50 anni di Europa e un’identà rifiutata

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¦ Il 25 marzo l’Europa celebra il cinquantesimo anniversario della firma del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, o, se si preferisce, della propria nascita ufficiale sancita dai Trattati di Roma. Dalle ceneri del Secondo conflitto mondiale, dalla grande speranza di un’era di pace per i suoi popoli e dagli sforzi congiunti di alcune menti illuminate, quali Adenauer, De Gasperi e Schuman, in appena una decina d’anni aveva preso corpo l’idea non nuova, ma finalmente proponibile e in qualche modo concretizzabile, dell’unificazione del Vecchio continente, a partire da un primo nucleo centrale di sei Stati, la Francia, la Germania, l’Italia e i tre del Benelux (Belgio, Olanda, Lussemburgo). Non per niente Romano Guardini poteva affermare che l’Europa era diventata per il mondo un punto di riferimento perché aveva elaborato il suo pensiero partendo dalle proprie sconfitte. Quando si vuole riavviare l’impresa familiare dopo un fallimento che l’aveva ridotta sul lastrico – e tale era stata la guerra -, si uniscono le forze e si mettono sul tavolo le risorse avanzate per condividerne e razionalizzarne l’uso. Si cominciò così dal carbone e dall’acciaio. E si pose mano alla costruzione di un grande mercato unico che gradualmente avrebbe portato all’abbattimento delle barriere doganali, alla libera circolazione delle persone, al riconoscimento reciproco dei titoli di studio, alla definizione di regole comuni condivisibili per tutto ciò che concerneva la vita dei cittadini, sottoponendo via via ogni successivo passo alla libera scelta dei governi democratici o direttamente degli stessi cittadini interpellati con referendum. Tant’è vero che si sono verificate anche recessioni da questo consorzio. Le basi fondanti poggiavano dunque sull’economia, cioè su un primo riassetto e sulla messa in comune delle materie prime, nonché sulle regole che avrebbero consentito la formazione di un grande mercato. Ma la speranza dei fondatori era esplicitamente rivolta ad una unità politica. E sostanzialmente già veniva avviato il processo di raccordo e condivisione di tutto quell’immenso patrimonio culturale che i Paesi europei possedevano in comune. Viene da chiedersi oggi quanto gli europei ne fossero intimamente coscienti, tanto era implicito e subliminale questo fondamento di valori. Il mondo era ancora diviso fra ovest ed est, cioè fra il cosiddetto mondo libero e quello che tale non era; e parimenti diviso fra nord e sud, cioè fra chi aveva accesso alle tecnologie che assicuravano il benessere e chi ad esse ancora aspirava. In questo contesto, pur partecipando alla dinamica complessa che lo sviluppo dei rapporti internazionali ormai produceva a dimensione planetaria, l’integrazione europea ha continuato a progredire, raggiungendo gradualmente, e non senza fatica, gran parte dei traguardi prefissati. Accingendosi a scrivere la storia d’Europa, Benedetto Croce confessò che si era trovato a scrivere la storia della libertà. Sulla base di questa tensione profonda la costruzione dell’unità europea è proseguita fra alti e bassi. Forse così lentamente proprio perché l’operazione riguardava i gangli vitali dell’organismo, e non doveva comprometterli, pena il rigetto. Oggi, infatti, si deve riconoscere quanto sia stata importante una crescita così graduale dell’unificazione europea, perché si è trattato di un vero sviluppo fisiologico che ha consentito all’organismo di espellere in maniera indolore le cellule morte della vecchia mentalità, per consentire la formazione e la crescita delle nuove cellule. E tuttavia una preoccupazione rimane. Sapranno cioè i figli di questa nuova Europa, ormai allargata a 27 Paesi, serbare memoria della propria identità culturale, cioè del proprio Dna etico? Perché è sulla condivisione dei valori che poggia questa costruzione. Popoli latini, germanici, slavi hanno superato atavici contrasti riducendo i motivi della concorrenza economica e le stesse contrapposizioni di carattere religioso che li avevano visti combattersi ferocemente per secoli.Oggi l’ecumenismo dei cristiani sembra invece avviato lungo un percorso irreversibile. Così come sembrerebbe impensabile un conflitto armato fra i Paesi membri. Viene dunque spontaneo chiedersi se questo processo di allargamento possa crescere indefinitamente, visto che la domanda di aderire all’Unione proveniente dall’esterno si va moltiplicando. Sembra infatti che questa spinta sia inarrestabile e risponda a una esigenza storica di grande portata, ma non si può non riflettere che la riuscita del processo di integrazione è legata alla necessità di rendere gli innesti compatibili con la pianta. E che il tempo è lo strumento indispensabile per l’adattamento reciproco delle parti. Almeno in questa prima fase non sarà allora assolutamente indifferente il riconoscimento della comune matrice culturale che ha distinto e forgiato i popoli dell’Europa per oltre duemila anni, poggiando su basi etiche e culturali, ancor prima che sull’unione politica. E sarà a partire da questa coscienza che si potranno successivamente immaginare innesti con popoli anche contigui, ma portatori di esperienze culturali molto diverse.

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