La pace ha bisogno di creativi

Gli stereotipi della convivenza impediscono di far cessare le guerre. Bisogna uscire dagli schematismi nei quali ci confinano i nostri pregiudizi e le nostre ideologie. Così anche in Ucraina e Gaza. L’esempio di Léa Shakdiel
Léa Shakdiel, il moderatore esperto di dialogo interreligioso Roberto Catalano e Rav Joseph Levi, già rabbino capo di Firenze alla conferenza svoltasi nella Sala Teatina del centro La Pira di Firenze.

Mercoledì 10 aprile, conferenza a Firenze, nella Sala Teatina del Centro Internazionale studenti Giorgio La Pira, protagonista una settantenne israeliana animata dal sacro fuoco della giustizia, della misericordia e della pace. Si chiama Léa Shakdiek, ha fondato un’associazione chiamata paradossalmente The Faithfull Left, cioè La Sinistra Credente. Non è una contraddizione in termini. Riunisce, incredibile ma vero, ebrei ultra-ortodossi, ortodossi, riformati e di altre tendenze, in uno spirito ecumenico assai originale per il mondo ebraico. Una recente manifestazione a Gerusalemme promossa dall’organizzazione, che pensava di riunire un paio di centinaia di aderenti all’idea, ha visto il convenire di più di 700 ebrei.

Léa intrattiene rapporti assolutamente normali e cordiali con palestinesi, cristiani e musulmani, con atei, con gente che ha semplicemente il verbo della giustizia e della pace. È femminista, per giunta, e credente: è riuscita a diventare rabbina, e non in un’organizzazione riformata, superando muri invalicabili della tradizione religiosa. Insomma, una persona che si fa gioco dei naturali confini mentali che bloccano le relazioni umane.

In tempo di guerra, le posizioni tendono a cristallizzarsi più ancora del normale, e i fondamentalismi nazionalistici, religiosi e politici impediscono di superare i confini della mente, di trovare le vie d’uscita che rompano gli schieramenti e consentano la pace. Léa, con la sua entusiastica energia, suggerisce una verità altamente politica: per uscire dalla spirale della violenza e della guerra non servono esecutori coi paraocchi, perché bisogna inventare, si deve uscire dai sentieri battuti. Tocca avere il coraggio di contestare il politically correct.

Osserviamo l’altra grande guerra del momento, quella ucraina. Il muro tra Russia e Nato è stato innalzato a dismisura, il fossato è diventato un abisso, il clima popolare si è radicalizzato: da una parte e dall’altra si demonizza il campo avverso, richiamando la propria parte al servizio della pretesa verità assoluta che è la propria vittoria, da raggiungere a tutti i costi, come un obiettivo fideistico. Salvo che la realtà è sempre più complessa di quanto si proclama, non è mai in bianco e nero, ma si nutre delle infinite sfumature del grigio. Oggi appare evidente come le armi non riescano a spostare da una parte o dall’altra le sorti del conflitto del Donbass, nemmeno col sacrificio di centinaia di migliaia di vite umane. Ma come riuscire a sedersi attorno a un tavolo di trattative, di compromesso, senza l’ausilio della creatività? Serve l’intelligenza di un Mandela, o anche di un Rabin e di un Arafat, che hanno saputo rimescolare le carte.

Analoga è la situazione nel conflitto tra israeliani e Hamas, e nel più profondo fossato che separa palestinesi da israeliani. Sembra che non vi sia nessunissima possibilità di uscire dallo stallo, di giungere a un compromesso vivibile, anche se qualcosa si muove nella società israeliana, un’alternativa alla visione guerrafondaia di Netanyahu, e in quella palestinese, contro la visione terroristica di Hamas. Bisogna che spuntino all’orizzonte, nell’emergenza, nuovi attori della politica che non abbiano un passato eccessivamente invischiato nella diatriba, più liberi di superare i confini mentali creatisi.

Così, c’è qualcosa che anche noi semplici cittadini possiamo attuare per lavorare per la pace: gettare alle ortiche le letture preconcette degli eventi. Nell’essere umano c’è la possibilità di superare tali confini mentali. Léa ne è un esempio, quando afferma che il 7 ottobre e la sproporzionata risposta dell’esercito israeliano sono semplicemente eventi a-religiosi, a-umani, a-politici: sono atti che non hanno nulla a che vedere con la fede, né tantomeno con la giustizia, e non nominiamo nemmeno la misericordia. In ognuno dei due campi, in ogni guerra, esiste la potenzialità di superare l’impasse con la creatività, con il coraggio di chi crede che anche nel campo avverso si possono trovare energie di pace, giustizia e misericordia. Servono tante Léa, e ci sono, basta guardarsi attorno senza le lenti della deriva nazionalistica, sovranista, che demonizza, diabolica.

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