Conoscere Giorgio La Pira, la politica dopo Hiroshima

Giorgio La Pira (1904-1977) è mosso da una istanza religiosa, ed è un uomo libero, che fa propria – come afferma Aldo Capitini - una fede religiosa che ha tagliato ogni legame con il potere economico e politico. La Pira vive il Vangelo “sine glossa”, come Francesco di Assisi. Vede la distruzione di Hiroshima (e potenzialmente la distruzione di ogni città), come il culmine di un’epoca, che prelude alla fase finale e nuova della storia, che pone l’umanità sul crinale apocalittico: la minaccia nucleare e la collera dei poveri da un lato, la via della pace dall’altro.
Giorgio LaPira, foto Wikipedia

Giorgio La Pira (Pozzallo, 9 gennaio 1904 – Firenze, 5 novembre 1977).  Alcune tracce di approfondimento elaborate per un seminario di studio su Guerra, politica ed economia, promosso presso il monastero di Camaldoli (AR) dal gruppo di lavoro Economia disarmata promosso dal Movimento dei Focolari in Italia.

Dopo il periodo dell’adolescenza trascorsa tra Pozzallo e Messina, in cui La Pira si entusiasma per gli ideali di Marinetti e del Futurismo, che inneggiano al valore della forza e della guerra, a vent’anni matura una conversione, che ha il suo culmine con la Pasqua del 1924. È una conversione religiosa, che avrà però immediati effetti nella sua visione sociale e di conseguenza politica.

La Pira diviene uomo di Pace e antifascista. Arriva a Firenze all’età di 22 anni per laurearsi in Diritto Romano. Resterà a Firenze, inserendosi in molti ambienti. Prende ufficialmente posizione contro la guerra di Etiopia (1935-1936), sulle pagine della Rivista cattolica “Il Ragguaglio…”. E nel 1939 fonda la rivista Principi.

La Pira iniziò la pubblicazione di Princîpi nel 1939, come lui afferma :  «all’alba dell’anno in un certo senso più determinante e tragico di ‘svolta apocalittica’ del ‘nuovo corso’ della storia […] del mondo intero”[1]. […] Principi nacque perché nella crisi paurosa delle idee (dei ‘principi’: si pensi alla dottrina dell’odio, delle razze inferiori e superiori etc.) sentimmo la necessità di rifarci a ‘punti fermi’ immutabili che, come stella polare, come stelle fisse, ridessero orientamento sicuro, di speranza, alla nostra vita personale e collettiva».

In Italia erano appena state promulgate le Leggi razziali, che stabilivano che alcuni cittadini non erano più pienamente tali e non avevano i diritti degli altri. Il professor Cammeo, ebreo, suo amico e collega universitario, morì per questo e la sua famiglia si consumò ad Auschwitz.

Con Princîpi La Pira non accusava nessuno: volava alto, invece, recuperando gli scritti della classicità, della Bibbia, dei Padri della Chiesa, che ruotavano intorno alla dignità dell’Uomo e alla centralità della Persona umana, alle libertà, all’uguaglianza, alla giustizia, al valore del lavoro umano, ai diritti sociali e allo Stato come loro garante. Egli sottolineava, inoltre, il valore della pace come meta definitiva dell’umanità, spiegando l’illegittimità della guerra di aggressione.

Princîpi, evidentemente, non piacque al Regime fascista, poiché colpiva alla radice il totalitarismo e così, nell’aprile del 1940, dopo poco più di un anno dalla stampa del primo fascicolo, ne fu soppressa la pubblicazione.

Ma con quel foglio era stata realizzata un’eccezionale ope­razione culturale, poiché in esso si ritrovavano di fatto i contenuti dei “Princîpi” Fondamentali della Carta Costituzionale italiana.

Osservando i complessi e spesso tragici avvenimenti internazionali, La Pira li interpretava ripetendo le parole di San Paolo “Sperare contro ogni speranza”. La sua fede nella permanente azione di Dio per la vita del mondo, gli faceva cogliere il senso ultimo della storia e lo orientava nella sua infaticabile opera di costruttore di pace, che svolgeva non in modo ideologico e disincarnato, ma attraverso la concretezza e la lungimiranza dell’azione.

La Pira è mosso da una istanza religiosa ed è un uomo libero che fa propria – come afferma Aldo Capitini – una fede religiosa che ha tagliato ogni legame con il potere economico e politico. La Pira vive il Vangelo “sine glossa”, come Francesco di Assisi.

