Aung San Suu Kyi: segno di speranza

In visita nella capitale, in cui ha incontrato papa Francesco e le massime cariche dello Stato italiano che le hanno conferito la cittadinanza di Roma, la leader birmana è l'icona vivente di un mondo diverso, che non fa rumore, non urla e nel quale è possibile dialogare
Aung San Suu Kyi in visita a Roma

Ci sono segni nella vita che sono facili da leggere e interpretare: come quando vedi arrivare le nubi e sai che la pioggia, presto o tardi, arriverà… e corri ai ripari. Di segni è costellata la nostra vita: alcuni ci fanno spavento, altri incutono un timore che arriva fino al futuro. Altri segni ci donano speranza e gioia. Dico la verità: l'altra mattina, pur essendo sei ore in anticipo dall’Italia, ho profondamente gioito sapendo che Aung San Suu Kyi, una donna asiatica, emblema dell’amore, della dolcezza, della fortezza e mitezza asiatiche, combinate con un sorriso che ha fermato i fucili dei generali, sarebbe salita ai colli di Roma, in Vaticano, in Campidoglio e via dicendo, per incontrare il presidente della Repubblica, il premier Letta, il presidente della Camera Boldrini, insomma le massime cariche dello Stato italiano per ricevere onore, prestigio e gloria.

Certo, tutto questo. Ma sicuramente anche per donare a chi l’avrebbe incontrata molto di più. Come tutti i grandi personaggi dell’umanità, uomini o donne che siano, che quando li incontri hanno una tale umiltà e forza al tempo stesso, che ti marcano dentro per sempre! Sono queste le persone che portano sulle loro spalle il peso di tutto il genere umano: e lo fanno con un sorriso. Sono persone straordinarie, piene di quei valori universali che non conoscono differenze di razza, cultura o religione.

Aung San Suu Kyi è una di queste persone. Lei, la piccola, esile birmana, con sangue Karen nelle sue vene dalla parte del padre, ormai fa il giro del mondo per ricevere premi e onori, che non aveva potuto ritirare quando è stata incarcerata nella sua stessa casa, per tanti, troppi anni. Dopo il trionfale viaggio negli Usa di poco tempo fa, possiamo anche dire che ha una certa abitudine a queste onoreficenze.

Certo, la cittadinanza di Roma non è poca cosa: ma perché l’incontro con papa Francesco? La sua famiglia è sempre stata vicina ai cristiani: la mamma si dice fosse battista, anche se era molto, molto vicina alla Chiesa cattolica. Aung San Suu Kyi è chiamata a fare da ponte tra le varie etnie e il governo centrale: e tra i vari gruppi religiosi e il buddhismo ufficiale, cosa non facile e non priva di rischi. Ma rapprenta anche l’unica speranza per tenere insieme uno Stato che altrimenti potrebbe andare, ancora una volta, verso la guerra civile: con altri pretesti, scuse e motivi, ma sarebbe un doloroso ritorno al passato. Lo sanno tutti: i militari che hanno lasciato le uniformi e messo giacca e cravatta e siedono ora in Parlamento; gli Stati Uniti, che hanno elaborato il rilascio del premio Nobel e le condizioni per il suo reinserimento nella vita politica; le varie etnie in guerra da decenni; i diversi leader religiosi.

Questo “puntino” esile, quasi ridotto a nulla, è unaa donna che "sembra che si spezzi se la guardi troppo". Ma la su vera forza non sta nelle armi, nell’arroganza delle minacce; ma nella fermezza dell’animo, nelle ragioni della pace in cui crede: una pace con la quale tutti possiamo guadagnare, mentre con la guerra tutti perdiamo tutto. Era logico che Aung San Suu Kyi incontrasse anche il Santo Padre, per dare voce agli ultimi che lei rappresenta, ai perseguitati, agli oppressi: a chi ha sofferto per 50 anni e più sotto le armi del regime.

In Asia, papa Francesco si è imposto senza alzare certo la voce, con la sua vita e i suoi gesti. Non ultima la visita a Lampedusa, che ha spiazzato e colpito anche i leader musulmani. Aung San Suu Kyi è il segno di un mondo diverso che già c’è ed è “in mezzo a noi”: un mondo  che non fa rumore, che non s’impone, non urla e non minaccia bombardamenti; un mondo nel quale è possibile trovare un accordo tra tutti, senza bisogno di sopprimere o torturare l’altro per fargli dire un sì. Non poteva non incontrarsi col papa, che anche dai buddhisti è ammirato e rispettato. Penso che un incontro non fosse solo "dovuto", ma profondamente voluto e sentito da Aung San Suu Kyi.

È sera quando scrivo questo articolo: notte fonda ormai in tutta l’Asia. In Italia la Signora è ancora sotto i riflettori della stampa: se lo merita! Da parte mia, sento di poter dormire tranquillo: ho visto un altro segno che quel mondo nuovo in cui anch’io, come tanti, credo, è già iniziato! E questa donna ne è un’icona vivente.

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