Carisma, vita, cultura

L'elaborazione culturale che scaturisce dal carisma dell'unità
Articolo

«Fin dagli anni giovanili, Chiara Lubich ha avuto una straordinaria comprensione della cultura. Godeva, ad esempio, delle scoperte e delle espressioni degli scienziati; addirittura c’è stato un periodo in cui si sentiva più vicina a loro che a noi intorno a lei. Aveva anche una profonda attenzione per tutte le culture, tutti le discipline, anche se non poteva studiarle perché Dio la chiamava ad altri compiti. Ricordo quando è nata la Scuola Abbà – è Anna Maria Zanzucchi che racconta –, come capisse e apprezzasse gli studi che facevano i componenti di quella scuola. Probabilmente, se fosse entrata direttamente in questa o quella disciplina, le sarebbe mancata l’universalità della vera cultura. Invece così ha potuto gettare uno sguardo di sapienza su tutto, perché per lei la cultura era parte dell’esperienza di Dio».

 

Vita e studio

 

«Vorrei sottolineare come in Chiara la vita abbia sempre avuto il primato sulla teoria intesa come riflessione intellettuale – interviene Luigino Bruni –. Un giorno, mentre studiavamo l’Economia di Comunione (EdC) e facevamo congressi su congressi, mi disse: “Luigino, va bene la teoria, ma non dimenticarti che l’EdC è nata per i poveri”. Come dire: fate tutta la riflessione che volete, ma abbiate sempre questo orizzonte davanti a voi. Non era certo una persona ingenua, le era chiara l’importanza della cultura, ma sapeva che la vita è più grande. Prima che studiosi, infatti, ci chiedeva sempre di essere persone a tutto tondo, con tutte la dimensioni della vita, non solo l’intelligenza.

«Prendiamo per esempio la Scuola Abbà, comunità di vita e pensiero nata attorno a Chiara, che da venti anni cerca di enucleare dal carisma dell’unità le categorie fondanti, a livello di pensiero filosofico, civile e sociale, cioè i punti forza, le grandi idee originali che questo carisma porta nel mondo. Niente di nuovo, si direbbe, rispetto ai luoghi più alti dove si produce cultura – ad Harvard o alla London school of economics, per esempio –; non c’è più ormai il singolo studioso chiuso nella sua stanza a lavorare, ma gruppi di ricerca interdisciplinari, con labili confini tra psicologia, economia, scelte politiche ecc.

«Un conto però è far dialogare le discipline, un conto, molto più difficile, far dialogare gli studiosi. Ci vuole un carisma, una strada per poterlo fare, e Chiara ce l’ha mostrata: prima la comunità, poi l’università. È proprio l’esperienza anche del neonato Istituto universitario Sophia, a Loppiano: una comunità di studenti e professori che insieme studiano e generano cultura. L’insegnamento non può essere, infatti, un processo unidirezionale in cui il professore insegna al giovane o a chi non sa. Lui per primo deve invece mettersi in ascolto, perché anche chi sa di meno può insegnare con la vita».

 

Nelle realtà umane

 

Comunità che si fa cultura, cultura che si fa vita, vita che dilaga poi nelle realtà umane. Lo ricorda Nedo Pozzi: «Fin dagli inizi della sua esperienza, Chiara ha intuito come il carisma ricevuto avrebbe potuto influenzare e risanare tutte le realtà dell’uomo, nelle diverse espressioni e discipline. Nel 1970 ci invitava ad essere cittadini globali affermando: “Siamo l’umanità se abbiamo dentro tutte le culture”. Nel 1990 parlava di “un pensare nuovo che renderà possibile una nuova cultura”. Nel 1995 definiva il suo movimento “un popolo nuovo che ha la sua cultura, una cultura nuova che sta nascendo”. Questo pensiero, questa elaborazione, si concretizza e riceve a sua volta ritorni vitali dai gruppi internazionali di professionisti, operatori e studiosi che dal 1998 operano nei campi di politica, economia, comunicazione, arte, sociologia, pedagogia, psicologia, medicina, architettura, scienze ambientali, diritto, sport ecc. Mille voci, un’unica presenza del carisma in dialogo con la cultura contemporanea».

 

Accogliersi a vicenda

 

Nel valutare l’impatto del carisma dell’unità sulla cultura contemporanea, padre Fabio Ciardi sottolinea un aspetto essenziale: «Superando barriere secolari tra le confessioni cristiane, nel movimento si incontrano ortodossi, luterani, riformati, evangelici, membri di antiche Chiese orientali, che non per questo smettono di appartenere alle loro comunità ecclesiali. È un ecumenismo reale, efficace, che abbraccia tutti: pastori, vescovi, religiosi e fedeli. Una novità di spessore culturale enorme, considerando anche l’adesione dei fedeli di altre religioni come ebrei, buddhisti, musulmani, sikh, scintoisti, indù. Aderendo al movimento, non perdono la propria identità. Come non la perdono coloro che non hanno un riferimento religioso: si sentono liberi di partecipare perché rispettati nella loro specifica identità».

