C’è bisogno di “Economia di Comunione”

«La conoscenza di tali verità (quelle dell’anima, ndr) non è affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma (...) nasce dall’anima e da sé stessa si alimenta».
Economia di Comunione

Un mio allievo all’Istituto universitario Sophia mi ha presentato un lavoro, peraltro ottimo, in cui cita un passaggio della Lettera VII di Platone di rara bellezza, che vi chiedo la pazienza di leggere: «La conoscenza di tali verità (quelle dell’anima, ndr) non è affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma, dopo molte discussioni fatte su questi temi, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende dallo scoccare di una scintilla, essa nasce dall’anima e da sé stessa si alimenta». Quando tutto ciò viene discusso «con domande e risposte in dibattiti privi di animosità e ostilità, allora l’intelligenza e la conoscenza brillano all’improvviso attorno a un problema».

 

Mi è tornato in mente questo passaggio sfogliando le bozze del nuovo inserto redazionale che trovate al centro della rivista, dedicato a uno dei temi che più ci sta a cuore, quello dell’Economia di Comunione (EdC), con le maiuscole (il progetto iniziato vent’anni fa da Chiara Lubich, in Brasile), o con le minuscole (come viene citata nell’ultima enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritatem, cioè il modo di pensare l’economia, il mercato e la solidarietà nato dall’intuizione mistica e straordinariamente concreta del 1991).

 

Perché quest’associazione tra il filosofo del Gymnasium e l’EdC? Perché l’attualità – dalla finanziaria lacrime e sangue alla guerra libica, dall’emergenza rifiuti ai pro o contro la Tav – ci presenta un’emergenza grave: un pericoloso deficit di dialogo, a tutti i livelli. Tutti vorrebbero a parole dialogare, ma non ci riescono, o ci riescono solo in parte, o finiscono col litigare al primo intoppo. Ebbene, l’EdC è un “grande dialogo” che può essere di esempio nei più diversi ambiti dell’agire e del pensare umani.

 

Perché? Primo, perché in essa si è all’ascolto dei singoli ma anche delle componenti più vivaci della società, che siano imprenditori o lavoratori, politici o professori, consumatori o giornalisti (i «dibattiti privi di animosità e ostilità»). Secondo, perché l’EdC è concreta: parte da un’idea geniale ma o diventa impresa comune o muore (la «comunanza di vita»). Terzo, perché non è settaria: nasce indiscutibilmente da un’intuizione evangelica ma può essere condivisa ed è condivisa da persone di orizzonti molto diversi («allora l’intelligenza e la conoscenza brillano»). Quarto, perché pone al centro la persona umana e non il profitto, o il tornaconto personale (tale conoscenza «nasce dall’anima»). Quinto, perché pone al centro della riflessione, anche accademica, la relazione e i beni relazionali, via “laica” alla felicità su questa terra («come luce che si accende»).

 

Lo spirito dell’EdC, ci sembra, è tra quanto di più ardito esista oggi nel campo della riflessione economica, pur avendo ancora una sua limitata espansione e influenza. Estendibile però ad altri campi, come le grandi intuizioni sull’uomo e sulla società. Prendiamo la politica e proviamo ad applicarvi queste cinque ragioni: ascolto, concretezza, apertura, centralità della persona umana, riscoperta della relazione. C’è bisogno di tutte e cinque queste prospettive per uscire dal buco nel quale ci siamo cacciati.

 

Ripetiamo poi la stessa operazione nel campo dei media, in quello della scuola, della sanità o della cittadinanza attiva e capiremo che c’è bisogno di comunione, ovunque.

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