Dossetti dice di lui: «La Pira fu antifascista, non solo di sentimenti ma anche in modo manifesto. Di un antifascismo non dell’ultima ora, ma originario, coevo al suo cristianesimo, quindi non fazioso, mai rancoroso, bensì fondato su motivazioni profonde e radicali …: perciò un antifascismo obiettivo e sereno e quindi valido in ogni tempo». (Pref. di G: Dossetti in G. La Pira, Il fondamento del Progetto …, p.VII. In M. Luppi, G. La Pira dalla Sicilia a Firenze, p.144)

Sebbene sempre Uomo di Pace, c’è una visione precedente e una successiva di La Pira sulla Guerra? Io credo di sì e qual è lo spartiacque? Questo mi pare emerga dal libro di Massimo Toschi.

Anzitutto occorre riandare a leggere le pagine di Principi e poi occorre leggere il testo Il Sentiero di Isaia (edito nel 1978 con la prefazione di Gorbachov; La Pira muore nel 1977), in cui si riprendono molti interventi di La Pira, quasi tutti compresi in: G. La Pira: unità, disarmo e pace, Cultura nuova Ed., FI 1971, volume curato dallo stesso La Pira.

Si comprende che lo spartiacque è la Bomba atomica. Con la distruzione di Hiroshima e di Nagasaki cambia tutto! Con la guerra si può distruggere il genere umano.

Venendo agli anni di Principi, La Pira giustifica come estrema ratio, l’uso della guerra, che definisce sempre ingiusta, sebbene ragionevole e necessaria di fronte a gravi aggressioni di guerra a determinate condizioni; condizioni quasi impossibili, ma ammissibili, che riporta in 5 punti in Principi (op. cit.), alle pagine 161-163.

La Guerra, afferma, può essere: «Terribile necessità di fronte alla ferocia e all’eliminazione di interi popoli» . «La guerra ha perciò, purtroppo, il suo posto nel quadro della morale cristiana. È uno strumento talvolta indispensabile di difesa». (In Principi, Cit., pp. 220 e anche 209-212)

La Pira dunque riprende qui la visione medioevale di Sant’Agostino, di San Tommaso e della Scolastica, sulla necessità della Guerra di difesa.

Ma dopo Hiroshima cambia prospettiva.La pace è inevitabile”, pena la distruzione reciproca e totale. Fa una riflessione sul perdono, pensando alla tragedia dell’Olocausto: «Da quella crocifissione di un popolo intero doveva maturare per il futuro un tempo nuovo, un tempo che mai più avrebbe dovuto scegliere il fratricidio e la guerra». (Cfr. Fioretta Mazzei, Cose viste, lette e ascoltate …, p.60)

La Pira, dopo l’esperienza della Costituente, e come Sottosegretario al Lavoro (Ministro del Lavoro Fanfani e Presidente del Consiglio De Gasperi), sceglie di fare il Sindaco di Firenze. E sebbene si occupasse attivamente della diffusa povertà cittadina e della ricostruzione di una città pesantemente ferita dalla guerra, la sua politica assunse subito una dimensione planetaria.

Diventò elemento di punta della politica estera italiana, promotore singolare e instancabile di dialogo e di pace. Le città – diceva – hanno una vita propria e non possono morire: Occorre unire le città per unire il modo. Inventa i Gemellaggi (Il primo fu tra Firenze e Fes, nel Marocco)

Vide la distruzione di Hiroshima (e potenzialmente la distruzione di ogni città), come il culmine di un’epoca, che prelude alla fase finale e nuova della storia, che pone l’umanità sul crinale apocalittico: la minaccia nucleare e la collera dei poveri da un lato, la via della pace dall’altro.

Dunque, l’attenzione di La Pira alla dimensione internazionale della politica e dei rapporti tra i popoli fu costantemente orientata alla co­struzione della pace che, pur avendo come fulcro l’Europa (nel ’49 si era infatti espresso contro l’adesione alla NATO per valorizzare un’autonomia e un’unità dell’Europa, che allora si considerava tale fino agli Urali), chiedeva, parimenti, la partecipazione attiva di tutti.

Indubbiamente La Pira ha rappresentato un ponte tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud, attraverso un’azione infaticabile, di formidabile attualità.

Anche la visione lapiriana del Medio Oriente e di Gerusalemme, (espressa attraverso un’azione lun­gimirante, numerose lettere e molti viaggi in Egitto, Siria, Algeria, Marocco, Tunisia, Libano, Giordania, Israele), potrebbe ancora oggi rappresentare un preciso sentiero verso la pace di fronte ai nuovi conflitti e alla preoccupante escalation di violenza internazionale dei nostri giorni.

Da vero realista, La Pira sapeva che la guerra è sempre inutile strage e che la violenza non è mai in grado di garantire la pace. La Pira sapeva che il futuro non si improvvisa e che le piaghe degli errori storici sono lente da rimarginare. La sua azione, sempre programmata, colse particolarmente nel Mediterraneo una precisa vocazione alla pace: l’occasione d’incontro tra i popoli delle sue rive, popoli che appartengono a tre grandi civiltà e che, se posti in dialogo, possono aprire a un percorso storico nuovo, a un “nuovo umanesimo possibile”[2].

