Azzardo e politica, a partire dal caso Piemonte

La giunta Cirio vuole cambiare una legge regionale anti azzardo del 2016 in nome dell’occupazione e della libertà di impresa. Tentativo rimandato al momento. Un caso emblematico a livello nazionale
Azzardo La Presse

Nonostante la volontà inclusiva del presidente Conte, non sembra che negli Stati generali dell’economia troverà spazio la questione dei 110 miliardi di euro raccolti dal settore dell’azzardo in Italia. Una montagna di denaro che corrisponde a tre volte il prestito offerto dal Mes per il sostegno al servizio sanitario.

Il nuovo record raggiunto nel 2019 rappresenta l’esito finale di un processo di incentivazione pianificato negli ultimi 20 anni.

Per avere un’idea, nel 2004 la raccolta dell’azzardo era pari a 25 miliardi di euro, generandone 7,3 miliardi per le casse dello Stato che oggi trattengono poco più di 10 miliardi di fronte ad un giro di soldi quadruplicato. Una cifra simile è quella che si dividono le grandi società private che si spartiscono le concessioni statali.

Gruppo De Agostni
Gruppo De Agostni

Attività quindi “legali” esercitate con l’esibizione del marchio della Repubblica italiana. Un colosso del settore è senz’altro Lottomatica, o Gtech o Igt, una diramazione della De Agostini che ha in Piemonte, a Novara, il quartier generale di un gruppo diversificato di investimenti finanziari, come ad esempio l’area dei crediti deteriorati (npl).

Ma proprio in Piemonte nel 2016 è stata approvata una legge, promossa dall’allora assessore al lavoro Gianna Pentenero, che rendeva retroattive le distanze consentite dell’offerta di azzardo dai luoghi sensibili (scuole, ospedali, chiese, ecc.). Uno stratagemma   adotatto dagli enti locali per rendere più difficile la presenza pervasiva dell’azzardo (scommesse, minicasinò, gratta e vinci, ecc) nel tessuto urbano.

Si tratta di una materia di contenzioso  in sede di giustizia amministrativa che vede contrapposti gli uffici legali dei concessionari privati contro gli amministratori locali sui quali pende la possibile condanna a risarcire i danni erariali ( cioè il mancato introito per lo Stato dall’azzardo).

L’attuale giunta regionale guidata da Alberto Cirio, una carriera politica dalla Lega a Forza Italia, ha espresso la sua contrarietà verso la legge del 2016 anche perché, come sottolinea l’assessore alle attività produttive Andrea Tronzano, nella stesura di quella norma «le associazioni di categoria non sono mai state audite: l’hanno saputo a legge in vigore». Sempre secondo Tronzano, si tratta «di salvare la libertà di impresa e di aiutare la legalità» con un intervento che mantiene le distanze per le nuove attività dell’azzardo ma non per quelle già in piedi, confermando le norme su prevenzione, salute, cura, sensibilizzazione: «il problema dei piemontesi è il lavoro e noi vogliamo salvare i posti di lavoro».

Verso tale nuova direttiva, non condivisa nella maggioranza da Fratelli D’Italia, si è registrata una significativa reazione contraria da parte di molte associazioni e movimenti (Libera, Gruppo Abele, Acli, Focolari,ecc.) oltre che dall’opposizione in consiglio regionale ( Pd, M5s, Leu). La minoranza farà «di tutto per fermare questa decisione, soprattutto se verrà presa senza il necessario confronto con le associazioni e gli esperti», ha detto la consigliera Pd Monica Canalis.

Il tentativo di cambiamento sembra rientra rientrato o almeno sospeso.  E,tuttavia, una polemica che sembra così accesa non può limitarsi ad una questione di carattere regionale perché pone in evidenza due elementi sottolineati opportunamente dall’assessore regionale piemontese: la legalità e la libertà di impresa.

La modalità concreta della diffusione sistemica dell’azzardo in Italia è stata realizzata in maniera incentivante tanto da far dire al capo della polizia, Gabrielli, che il settore è diventato il bancomat delle mafie. Non è stata affatto debellata l’area clandestina, come confermano le relazioni della direzione antimafia. Anzi il movimento vorticoso del denaro ha prodotto ulteriore malessere sociale con la crescita dell’usura presidiata da clan malavitosi in giacca e cravatta.

Circa la libertà di impresa bisogna ricordare sempre il principio dell’articolo 41 della Costituzione in base al quale la libera iniziativa privata «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Principio costantemente messo in percolo come avviene nel caso di questi giorni sulle lievi condanne inflitte in Germania agli amministratori della  ThyssenKrupp, colpevoli per la morte degli operai carbonizzati nel rogo di Torino del 2007.

Il dilemma che si pone davanti al governo è quindi quello di usare le risorse disponibili per liberare l’economia dal ricatto occupazionale dell’azzardo.

Marcello Minenna, direttore generale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, è un ottimo economista che si è opposto alla rapida apertura dei locali del commercio dell’azzardo in Italia, ma nulla può fare davanti ad una attività esercitata da concessionari dello Stato.

Come ha affermato il movimento Slot Mob nel caso piemontese «è venuto il tempo di ridiscutere il sistema delle concessioni dello Stato alle multinazionali dell’azzardo. Senza questo cambio di direzione verso una gestione pubblica, responsabile e disincentivante dell’offerta dell’azzardo sarà impossibile contrastare il conglomerato di interessi capace di farsi ascoltare a livello nazionale e locale».

Una istanza che presuppone la necessità di un piano di investimenti necessari a colpire le rendite di posizione per recuperare le entrate statali dell’azzardo e creare lavoro necessario per l’utilità comune, senza effetti devastanti sul tessuto sociale.

Una prospettiva che i partiti politici hanno difficoltà ad affrontare sul serio a livello nazionale accettando l’impostazione prevalente in base alla quale, in questo campo, bisogna tener insieme, senza una gerarchia di priorità, la salute pubblica, l’erario e gli interessi degli investitori privati.

Giuseppe Conte incontrando, a villa Pamphili, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha citato l’economista Milton Friedman (“il profitto è lo scopo ultimo dell’impresa”) per tranquillizzare l’interlocutore sull’assenza di pregiudizi ideologici contro il mondo dell’impresa.

Probabilmente si tratta di un discorso più complesso da fare e che non può non riguardare anche l’organizzazione degli industriali che ha il suo settore di grandi aziende del “gioco” cioè dell’azzardo. Che un gioco non è.

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