«Come agnostico, non ritengo di possedere la verità – interviene Tito Labate –, e sono aperto a qualsiasi tipo di dialogo che mi aiuti ad approfondire e colmare i dubbi che ho. All’interno del movimento ho avuto effettivamente questa possibilità, anzi opportunità, di approfondire tematiche fondamentali per la vita di qualunque persona. Qui cultura e dialogo marciano di pari passo, e si sono anche intrecciati rapporti affettivi per la sincerità che c’è stata tra di noi nell’approfondire temi cruciali, come per esempio la bioetica, senza pregiudizi e ideologie particolari. Abbiamo sperimentato il valore indispensabile della laicità, cioè rispettarci e riconoscerci l’un l’altro gli stessi diritti, senza assumere posizioni intransigenti e senza voler imporre la propria idea».

«Questo è possibile – riprende padre Fabio –, prima di tutto per la dimensione relazionale del carisma, che presuppone il rispetto dell’altro al cento per cento. Il vero parametro culturale di Chiara è trinitario, cioè unità senza massificazione, senza cancellazione dell’identità. La seconda chiave è il timbro tipicamente mariano: Maria non ha autorità nel gruppo dei dodici, eppure, per come la vede Chiara, incarna soprattutto la capacità di accoglienza, il nulla inteso come amore recettivo e promotore dell’altro. Non l’amore passivo di chi guarda a Maria come simbolo dell’umiltà della donna, bensì la capacità di far venir fuori l’altro com’è, valorizzarlo, portarlo in primo piano. Insomma, per accogliersi veramente tra persone, ci vogliono due princìpi, trinitario e mariano».

 

Il futuro

 

Ma ora che Chiara non è più su questa terra, affiora il dubbio che tutto questo possa finire, che il movimento da lei fondato non riesca a portare avanti e concretizzare un progetto così impegnativo: «Bisogna essere realisti – precisa padre Fabio –; effettivamente è possibile che finisca tutto, perché il processo non è automatico, non continua per forza di inerzia, anche se qui siamo davanti ad un carisma di una portata tale che attraverserà i secoli. Però, se anche noi fallissimo, penso che si sia ormai innescato qualcosa d’importante nella Chiesa, e forse nell’umanità: insomma le idee forza che Chiara ha lanciato e incarnato nel movimento rimarranno comunque, perché le salverà la Chiesa.

«Solo un esempio: se i gesuiti finissero, rimarrebbero comunque gli esercizi spirituali di Ignazio di Lojola e tutti continuerebbero a farli perché ormai sono patrimonio della Chiesa. E ricordiamoci che Giovanni Paolo II ha detto chiaramente che la spiritualità della Chiesa nel prossimo millennio sarà la spiritualità di comunione nata dal carisma dell’unità. Due ben note lettere ai vescovi amici del movimento lo testimoniano».

Interviene di nuovo Luigino Bruni: «Vorrei puntualizzare ulteriormente questo aspetto: il rischio di fallire ovviamente c’è sempre quando si ha a che fare con la libertà dell’uomo. È il rischio di qualunque esperienza vera; un rischio che però penso sarà facilmente eluso perché Chiara ci ha lasciato venti anni di esperienza, un metodo e un grande patrimonio di idee. Soprattutto, Chiara non è stata una leader con dei seguaci; è stata capace, invece, di creare un metodo di lavoro che ha coinvolto migliaia di persone, facendo sentire ognuno “centro” e mai “periferia”. Personalmente ho sempre sentito che tutto dipendeva da me, e questo è fondamentale perchè un carisma si può replicare non insegnando delle tecniche, ma facendo nascere vocazioni, facendo sentire ciascuno protagonista e non seguace».

 

Chiara di tutti

 

«Certo – conclude Luigino Bruni –, nessun carisma è mai solo di chi lo riceve. Accade in una comunità che lo accoglie, ma è più grande perché dono per la Chiesa e per l’umanità.

«Ovviamente, quindi, ci sarà sempre bisogno di una comunità: Chiara è viva non tanto e non solo perché possiamo ascoltarla o studiarla, ma perché c’è un corpo che la rende presente oggi nella società e nella storia. Sarebbe come dire che si possa capire Francesco senza i francescani: c’è un valore universale di Francesco che va al di là di lui, ma la vita dei francescani continua a spiegarci chi è, e questo, fatti i paragoni, vale per ogni carisma. Dunque penso che il movimento rimarrà e crescerà come una città posta sopra il monte per contribuire ad illuminare il mondo.

«Ma ancora più importante è che il carisma dell’unità già ora è lievito e sale per tanti che, pur non chiamandolo per nome o non volendo condividere fino in fondo questo ideale, ne prendono i princìpi fondanti per rinnovare le proprie esperienze sociali, economiche, civili, culturali e spirituali».

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