Scriverà anche a Yasser Arafat, capo dell’OLP:

«a) Stato di Israele; b) Stato palestinese; c) Stati arabi! Questo triangolo – se attuato – sarà la premessa e quasi il fondamento del “negoziato triangolare” mondiale: 1) USA; 2) URSS; 3) Cina e Terzo mondo! Io penso Signor Arafat, che siamo davvero all’alba di una storia nuova – salto di qualità – e di una politica mondiale nuova: questa storia nuova e questa politica nuova “partono da Gerusalemme” […]»[3].

La Pira si adoperò nella costruzione della pace anche cercando di far uscire la produzione delle armi dalla stessa logica degli investimenti e del mercato.

Propose una politica di riconversione delle industrie belliche in fabbriche per uso civile; ciò riprendendo il “Sentiero di pace profeticamente indicato da Isaia: trasformare le spade in falci, le lance in aratri” (Isaia 2,4), al quale spesso faceva riferimento[4].

E lo fece sapendo che si può essere nel vissuto operatori di pace solo se si è pa­cifici nel cuore!

Trovandosi in una chiesa di Roma, il giorno dell’Epifania del 1951, Giorgio La Pira consacrò la sua vita alla pace tra i popoli e tra le nazioni di tut­ta la terra.

Tutte le iniziative politiche prese di persona dopo quella data in tutte le nazioni belligeranti (in Israele e Palestina, in Algeria, in Vietnam, in Cile e nelle trattative internazionali per il disarmo e la denuclearizzazione) sono adempimenti di questo voto[5].

Sentiamo La Pira:

«Era appena scoppiata la guerra di Co­rea, 1950. Il mondo aveva davanti a sé la prospettiva di una nuova guerra più terribile e distruttiva della precedente. Sullo sfondo c’era la bomba di Hiroshima. All’inizio del 1951 ero a Roma per partecipare ad una riunione, presso Einaudi per il soccorso invernale. Partecipava a quella riunione anche Bitossi. Il giorno dell’Epifania, andai a sentire la Messa alla Chiesa Nuova. Vi si celebrava la “Messa delle Nazioni”. Ne fui colpito. Sapevo che, in quei giorni, Togliatti e Longo erano a Mosca. Uscendo dal Quirinale dissi a Bitossi, come me allarmato della gravità della situazione: “Togliatti e Longo sono a Mosca, bisogna approfittarne per fare qualcosa. È urgente fare qualcosa: sono certo che questo sia anche il pensiero del Papa”. Bitossi non perse tempo, ne informò subito Togliatti invitandolo a premere sui sovietici perché cercassero un dialogo con la Santa Sede. Cosi lui aveva interpretato quello che gli avevo detto. La sera stessa, informai il sostituto Se­gretario di Stato, Montini, di quello che avevo detto a Bitossi. … Stalin ebbe da Togliatti le notizie che ho detto e rispose scioccamente: si rivolgano ai partigiani della pace, o qualcosa del genere. Divenuto sindaco di Firenze, nel 1951, pensai di interpretare le ansie di tutti i cristiani e non cristiani, mettendo la città al servizio della pace».

Nel 1963, interviene, ribadendo la sua visione di Firenze come città promotrice, per vocazione, di dialogo e di pace:

«Le prossime elezioni politiche ed amministrative fiorentine sono certamente condizionate dal fatto che si accetti o non si accetti – senza riserve e con tutte le implicazioni che ciò comporta – la tesi di Firenze città della pace e del dialogo: la tesi cioè, già sperimentata in questi anni, secondo cui la missione storica di Firenze è oggi quella di essere la città che ha tutte le porte aperte: quelle dell’Est, quelle dell’Ovest, quelle del Nord e quelle del Sud: aperte per permettere – senza necessità di ‘visti’ – ai popoli di tutto il mondo di ritrovarsi insieme per iniziare insieme e proseguire insieme la grande edificazione della nuova e fraterna casa degli uomini»[6].

La Pira mantenne innumerevoli relazioni e corrispondenza con svariate personalità: una di queste fu Thomas Merton, con cui ha una sintonia straordinaria nella visione del mondo e della pace: pensiamo solo alla locuzione, diffusamente nota, “Il crinale apocalittico”. I due rimasero in contatto dal 1962 fino alla morte di Merton, avvenuta nel 1968.

Si lavorava intensamente per scongiurare la catastrofe e per costruire il futuro, per “abbattere i muri e costruire ponti”. Altra locuzione lapiriana.

