Zuppi, l’Europa ripudia la guerra?

La proposta del presidente della Cei di una Camaldoli europea per dare una visione solida ad un’azione coerente di pace. Un’esigenza sempre più urgente davanti alle tensioni geopolitiche internazionali. Incontro su “Quale Europa in un mondo in guerra” promosso il 20 marzo da Pax Christi e Focolari Italia
Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana ANSA/LUCA ZENNARO

Camaldoli è un monastero situato nel Casentino, grande area agricola del comune di Poppi nella provincia di Arezzo, nel mezzo di una foresta nata grazie agli stessi monaci che intorno all’anno mille decisero di farne il luogo di una riforma benedettina.

San Benedetto da Norcia è considerato il padre dell’Europa,a partire dalla scelta di fuggire, all’età di 17 anni, dalla Roma corrotta e in decadenza per rifondare una nuova convivenza costruita intorno al lavoro e alla preghiera. Era l’anno 497. La sua regola arrivò nel 540 come radice di una civiltà tessuta da una rete di monasteri diffusi in un continente attraversato da mutamenti epocali.

Per una parte del cattolicesimo italiano evocare Camaldoli vuol dire riprendere il discorso di quel gruppo di giovani studiosi che, tra il 1942 e 43, durante l’agonia del fascismo, trovarono in quel monastero un luogo protetto dove elaborare le basi culturali e ideali di un’Italia democratica e naturalmente cristiana.

Il loro rappresentante più autorevole, Sergio Paronetto, era convinto della necessità di dover partire da un serio esame di coscienza sulle troppe ambiguità e alleanze con il regime mussoliniano. Ma il giovane studioso morì prematuramente nel 1945 e questo mancato passaggio di autocoscienza ha segnato la riconquista della convivenza civile basata, comunque, su quei principii costituzionali maturati in gran parte proprio nella foresta camaldolese.

A luglio 2023, durante una giornata nella ricorrenza di quello storico convegno clandestino, il cardinale Matteo Zuppi ha parlato della necessità di una Camaldoli europea. Evidentemente non aveva in mente una conferenza di dotti esperti sul tema ma l’urgenza di una rifondazione di un edificio che rischia di dissolversi perché in forte crisi di identità. E la questione centrale è ancora una volta la guerra che, dopo l’irrisolto conflitto nella ex Jugoslavia, è tornata in maniera prepotente ad imporsi nel vecchio continente.

Lo ha ribadito il presidente della Cei nell’introduzione del Consiglio permanente dei vescovi italiani in corso a Roma fino al 20 marzo facendo evidente riferimento ai piani di riarmo predisposti dai vertici dell’Unione europea nel quadro di una crescita su scala mondiale.

«Non possiamo rassegnarci a un aumento incontrollato delle armi, né tanto meno alla guerra come via per la pace» ha detto Zuppi affermando che «la storia esige di trovare un quadro nuovo, un paradigma differente, coinvolgendo la comunità internazionale per trovare insieme alle parti in causa una pace giusta e sicura. Proprio su questo versante gli Stati e i popoli europei, le stesse istituzioni dell’Unione europea, devono riscoprire la loro vocazione originaria, improntando le relazioni internazionali alla cooperazione attraverso – come affermava Robert Schuman nella Dichiarazione del 9 maggio 1950 – “realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”».

Zuppi citando il testo ideato a Camaldoli, ha ricordato che  l’Italia «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (Costituzione, art. 11), chiedendosi se anche il resto del continente ne sia convinto: «l’Europa no?».

Nelle stesse ore Jopeph Borrell, Alto rappresentante per la politica estera della Ue,  ha invitato il governo israeliano a non ostacolare l’arrivo degli aiuti destinatati alla popolazione di Gaza, affermando che la fame è «usata, diciamolo chiaro, come arma di guerra. Ci sono derrate alimentari accumulate per mesi, che aspettano di entrare a Gaza, mentre al di là del confine si muore di fame». Ma Borrell è stato sconfessato dai rappresentanti di singoli Paesi, a cominciare dal governo italiano.

Nella relazione del luglio 2023 il cardinale Zuppi è stato molto esplicito affermando che «sarebbe importante che i cristiani europei tornassero a confrontarsi perché l’Europa cresca, ritrovi le sue radici e la sua anima, si doti di strumenti adeguati alle sfide. Molti estensori del Codice sono entrati nella DC e molti esponenti della DC – e di altri partiti – hanno assunto i contenuti del testo. L’esperienza insegna che il lavoro culturale, anche indipendente dalla politica, è fondamentale. Talvolta si usa la parola prepolitico a proposito del lavoro culturale, con una punta di deconsiderazione. Oggi ce n’è un grande bisogno per sfidare la politica a guardare lontano con visioni e pensieri lunghi».

Nascono da questa esigenza una serie di iniziative nella società italiana da parte di soggetti in grado di porsi domande di senso non fine a sé stesse ma per offrire un criterio di azione.

«Oggi – afferma Zuppi — non ci sono partiti d’ispirazione cristiana e, più in generale, partiti organizzati di stampo novecentesco. Questo non deve certo diventare un alibi per non cercare nuovi modi di fare politica o per fare politica svincolati da principi, valori e contenuti. Se non troviamo le mediazioni necessarie chi interpreta le esigenze, le orienta e sa indicare risposte nella complessità della vita? La disaffezione dalla politica non può non interrogarci».

Si colloca in questo filone di impegno l’incontro del 20 marzo su “Quale Europa in un mondo in guerra?”  promosso da Pax Christi Italia e Movimento dei Focolari Italia in un dialogo aperto con Marco Tarquinio, già direttore del quotidiano Avvenire, ed Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, davanti agli scenari geopolitici dei conflitti in corso che saranno messi in evidenza dalla relazione di Barbara Gallo, ricercatrice dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo.

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