C’ è un altro muro che deve crollare. Quello della speculazione

Lo spread continua a salire e cresce la povertà. Che fare? Intervista all’economista Leonardo Becchetti
Leonardo Becchetti

Abbiamo imparato che lo spread funziona come un termometro. Se si avvicina ai 500 punti vuol dire che il malato è grave. Davanti al “paziente Italia” è stato chiamato il professor Monti con la sua squadra di tecnici, ma l’indice si sta di nuovo avvicinando alla soglia di pericolo. Pochi sanno come si forma quel valore che registra la differenza tra il tasso di rendimento dei titoli pubblici italiani e quelli tedeschi, ma tutti comprendono che se paghiamo molto di più i soldi avuti in prestito vuol dire che siamo costretti, per riequilibrare, a tagliare le spese e versare più imposte, fino a quando sarà possibile, rischiando, alla fine, il fallimento.

Perché nonostante i dolorosi tagli già disposti, la riforma delle pensioni e del lavoro, la reintroduzione della tassa sulla prima casa, lo spread continua a salire? Qualcuno sta giocando, sui mercati, con il nostro destino? Lo chiediamo al professor Leonardo Becchetti, ordinario di economia politica presso la Facoltà di economia dell’università Tor Vergata di Roma. La sua produzione scientifica è un punto di riferimento costante di un crescente e variegato movimento di opinione a favore di una riforma del sistema finanziario internazionale.

Perché lo spread continua a salire nonostante i tagli operati dal governo Monti?
«Ormai anche i commentatori più prudenti ravvisano gli eccessi della finanza nello spread. È opinione comune che ci siano almeno 300 punti di troppo, come dichiarato recentemente dal governatore della Banca d’Italia, Visco, e dal rappresentante italiano al Fondo monetario Internazionale, Cottarelli. L’errore è stato quello di pensare che bastasse dimostrare di essere virtuosi dal punto di vista dei conti pubblici per invertire la rotta. Solo recentemente il premier ha capito che non è così e ha giustamente pensato a una difesa diretta contro la speculazione con lo scudo anti spread. La soluzione migliore sarebbe quella di usare le risorse dell’Esm (Meccanismo europeo di stabilità) come garanzia per interventi diretti della Banca centrale europea sul mercato primario, in modo da creare un ombrello protettivo che assicuri per almeno un anno che tutti i titoli in emissione di Italia e Spagna vengano acquistati a tassi ragionevoli. Evitando di assumere lo status di creditore privilegiato per non deprimere sul secondario il valore dei titoli pubblici detenuti dagli altri investitori. Il problema è la miopia dei partner europei su questo punto, alimentata dalle convenienze che essi hanno a beneficiare di tassi esageratamente bassi sulle loro emissioni. Monti dovrebbe però puntare i piedi minacciando l’uscita dall’euro in caso di mancato accordo. L’Unione europea ha senso se i partner si fidano l’uno dell’altro (dando ovviamente garanzie) altrimenti non c’è motivo di restare insieme».

Professor Becchetti, lei ha detto recentemente che è stata persa, all’inizio della crisi, l’occasione per abbattere il nuovo «Muro di Berlino» e cioè «smembrare quell’immensa concentrazione di potere economico che gestisce in modo assolutamente opaco alcuni dei gangli vitali più delicati della finanza globale (ad esempio i derivati)». È un’occasione persa per sempre?
«Il Muro di Berlino di una finanza profondamente inefficiente e non più al servizio delle imprese e dei cittadini prima o poi crollerà, perché il modello è profondamente instabile e inefficiente. Speriamo che il crollo non sia rovinoso da travolgere il nostro sistema economico. La speranza migliore che abbiamo è che ci sia un sussulto di politici e regolatori che la smettano di comportarsi come l’"uomo che sussurra ai cavalli”, facendo il loro dovere, che è quello di scrivere le regole e mettere le briglie alla speculazione. Facendo quello che da tempo la società civile aveva anticipato con la “campagna 005”. Una campagna attraverso la quale ha sostenuto con forza l’esigenza di cambiare le regole dei mercati finanziari in quattro direzioni fondamentali: tassa sulle transazioni finanziarie, separazione tra banca commerciale e banca d’investimenti, regolamentazione dei derivati otc e divieto del loro utilizzo per funzioni non assicurative, riduzione di dimensioni e leva dei giganti della finanza troppo grandi per fallire».

Il miliardario Warren Buffett ha detto che «la lotta di classe esiste e la stiamo vincendo noi ricchi». Di fronte alla crescita della diseguaglianza e all’aumento dei “lavoratori poveri”, come riportano i dati Istat, cosa occorre davvero fare per invertire la rotta ?
«Il problema è che quando i ricchi esagerano, la vittoria si trasforma in sconfitta. Le due grandi crisi finanziarie mondiali (1929 e 2007) coincidono, non a caso, con i due picchi di diseguaglianza negli Stati Uniti, quando l’1 percento dei maggiori percettori di reddito si è appropriato di circa un quarto del totale dei redditi del Paese. Si tratta di situazioni di diseguaglianza incompatibili con lo sviluppo di un Paese. Lo sviluppo dipende dai consumi di massa e i consumi di massa si arrestano quando la diseguaglianza arriva a questi estremi. Come dice brillantemente Stiglitz, se firmo un assegno di 3 milioni di euro a un super ricco come Romney solo una piccola parte di questi si trasforma in consumi. Se invece distribuisco la stessa cifra tra la popolazione più povera del Paese la somma viene tutta impiegata in consumi.
L’avidità dei super ricchi e della finanza è autolesionista perché finisce per tagliare le radici della loro stessa prosperità. I momenti migliori dello sviluppo dei Paesi sono sempre storicamente stati accompagnati da una diffusione della ricchezza dei ceti medio bassi».


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