sempre anonimi. So che fate sfilate anche all’estero. Cosa c’è dietro ogni viaggio? C’è tutta una storia di sacrifici e di fiducia nella provvidenza, il nostro vero sponsor: infatti non chiediamo niente a livello economico, ma solo che qualcuno sul posto organizzi la propaganda e il teatro, mentre provvediamo noi alle spese di viaggio e di soggiorno. Non di rado capita di portare la nostra testimonianza pure in Paesi dove la Chiesa cattolica è in grande difficoltà, mentre davanti alla moda le porte sono aperte. In ogni trasferta, normalmente è un seminare una tantum, e poi tornare indietro. Ma anche così è già qualcosa poter dare ai giovani, spesso sfiduciati e feriti nella loro affettività, la certezza che l’amore vero esiste, che è possibile costruirlo, cosa che però richiede un cammino di preparazione. Non mancano attività di altro genere… Certo, anche perché le sfilate si concentrano in due periodi: primavera e autunno. Durante gli altri mesi, nelle nostre sedi o presso scuole, parrocchie e luoghi di aggregazione vari, organizziamo, sempre per le ragazze (l’età va dai 13 ai 25 anni circa), incontri, interviste, dibattiti attinenti l’amore. Si trattano, con l’ausilio di esperti, temi di psicologia maschile e femminile, si illustrano (è il mio caso) i metodi per la regolazione naturale della fertilità e la conoscenza di sé, si proiettano videocassette sul miracolo della vita e sull’aborto, si incontrano coppie di sposi che testimoniano gioie e difficoltà della vita a due. E inoltre organizziamo pranzi, cene e, d’estate, vacanze in un clima di amicizia e di svago, ma anche di lavoro, per maturare la formazione personale. Naturalmente la sfilata di moda è la cosa più originale, il nostro biglietto da visita che ci offre l’occasione per un primo contatto con le ragazze. E lì già passa un grande messaggio, perché la donna parla anche attraverso il suo modo di presentarsi, di vestirsi. Laddove poi esiste una nostra sede, è possibile fare con alcuni un cammino di formazione, e con loro cercare poi il dialogo con altri giovani. Vedo che anche dei ragazzi in qualche modo sono coinvolti… Don Peyron diceva che la Turris Eburnea non è completa se non ci sono anche dei ragazzi: così come le ragazze hanno influenza su di loro, allo stesso modo la testimonianza (ad esempio sulla purezza) data da un ragazzo colpisce tantissimo le ragazze. Chi è più portato per le cose tecniche si può occupare del mixer, della telecamera, di fare le fotografie… cioè troviamo dei ruoli nei quali coinvolgere anche i ragazzi. A volte, infatti, è uno di loro a presentare la sfilata insieme ad una partner: in tal modo il discorso appare più completo. Oreste

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