Il fascino dell’autoritratto

Un affascinante viaggio attraverso l'analisi di alcuni capolavori della storia dell'arte, dal Rinascimento ai nostri giorni, in un libro edito da 24 Ore Cultura
p. 79, Frida Kahlo, "Autoritratto con collana di spine e colibrì"

L’esempio più famoso di autoritratto è, forse, quello del grande regista inglese Alfred Hitchcock che amava apparire improvvisamente nel fotogramma di una scena, ricavandone dei curiosi camei. Brevissime comparsate al di fuori del contesto generale dei film che hanno fatto la storia del cinema. Quell’inconfondibile firma vivente, tocco artistico che lui stesso spiegò inizialmente come necessario e strettamente funzionale «perché bisognava riempire lo schermo», divenne col tempo un vezzo scaramantico, e, in seguito, sempre più una vera e propria gag. Un’autentica passione trasmessa in 39 delle sue celebri pellicole, che si è trasformata ai nostri occhi nella firma dell’autore, quella che, più comunemente, troviamo nei quadri e nelle sculture. Nel caso di Hitchcock, quindi del cinema, si può parlare propriamente di autoritratto fisico, firma lampante e sicura di cui non dubitare.

Includere l’immagine di se stessi nelle proprie opere per porre l’accento sulla paternità dell’opera stessa, è pratica in uso soprattutto dal Rinascimento in poi, per diffondersi quindi in tutti gli ambiti dell’arte: dai dipinti alle sculture, dalle fotografie alle installazioni alle performance. Oggi, nel nostro mondo globalizzato e digitalizzato, l’autorappresentazione è rappresentata dall’autofotografarsi. Grazie allo smartphone è diventato gesto quotidiano, forma espressiva popolare alla portata di tutti, necessità impellente di apparire, bisogno, dovunque si è, di inquadrarsi nel piccolo spazio luminoso dello schermo di un telefonino per il fatidico selfie da diffondere in un attimo, conservare o divulgare, per affermare di esistere, lasciare un’impronta di sé. Secondo Maurizio Fagiolo dell’Arco, critico e collezionista, l’autoritratto è

il sublime ricordo dell’antico mito di Narciso. È la proiezione del passato nella storia. È allegoria ed emblema, racconto e menzogna. Può essere finzione assoluta o verità inconscia.

Copertina del libro “L’autoritratto”

A ripercorrere l’evoluzione di questo genere nella storia dell’arte fino ai nostri giorni, è il libro L’autoritratto (collana Art Essentials edito da 24 ORE Cultura)  della scrittrice e curatrice Natalie Rudd, un prezioso e ricco volume, certamente non esaustivo dell’immensa biblioteca iconografica universale, che attraverso la scelta di alcune opere, illustra ed esplora, degli autori, anche il pensiero e la psicologia aprendo ad analisi di questioni universali. Dai primi capitoli organizzati secondo un ordine cronologico, si passa ad altri che riflettono questioni tematiche dell’arte moderna e contemporanea accogliendo definizioni sempre più ampie del genere in questione, e rivelare i volti mutevoli dell’individualità e dell’egotismo dell’autore, il suo essere persona, il suo carattere, le emozioni, i sogni, i pensieri più reconditi, la sua visione del mondo circostante.

p. 30, Caravaggio, “Davide con la testa di Golia”

Tra i primi autoritratti troviamo quello di Albrecht Durer disegnato all’età di 13 anni, nel 1484, e la sua maturazione con i successivi dipinti che lo ritraggono sempre con la chioma fluente e nel suo aspetto nobile e iconico; l’autoritratto entro uno specchio convesso del Parmigianino (1523); quello, più che celebre, di Caravaggio in “Davide con la testa di Golia” in cui impersona, con la propria testa, il gigante ucciso; e di Diego Velasquez ne “Las Meninas” (1656) con il pittore in penombra ritratto in un angolo del quadro mentre lavora ad una grande tela; “L’autoritratto con girasole” di Anthony van Dyck con il pittore fiammingo che si volta a guardare lo spettatore e col dito indica il fiore.

Nell’immaginario di tutti – e presente nel volume, nel capitolo ‘Introspezione’ – è l’”Autoritratto con l’orecchio bendato” di Van Gogh, uno dei numerosi dipinti rivelatori dei suoi diversi stati psicologici; quello di Frida Kahlo con il colibrì che tira col beccuccio la collana di spine acuminate facendole sanguinare il collo – visione stoica di dolore e sofferenza dell’artista messicana; quello fumettistico caratterizzato da puntini (del 2008) della giapponese Yayoi Kusama col suo uso allucinatorio delle forme e dei colori. E ancora: “Self”, l’enorme testa dello scultore inglese Marc Quinn; la serigrafia di Andy Warhol ricavata dalla fototessera; il corpo nero, fumettistico, con la testa ingrandita e distorta, e il ghigno doloroso, di Jean-Michel Basquiat. L’excursus che l’autrice del volume compie include Marina Abramovic nella foto della performance di “porta vivente” col suo compagno e collaboratore Ulay nel 1977; il primissimo piano ricavato da una fotografia del pittore americano Chuck Close; la serie di 9 immagini a colori di una performance di Zangh Huan, “Family tree”, con le parole di proverbi cinesi scritte sul suo volto.

autoritratto
p. 157, Tracey Emin, “My Bed”

Senza necessariamente rappresentare solo le fattezze dell’autore, né mostrare il proprio volto, rientrano nel genere “autoritratto” analizzato dall’autrice, l’opera concettuale, per esempio, di Piero ManzoniFiato d’artista” che richiama il concetto di reliquia. Nel 1960 gonfiò un palloncino rosso – poi disintegrato e rimasto incollato – e lo fissò a una base di legno con una placchetta sulla quale incise il titolo. Altro esempio del concetto di autoritratto non più catalogabile entro una definizione ristretta, ma ancor più flessibile in un mondo mutevole qual è quello dell’arte che innesca nuovi modi di pensare, è l’installazione “My Bed” di Tracey Emin: un letto disfatto, e un tappeto blu cosparso di diversi oggetti disordinati e confusi, che documenta un periodo difficile di depressione dell’artista in cui trascorse diversi giorni consecutivi a letto. È, contemporaneamente, un autoritratto e una natura morta. Il volume si chiude con “I be…(X)” di Ryan Gander, che fa parte di una serie di opere che mostrano specchiere antiche e imponenti coperte parzialmente da drappi di resina di marmo. Così lo commenta Natalie Rudd: «Lo specchio, strumento principe dell’autoritratto per tanti secoli, appare supefluo, incapace di assolvere la sua funzione. Liberato dalla responsabilità della rappresentazione, l’autoritratto è ora libero di esplorare nuove strade. Gander invita il pubblico a considerare un’importante domanda: che cosa posso essere io? Io posso essere qualsiasi cosa immaginabile».

“L’autoritratto”, a cura di Natalie Rudd. Collana Art Essentials edito da 24 ORE Cultura. €14,90.

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