Scrive a Merton il 2 luglio 1965: “Caro Padre Merton, il Senatore (Robert) Kennedy al quale inviai il 15/6 questa lettera ha risposto (…): è una risposta che apre l’anima alla speranza. (…) Ho fatto conoscere il suo “passo” sullo schema 13 a personalità responsabili della Chiesa: penso che questo “passo” sarà molto efficace. (…) A Firenze noi lavoriamo molto per questo grande problema del disarmo e della pace (…): è del resto il messaggio di Giovanni XIII e del Concilio. Pacificare, unire, civilizzare il mondo (…) Ci autorizza a pubblicare noi, su una rivista fiorentina, l’articolo sul “suicidio globale” (…) ? (…)”.

Ancora La Pira: «Questa convinzione sempre più diffusa e diffondentesi che non vi è alternativa alla pace, all’unità e al negoziato globale, è una delle grandi correnti sotterranee che governano il moto della storia. Un’altra si individua nel fatto che i problemi umani stanno gradata­mente superando il limite terrestre. Vi è una frase di Lenin che voglio ricordarle. Questa: «Tutte le concezioni umane sono alla misura del pianeta; sono basate sulla presunzione che il potenziale tecnico non supererà mai il limite terrestre. Se arriveremo a stabilire comunica­zioni interplanetarie, bisognerà rivedere le nostre concezioni filoso­fiche, sociali e morali. In questo caso, il potenziale tecnico, ormai illimitato, imporrà la fine della violenza come mezzo e come metodo di progresso. Siamo su questa strada, chi non lo vede?»

Mikhail Gorbachov scrive nella prefazione al libro di La Pira Il Sentiero d’Isaia (Firenze, 1978, Cfr. p. 5 e p. 7):

«Le idee del professor Giorgio La Pira, pensatore profondo, ma anche uomo di azione politica e sociale, ci erano note anche prima. Siamo sempre stati a conoscenza delle sue iniziative come uomo di pace. […] Quali sono gli strumenti di questa politica? [n.d.r. : la politica che cerca nelle altre politiche ciò che può unire]. La risposta di La Pira è del tutto in sintonia con il mio nuovo modo di pensare (anche se La Pira dà questa risposta nel 1977, e cioè quasi dieci anni prima che i suoi principi fossero accolti anche nel nostro Paese): “la scelta definitiva della pace e quindi della giustizia e dell’unità presuppone come unici strumenti adeguati il dialogo, il negoziato, l’accordo”. […] il vero senso della coesistenza pacifica presuppone il disarmo e lo sforzo congiunto volto a promuovere lo sviluppo di tutti i Paesi […] e perciò richiede la collaborazione fra tutti gli Stati».

E oggi?

Crollato il Muro di Berlino, finita la Guerra Fredda, scomparsa l’Unione Sovietica, ci si era illusi che una nuova era di pace sarebbe incominciata e che gli ingenti investimenti per le spese militari sarebbero stati orientati per contrastare fame, povertà, malattie…  Invece, eccoci dentro uno scenario planetario che vede l’aumento dei conflitti.

Molte guerre dopo il crollo del Muro di Berlino sono dovute prevalentemente alla tracotanza di chi ha tentato di governare il mondo, per stabilire unilateralmente un determinato Ordine economico mondiale.

Se l’azione per il disarmo generale e completo è il primo punto di partenza per raggiungere la coesistenza pacifica, alla politica del disarmo è strettamente connessa la politica del “bene comune” a dimensione planetaria. Qui sta l’insegnamento e l’azione di La Pira.

Si pensi alla sua visione economica espressa nel Saggio L’attesa della povera gente, nella cui premessa valutava la dimensione planetaria, partendo dalla realtà dei più deboli:

«Quali sono le dimensioni mondiali della povera gente? Ecco una domanda che si impone, come preliminare, a chiunque voglia, con senso di responsabilità avere una visione quanto è possibile in­tegrale della situazione economica, sociale, politica e, di riflesso, cul­turale, religiosa e ‘storica’ del mondo […]»[7].

[1]La Pira, G. in «Princîpi», Introduzione alla riedizione anastatica, 1975.

[2]Si veda il  Messaggio a tutti gli amici lontani e vicini, Congresso mediterraneo della Cultura, Palazzo Vecchio, ottobre 1958.

[3] Lettera ad Arafat, 26 agosto 1970; ivi. p. 287.

[4]Si veda: La Pira G., Il sentiero di Isaia, Cultura nuova ed., III ed., Firenze 1996; prefazione di Mikhail Gorbaciov.

[5]In: Peri, V ., Spiritualità e progetto culturale,Atti del convegno, Casa San Bernardo, Roma,  10.11.2000.

[6]In: Giovannoni G. e G., De Siervo U. (a cura di), Giorgio La Pira Sindaco, vol. III 1061-1965, Cultura nuova ed., Firenze 1989.

[7]La Pira G., L’attesa della Povera Gente, in: «Cronache Sociali», 15 aprile 1950.

 

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