Appello disarmato per la pace in Terra Santa

A pochi giorni dalla giornata Onu di solidarietà con il popolo palestinese si è levato a Roma, nel giorno di Cristo Re, un’invocazione alla coscienza internazionale per fermare la strage di tante vittime innocenti in Terra Santa. La testimonianza diretta di padre Ibrahim Faltas della custodia francescana di Gerusalemme
Terra Santa. Suore confortano donne palestinesi dopo attacco aereo a Gaza che ha colpito una chiesa cristiana ortodossa (Foto AP/Abed Khaled)

Quest’anno la Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese indetta fin dal 1977 dall’Onu viene a cedere nel mezzo di una pausa dei bombardamenti a tappeto sulla Striscia di Gaza. È in atto lo scambio di ostaggi tra il governo israeliano e l’organizzazione politico militare di Hamas che controlla quella parte di territorio della Terra Santa dove si concentrava una densità urbanistica tra le più alte al mondo.  Il bilancio provvisorio al 28 novembre delle vittime dei raid aerei e delle incursioni di terra è di circa 16 mila vittime, tra i quali 6.500 bambini e 4 mila donne.

Sono cifre dell’orrore che si aggiungono allo strazio per l’azione terroristica compiuta il 7 ottobre da Hamas in territorio israeliano con una violenza estrema che ha colpito, tra l’altro, gli abitanti dei kibbutz che appartengono in buona parte a formazioni sociali e politiche israeliana aperte al dialogo con i palestinesi fino a promuovere, ormai da anni, iniziative comuni di solidarietà. La tragedia assume una deriva sempre più pericolosa per l’attenuazione progressiva del senso di umanità e compassione che tuttavia resiste dentro un conflitto che, al termine della sospensione dei bombardamenti, si  annuncia ancora più cruento come promesso dal premier di Tel Aviv Netanyahu.

Nonostante il lavoro in corso delle varie diplomazie, non si vede all’orizzonte la possibilità dell’intervento di forze internazionali di pace per dividere le parti e far rispettare le regole del diritto umanitario in tempo di guerra. è rimasto senza risposta l’invito del vicario della Custodia di Terra Santa, padre Ibrahim Faltas, almeno all’invio di osservatori sul campo da parte della comunità internazionale.  Le istituzioni europee hanno espresso linee diverse tra la presidente della Commissione von der Leyen e Borrel, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

E ad ogni modo non si registra, se non nel voto di singoli Paesi in sede Onu, uno scostamento da parte delle nazioni del Vecchio Continente nei confronti della politica statunitense che appare seriamente preoccupata per la possibile escalation bellica in Medio Oriente tanto da far muovere il presidente Biden che si è recato in Israele invitando Netanyahu a non ripetere gli errori degli Usa dopo l’attentato alle Torri gemelle del 2001. Un suggerimento che non ha condizionato tuttavia il costante piano di riarmo di Israele da parte dell’amministrazione di Washington.

Davanti a tale scenario appare ancora più lancinante l’anniversario del 29 novembre che è stato scelto dall’assemblea generale delle Nazioni Unite perché in quel giorno del 1947 fu approvata dallo stesso organo la Risoluzione 181 che prevedeva il Piano di partizione della Palestina elaborato dal Comitato Speciale dell’ONU sulla Palestina (UNSCOP). Una risoluzione rimasta non attuata e che fonda la pretesa delle famiglie palestinesi a fare ritorno nei territori da cui son dovuti fuggire per l’espansione progressiva dello stato israeliano. Sono in gran parte degli sfollati gli stessi abitanti di Gaza, terra di antiche tradizioni, culla del monachesimo cristiano dei primi secoli come testimonia la presenza di chiese e conventi.

Quest’area così importante per gli equilibri mondiali dista poche ore di volo da Roma e domenica 26 novembre padre Faltas ha celebrato la messa di Cristo Re con la comunità monastica di San Bernardo alle Terme, una chiesa a pianta circolare ricavata all’interno delle Terme di Diocleziano, vicino la Stazione Termini. Il francescano aveva accompagnato dal papa qualche giorno prima una delegazione di familiari e amici dei palestinesi rimasti intrappolati a Gaza («uno di loro ha perso 30 persone sotto le bombe» ha sottolineato padre Ibrahim. Nello stesso giorno Francesco ha accolto anche le famiglie di alcuni ostaggi israeliani in mano ad Hamas.

Nonostante tutte le accortezze è stata inevitabile la reazione polemica sulla stampa alle poche parole di sostegno e preghiera da parte di chi, come il papa, si pone sempre da parte delle vittime di strategie di potere decise altrove.

Sotto le volte di una cupola simile al Pantheon, assieme ai monaci cistercensi di prevalente origine etiope, tra pochi fedeli di una mattinata splendida di freddo e sole, si è levato l’appello del francescano egiziano di Terra Santa che ha citato le letture del giudizio finale del vangelo del giorno di un Re crocifisso, identificato tra i malati, i reclusi, gli assetati e affamati. Riconosciuto come tale da alcuni e ignorato dagli altri che si stupiscono amaramente di non averlo visto durante il lasso della propria esistenza giunta al termine.

