Da Barbiana al Sulcis, obbedienti alla coscienza

Un percorso dal meeting dei giovani di Loppiano sui luoghi di don Milani. Il ripudio della guerra da declinare oggi nell’Italia dove cresce l’esportazione di armi verso il Medio Oriente. Proposta di una petizione pubblica per disarmare e riconvertire l'economia
AP Photo/Hasan Jamali

Per arrivare nella frazione di Barbiana, del comune di Vicchio nel Mugello, bisogna fermare la macchina nei campi e proseguire a piedi inerpicandosi sulla collina.

È uno spazio che non si presta agli eventi destinati a consumarsi in un giorno. Si tratta del luogo dell’esilio,nel 1954, di don Lorenzo Milani.

Il giovane prete, proveniente dalla ricca, raffinata borghesia fiorentina, pagò in questo modo la scelta di aver aperto nel borgo di Calenzano, piccolo centro tra Firenze e Prato, una scuola popolare per gli operai di qualsiasi orientamento politico. Finita la guerra bisognava ancora liberare dalla sottomissione coloro che restavano destinati a rimanere senza il possesso della “parola”.

“Esperienze pastorali” è il libro che descrive i nodi ancora irrisolti di una Chiesa che nel 2017 è invitata tuttora a porsi “in uscita”. Lo ha spiegato Massimo Toschi, che conosce molto bene quella storia, ad alcuni giovani saliti a Barbiana il 30 aprile dal meeting di Loppiano assieme ad altri gruppetti di adulti non tanto per fare del turismo religioso o civico, ma per ragionare su alcune domande attuali sulla pace e la guerra.

Da questa canonica remota trasformata in scuola e officina, partirono, infatti, alcune lettere che hanno posto la questione della disobbedienza verso la guerra. Le scrisse il priore di Barbiana poco prima di morire, a 44 anni, come dovere di educatore perché Milani scelse immediatamente, di donare l’esistenza per i bambini del posto, ancora più esclusi degli operai di Calenzano perché destinati alla povera vita di montagna come forza lavoro nelle stalle a spalare letame.

Quella originale e unica esperienza di scuola, aperta 12 ore per l’intero anno, ha segnato un punto di rottura e di svolta non solo a livello italiano. È un segno di contraddizione nel dibattito educativo contemporaneo.

Il metodo di Barbiana parte dalla realtà. Così la lettura del comunicato dei cappellani militari che nel 1965 condannarono l’obiezione di coscienza al servizio militare come atto di viltà estraneo all’amore evangelico, obbligava a dare una risposta adeguata con una lettera pubblica.

Mille copie dattiloscritte e poi l’invio alle testate nazionali. Nessuna di quelle cattoliche la pubblicò. Fu ospitata come opinione da Luca Pavolini, direttore di Rinascita e amico di famiglia di don Lorenzo. Il giornale comunista, come ricorda Toschi, era fedele ad una visione che legittima la guerra e quindi non concordava affatto con la tesi di Milani che minava il concetto e l’idolatria della guerra giusta.

Anche padre Ernesto Balducci, ha sottolineato Toschi per citare un personaggio scomodo ed emblematico di quel periodo, riconosceva il diritto all’obiezione di coscienza ma restava fedele alla teoria della giustificazione della guerra a certe condizioni.

Un dibattito affatto retorico quando si tratta di legittimare o meno l’obbedienza e la partecipazione, anche indiretta, ai conflitti odierni.

Caos Libia
Caos Libia

Ad esempio, è stato legittimo permettere la partecipazione italiana alla guerra di Libia del 2011? E che dire di quella scatenata da George W. Bush in Iraq nel 2003? E oggi davanti agli scenari preparati dalle scelte dissennate sulla Siria, cosa significa legittimare o meno un intervento militare anche solo permettendo l’uso delle basi statunitensi in Italia?

Prendendo quindi sul serio nel 2017 la lezione della scuola di Barbiana, il gruppo itinerante da Loppiano ha riascoltato, nel minuscolo cimitero della frazione del Mugello, alcuni brani della lettera ai cappellani militari e quella successiva inviata ai giudici chiamati a condannare Milani per apologia di reato.

Parole semplici, dure ed esplicite, rilette nell’Italia che, nel 2016, ha visto quasi raddoppiare le esportazioni di armamenti all’estero, in particolare verso l’infuocato Medio Oriente.

Così, al termine del percorso, i giovani provenienti dalla Sardegna hanno ripreso la questione emersa in tanti incontri pubblici promossi dal Movimento dei Focolari in Italia. E cioè che in una fabbrica vicino Cagliari si producono  bombe destinate all’Arabia saudita, Paese leader di una coalizione impegnata nella guerra interna allo Yemen. Un fatto incontestato ma legittimato da diversi esponenti del governo italiano, a cominciare da Paolo Gentiloni quando ricopriva la carica di ministro degli Esteri.

 

EPA/YAHYA ARHAB
EPA/YAHYA ARHAB

Di solito, oltre lo scandalo passeggero, resta la percezione prevalente di non poter far nulla oltre l’indignazione. Invece la realtà del Movimento dei Focolari in terra sarda ha posto l’esigenza di dare una svolta ad un copione già scritto per rimettere al centro un destino diverso e migliore per l’economia del Sulcis, l’area che più di tutte sta subendo in Italia le conseguenze della crisi economica che lascia in mezzo alla strada migliaia di lavoratori con le loro famiglie.

Un territorio preso nella trappola che pone in contrasto la propria sussistenza con quella di popolazioni martoriate dalla guerra.

Da Barbiana è partito  un appello a non restare indifferenti invitando, perciò, a sostenere, con una petizione pubblica lanciata su web  il primo maggio,  l’iniziativa emersa in Sardegna come questione di giustizia e dignità nazionale.

Da Barbiana al Sulcis nel segno del motto di quella scuola posta sul monte: “I care”, cioè mi sta cuore, me ne prendo cura.

Per firmare la petizione cliccare qui

 

 

 

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