Cento anni di New York sotterranea

Come un gigantesco polipo sotterraneo la metropolitana di New York snoda i suoi tentacoli sotto le strade e gli edifici della Grande Mela. Costruendo una vera e propria città sotto terra, che forma un tutt’uno con la città che sta sopra. In un certo senso, ne è il cuore, che batte nascosto sotto coltri d’asfalto e di roccia. In un altro senso, ne è il riflesso: la città si specchia nella sua metropolitana, come i pini in un lago di montagna. Certo, lì sotto non si vede il cielo, che a New York può regalare spettacoli mozzafiato: quando al tramonto si staglia elegante, facendo da sfondo ai grattacieli scintillanti; o quando verso Natale si colora di quel blu carta-dazucchero così particolare che avvolge la metropoli come uno pacco regalo. Certo, là sotto non c’è il cielo, ma c’è quello che rende così unica e preziosa New York: la sua gente. Ora è tempo di festeggiamenti. Il 27 ottobre, la metropolitana di New York ha compiuto 100 anni. Non è certo la metropolitana più vecchia del mondo (quelle di Londra e di Boston sono più antiche), ma è la più estesa. Forse la più leggendaria. Il primo tragitto, inaugurato il 27 ottobre 1904, consistette in una corsa di 26 minuti: dal municipio di New York, fino alla 145° strada, proprio nel cuore di Harlem. Da allora i newyorkesi la battezzarono subway, nome che porta ancor oggi. La realizzazione della metropolitana di New York, orgoglio dell’allora presidente Roosevelt – newyorkese di nascita – fu resa possibile grazie al de- naro del banchiere August Belmont, che per realizzare l’impresa rischiò la propria fortuna, e al genio e alla determinazione dell’ingegnere William Barclay Parsons. Oggi la subway è un vero colosso. È l’unica metropolitana al mondo che funziona 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Ha 450 stazioni e 28 linee che si snocciolano sotto i quartieri di Manhattan, Brooklyn, Bronx, Queens, fino al Long Island. Ha una flotta di 6400 treni, che corrono nei cunicoli sotterranei o sui ponti di metallo, lungo i quali sono stati posati più di 1.100 chilometri di binari. Ogni giorno 4 milioni e mezzo di persone usano la rete metropolitana: una vera grande città che si crea, si compone, fluttua e si disperde quotidianamente. New York non sarebbe stata possibile senza la sua subway, che è cresciuta con la città, e ha contribuito a farla crescere, facendo nascere nuovi quartieri e nuove abitudini di vita. Certamente, la subway ha molti difetti. È un sistema immenso, per molti versi antiquato. È spesso congestionato: nelle ore di punta è una vera lotta salire su un vagone o immettersi nelle grandi scale mobili che collegano le linee più sotterranee ad altre linee o alle stazioni. In certe parti della città la metropolitana è sporca, l’aria quasi soffocante. E le corse non costano poco. La subway ospita un grande numero di persone che vivono di espedienti, di elemosina. Poveracci di ogni etnia che dormono su cartoni o avvolti di stracci nelle stazioni sotterranee. Donne senza dimora che vivono trascinando i loro averi su un carrello da supermercato. E poi, piccoli criminali che imperversano in alcune stazioni, contro i quali l’ex sindaco Giuliani aveva instaurato la tolleranza zero. I difetti sono proprio tanti. Ma la subway ha anche un suo fascino particolare. I newyorkesi usano un’espressione: non giudicare frettolosamente New York, lascia che ti cresca sulla pelle. Così è per la subway. Se la conosci, cominci ad amarla. La metropolitana genera incontro, a volte grazioso a volte un po’ rude, ma pur sempre incontro: è lo specchio di quell’enorme melting pot (crogiolo di popoli) che è New York. Nei suoi vagoni s’incontra gente d’ogni parte del mondo, si parlano e si leggono le lingue più svariate. Nello stesso vagone si trovano cinesi che parlano fitto fitto tra loro, ebrei ortodossi immersi nella lettura, musulmani che pregano, polacchi, italiani, armeni… gli uni accanto agli altri in uno spazio ristretto. Ricordo una suora vestita d’un bianco immacolato seduta accanto a un atletico giovane nero che teneva tra le mani un pallone da basket. Il giovane s’era addormentato e appoggiava la testa sulla spalla della suora. Che sorridendo mi guardò e sussurrò: anche questa è carità. In quell’atmosfera che trasuda mondialità è piacevole lasciarsi andare ad ascoltare lingue diverse, a incrociare sguardi, a vivere intensi incontri seppur momentanei e fuggenti. Ed anche a sonnecchiare, cullati dal rumore dello sferragliare delle ruote e dal dondolare del vagone, a rischio di dimenticarsi di scendere alla stazione desiderata. La metropolitana poi pullula di arte. Non solo per i variopinti graffiti che a volte colorano le carrozze e i muri delle stazioni. Ma anche per la musica. Sono tantissimi gli artisti che suonano ogni genere di musica – rock, folk, jazz, classica, etnica – e che si esibiscono nelle stazioni o nelle carrozze. A volte sono musicisti di classe, che arrotondano così lo stipendio. Poi: pittori, mimi, attori che improvvisano o addirittura recitano in pochi minuti una versione bignami di un’opera di Shakespeare.Arte che pulsa, che s’inventa nelle forme più originali; artisti che escogitano ogni trovata per racimolare qualche soldo. La metropolitana ha dato anche ispirazione ad arte più seria: ai romanzi Subway Series di Leela Cortman; a quadri come Subway Rider di Bernard Safran; a canzoni come The Subway Glide (1907), dal musical di Broadway Subways are for Sleeping; al film Subway di Luc Besson. Se i difetti della metropolitana di New York sono tanti, il fiume di colori, di lingue, di etnie, di vita e di arte che pulsa ogni giorno nelle sue vene sotterranee la rendono comunque impareggiabile. In un certo senso, amabile. Allora, buon compleanno, subway!

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