Padre Faltas ha pregato per tutti i bambini, di Tel Aviv come di Gaza, uccisi dalla guerra senza senso che colpisce da così da gran tempo la Terra Santa da lasciarci assuefatti davanti ad una tragedia che appare senza fine ma evoca un giudizio per questa generazione che non sa ascoltare e vedere ( “ero sotto le bombe, malato, senza acqua, luce e cibo…”).

Il francescano non ha avuto timore di denunciare la processione di autorità internazionali (“i potenti della Terra”) che si sono recate sui luoghi dell’eccidio in atto senza chiedere, tranne ovviamente il segretario dell’Onu Guterres, il “cessate il fuoco”, la fine immediata dei bombardamenti destinati a moltiplicare il numero dei morti e feriti oltre a fomentare altro odio e rancore.

Fino a quando? Un grido che resta inascoltato in attesa dei tempi decisi dalle strategie di chi la guerra decide e arma da entrambe i fronti. «I potenti di oggi» ha detto padre Faltas «non vedono cosa accade a Gaza dove 2 milioni e 300 mila persone hanno fame ma non c’è il pane, hanno sete ma non c’è acqua. Potete immaginare cosa significa? 40 mila feriti in questa guerra non hanno possibilità di essere curati perché gli ospedali sono stati distrutti.

Più di un milione di persone sono rimaste senza casa. Hanno distrutto anche le scuole e le strutture civili. Non è rimasto nulla a Gaza.  Anche a Gerusalemme la situazione è drasticamente cambiata.

Ormai in Terra Santa si parla del prima e del dopo 7 ottobre. La città è deserta, tutti hanno paura uno dell’altro. La chiesa del Santo Sepolcro è vuota, mentre in questi giorni si registrava negli anni precedenti una fila interminabile di pellegrini in attesa di entrare. A Betlemme, città resa deserta, sono i cristiani palestinesi a soffrire di più perché il 95% di loro lavora per il turismo e adesso non hanno occupazione mentre speravano di riprendere a pieni ritmi dopo 2 anni di inattività per la pandemia da Covid.

Anche Betlemme come Gaza sono delle prigioni a cielo aperto perché la gente non ha libertà di movimento. Anche coloro che attraversavano il muro per andare a lavorare in Israele non possono farlo. I cristiani palestinesi sono sempre di meno. A Gerusalemme nel 1948 nella comunità della Chiesa latina si contavano più di 90 mila persone, ora ne sono rimaste meno di 9 mila e la spinta a fuggire è molto forte. Tra poco rischiamo d avere più alcun cristiano in Terra Santa.

Mai abbiamo vissuto un momento così. Non dimenticherò mai il 7 ottobre, Erano le 8 del mattino. Stavamo a scuola con i bambini a recitare la preghiera di San Francesco Signore fa di me uno strumento della tua pace” quando abbiamo sentito il rumore di un missile che arrivava a Gerusalemme. Una cosa mai vista in 35 anni che vivo sul posto e ho attraversato il periodo della prima e della seconda Intifada.

Abbiamo chiuso la scuola per 15 giorni. I bambini ormai sono diversi. Hanno paura. Mi ha colpito una bambina di 5 anni che ogni 5 minuti voleva chiamare a casa perché aveva timore per la vita del suo papà. In tutta la Cisgiordania esiste uno stato di guerra. Anche qui si contano dal 7 ottobre quasi 200 uccisioni, più di 3500 persone sono state arrestate.

Nessuno può vivere in pace e tranquillità in questo periodo così difficile per tutti, palestinesi ed ebrei israeliani.  Per questo l’invito che sale nel giorno di Cristo Re è quello della preghiera per tutti i bambini della Terra Santa, da Gerusalemme a Tel Aviv, da Gaza a Jenin, che soffrono tanto, ma anche per i “potenti della Terra” perché ascoltino la propria coscienza e decidano di lavorare sul serio per la pace, per un problema che si trascina da oltre 70 anni. Questo è il momento giusto per trovare una via di uscita. Se non si troverà una soluzione dopo tutte queste migliaia di uccisioni allora non avremo mai la pace in Terra Santa. Tutti parlano della soluzione dei due stati per i due popoli. Allora occorre non rimandare ancora ma definire una data precisa per il riconoscimento effettivo dello stato palestinese accanto a quello di Israele. Così avremo la pace per la nostra terra di pace».

Una cerimonia sobria e silenziosa in una chiesa costruita dentro le rovine di una costruzione imperiale (il complesso delle Terme dette di Diocleziano, il più terribile tra i persecutori dei cristiani) con effigi che rimandano alla vita di un santo (Bernardo) che la guerra invocava e predicava, con particolare riferimento alla Terra che ci ostiniamo a chiamare Santa.

Un invito potente alla conversione profonda, quindi, che muove anche l’azione politica che non può fondarsi sulla logica delle armi. Un’istanza alla coscienza lanciato alla vigilia della giornata indetta dall’Onu per ricordare, come sottolinea il sito ufficiale delle Nazioni Unite, «alla comunità internazionale che la questione della Palestina è ancora irrisolta e che il popolo palestinese deve poter godere di quei diritti inalienabili definiti dall’ l’Assemblea Generale» in un rapporto di pace giusta con Israele.

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