Australia, un’ambasciata del governo clandestino del Myanmar

La prima quasi-Ambasciata del governo di Unità Nazionale (Nug) birmano è stata aperta in Australia, da sempre a fianco di chi combatte per la libertà in Myanmar, e di Aung San Suu Kyi riconosciuta da molti politici australiani come legittima premier del popolo birmano
Myanmar (AP Photo/Ahn Young-joon)

A Camberra, in Australia, non lontano dalla sede diplomatica ufficiale del Myanmar, in pratica la rappresentanza della giunta militare che ha preso il potere con la forza il  1° febbraio 2021, ora sorge un’altra ambasciata birmana, quella non ufficiale del Governo di Unità Nazionale (Nug) clandestino.

All’inaugurazione, qualche giorno fa, hanno voluto partecipare in forma privata alcuni politici australiani. Si tratta del deputato del partito laburista Peter Khalil, del senatore dei verdi Jordon Steele-John e del parlamentare indipendente Zoe Daniel, giusto per citarne alcuni.

 La comunità birmana di Camberra, e non solo, ha donato tutto quanto era necessario affinchè la sede potesse aprire i battenti, in rappresentanza di tutti coloro che lottano, in Myanmar, per la democrazia, la libertà e la giustizia. Rischiando la vita a causa della repressione.

Fino ad oggi, il governo del generale Min Aung Hlaing si è macchiato di crimini indicibili contro la propria gente, uccidendo piu’ di 2 mila persone, arrestandone oltre 14 mila e disperdendone 700 mila in tutto il Paese.

Sono state attaccate chiese e luoghi sacri buddhisti, bloccate ambulanze e uccise persone ferite che non potevano difendersi: donne, bambini, anziani, monaci buddhisti, in pratica ogni cittadino che in qualche modo si sia trovato sulla strada dei militari golpisti.

Senza pietà, senza etica, senza legge: semplicemente sopprimendo ogni minima protesta nel sangue. Questa è la procedura dei militari del Tatmadaw, che va avanti da 60 anni.

Eppure, la gente continua ad affrontare i ben armati e addestrati i militari del Tatmadaw, con vecchi fucili di fortuna, spesso fatti in casa oppure presi negli assalti ai militari. È una battaglia impari quella della gente contro i militari: una battaglia fatta, spesso, con le sole mani nude.

Il governo militare del Myanmar, poche settimane fa, ha aggiunto, a tutti questi orrori anche l’esecuzione di 4 dissidenti, da tempo detenuti.

Un fatto che ha suscitato una condanna internazionale, soprattutto da parte dei ministri dell’Asean (Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico) riuniti in Cambogia la settimana scorsa in Assemblea plenaria.

Il seggio che doveva ospitare il rappresentante dal Myanmar è rimasto vuoto e, secondo le dichiarazioni dei ministri riuniti, resterà vuoto anche in futuro. Se non ci saranno progressi reali verso la pace in Myanmar, nessun rapprentante del governo militare potrà partecipare alle riunioni dell’Asean.

Ricordiamo uno ad uno i 4 condannati a morte giustiziati alla fine di luglio scorso.

Kyaw Min Yu (soprannominato Ko Jimmy), al tempo della rivoluzione del 1988 era uno studente noto per il suo impegno democratico. A quel tempo, come oggi, i militari soppressero le proteste nel sangue. Rilasciato e arrestato più volte, l’ultima nel 2007, venne incarcerato per il suo ruolo nelle manifestazioni indette dai monaci, la cosidetta rivoluzione zafferano. Ko Jimmy ha passato 21 anni della sua vita (ne aveva 53 quando è stato giustiziato in carcere a luglio scorso) in prigione per il suo impegno civile e democratico. Lascia una figlia di 15 anni e la moglie, anche lei leader della rivoluzione del 1988.

Un’altra esecuzione è stata quella del 41enne Phyo Zeya Thaw, un cantante diventato membro del partito di Aung San Suu Kyi, la Lega Nazionale per la Democrazia.

Gli ultimi due condannati uccisi sono stati Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw, accusati di aver “assassinato” una spia del governo che a sua volta aveva massacrato e arrestato molti patrioti democratici.

La promessa fasulla, fatta nell’aprile 2021 proprio all’Asean, da parte del goveno militare di Naypidaw, di implementare un dialogo con l’opposizione basato su di un accordo in 5 punti, si è rivelata vana, parole al vento; pertanto l’Associazione delle Nazione del Sudest Asiatico ha dichiarato di non gradire la presenza dei militari birmani alle riunioni dell’Asean.

Soprattutto Indonesia e Malaysia sono molto scettici sul fatto che il generale Min Aung Hlaing abbia una reale intenzione di incamminarsi sulla via di un qualsiasi dialogo democratico che possa portare alla pace nel paese martoriato. Sono coloro che muovono gli scacchieri internazionali che devono trovare una soluzione per il Myanmar, così come accadde nel 2010.

L’Unione europea, Stati uniti, Russia, Cina e India dovrebbero sedersi al tavolo della diplomazia ed arrivare ad un accordo sul Myanmar (e non solo).

Fino a quel giorno i massacri da parte dei militari continueranno. Sono necessari dialogo e pressione internazionale: e la volontà di portare una pace vera a quel popolo, anzi a quei popoli (sono 135 le etnie del Myanmar) che aspettano la parola fine alla guerra da molti decenni. E non dimentichiamo i Rohingya, non dimentichiamo nessuno; perchè la pace, per arrivare, ha bisogno dell’impegno di tutti e di ognuno di noi.

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