Austerità e spese sociali. Una domanda

Nel pieno del dibattito sulle misure di tagli e di austerità in Europa e anche in Italia, abbiamo chiesto a due esperti, Benedetto Gui e Andrea Baranes delle proposte e qualche spiegazione
famiglia povera

Joseph Stiglitz, premio nobel per l’economia, afferma di sovente che «Non c'è un precedente che dimostri che la riduzione dei salari, delle pensioni e dei servizi sociali possa dare sollievo a un paese malato». Eppure proprio sui tagli insiste la politica di risanamento dei conti pubblici di diversi paesi europei. Servono a governare la crisi e a impedire il default. Incoraggiano a tenere i conti in regola. Possono far partire il rilancio. I pareri in merito sono i più vari. Abbiamo chiesto a Benedetto Gui,ordianrio di Economia politica a Padova e ad Andrea Baranes presidente della Fondazione culturale di Banca etica un commento all'espressione di Stiglitz. 

Benedetto Gui 
Il paradosso del meccanico indebitato Stiglitz mette il dito su un drammatico paradosso. Pensate di avere un credito di 1000 euro nei confronti del vostro meccanico e che questo sia in ritardo con la restituzione perché spesso ha l’officina vuota per mancanza di clienti. Vi sembra una buona strategia quella di dirgli: «Avrei un grosso lavoro da fare alla mia auto, ma non verrò più a fare le riparazioni nella tua officina finché non mi avrai ripagato»? Se quello che vi preoccupava è che a casa sua si consumasse troppo rispetto ai redditi dell’officina, il risultato di far tirare la cinghia a lui, a sua moglie e ai suoi bambini lo otterrete certamente. Ma pensate davvero che, adesso che ha ancora meno lavoro di prima, riuscirà meglio a restituirvi quei soldi?

Quando si chiede ad un paese indebitato di fare una politica di austerità troppo severa, che provoca una forte riduzione dell’attività economica, è un po’ come togliere il lavoro al meccanico debitore. Lui starà peggio, ma voi non starete meglio. Anche perché – pensando al caso in cui il debitore sia un intero Paese – quando la situazione economica peggiora iniziano le proteste, le maggioranze si sfaldano e diventa sempre più difficile tenere i conti in ordine.
Tornando al meccanico, meglio sarebbe dirgli: «Fammi questa riparazione, io mi trattengo 1000 euro dal conto e siamo a posto».

Nel caso della Grecia, ad esempio, la condizione migliore per riuscire a ripagare almeno parte del suo debito pubblico sarebbe che l'economia tornasse a girare a pieno ritmo, perché allora sarebbe più facile tirar su imposte e ci sarebbero meno disoccupati da sussidiare. È urgentissimo che vengano prese a livello europeo delle misure di rilancio, a cominciare dai Paesi più in difficoltà, perchè se questo avverrà, la crisi che stiamo vivendo ci avrà atto fare un passo avanti nel cammino verso una maggiore integrazione politica dell’Europa. Oggi la sua economia è messa peggio di quella degli Stati Uniti, da cui pure la crisi era partita nel 2008, e questo proprio perché i vogatori europei, che sarebbero anche robusti, remano in modo scoordinato, ognuno con la sua cadenza.


Andrea Baranes
Dalla recessione si esce cambiando modo di pensare La tesi di Stiglitz è sicuramente condivisibile. Le misure proposte in questo momento per uscire dalla crisi rischiano concretamente di aggravare l’attuale fase recessiva. Tagli alla spesa pubblica e ai servizi essenziali equivalgono a una riduzione dei redditi indiretti. Le famiglie e i lavoratori dovranno spendere parte dei propri redditi per assicurarsi autonomamente gli stessi servizi, il che significa meno risorse per i consumi, un calo del PIL e un ulteriore peggioramento dei conti pubblici.
Se la base di riferimento è il rapporto tra debito e PIL, infatti, da un lato la diminuzione del denominatore farà aumentare il rapporto, dall'altra la diminuzione dei consumi implica anche minori entrate per lo Stato (come nel caso dell'IVA, che è un'imposta sui consumi), quindi maggiore deficit e peggioramento anche del numeratore.

Detto questo, anche fondare la ripresa su un continuo aumento dei consumi fine a sé stesso appare pericoloso e illogico. In un pianeta di dimensioni limitate, per quanto tempo si può pensare di continuare a basare l'economia su un sempre maggiore consumo di risorse e una sempre maggiore produzione di beni e di rifiuti? La via d'uscita dalla crisi deve fondarsi sugli investimenti, non sui consumi. Investimenti di lungo periodo nei settori a maggiore intensità di lavoro, dall'istruzione alla sanità, dalla cultura alla conoscenza, dall'efficienza energetica a molti altri settori.

Questo approccio va in direzione diametralmente opposta a quanto oggi prospettato dalle autorità italiane ed europee. Prima ancora di nuove misure economiche, è necessario un nuovo modo di pensare per chiudere una volta per tutte la fallimentare fase neoliberista dell'economia, nella quale siamo immersi da oltre trent'anni.

 





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