Sardegna, gli elettori premiano l’unità

Una riflessione sui risultati del voto nell'Isola, e su come siano cambiati alcuni dei paradigmi che hanno caratterizzato la seconda repubblica.
Elly Schlein (s) e Alessandra Todde si stringono le mani in mezzo alla gente al quartier generale, Cagliari, 26 febbraio 2024. ANSA / Fabio Murru

Una riflessione che non ho sentito, nel diluvio di commenti al risultato elettorale sardo che affianca la pioggia di questi giorni, è sul fatto che gli elettori pare siano interessati all’unità delle coalizioni, o perlomeno ne puniscono la disunità.

È una chiave di lettura, come ce ne possono essere molte altre, ma segna a mio avviso un distacco anche rispetto alla cosiddetta “seconda repubblica”. Negli scorsi anni si è cercato di riprodurre un sistema di partiti in cui, come nella prima repubblica, c’era una appartenenza marcata dell’elettore al partito o all’area politica di riferimento: un centrosinistra riunito attorno al Pds di Occhetto e poi al Pd e un centrodestra “federato” da Forza Italia e da Silvio Berlusconi. I partiti cosiddetti “minori” andavano ad allearsi con i partiti maggiori per ottenere una rappresentanza parlamentare e locale.

Adesso l’elettorato è molto più mobile. Non si può dare per scontato, almeno per una buona fetta di cittadini che votano, che i voti di 5 anni prima si riprenderanno per fedeltà alla linea, indipendentemente dal candidato o dal lavoro svolto. Anzi, nel malcontento diffuso pare farso largo un desiderio di novità e di cambiamento “a prescindere” con frequenti e repentini cambi di governo locale e nazionale.

Quindi molti elettori valutano non tanto i partiti, e forse nemmeno più di tanto le culture di appartenenza, quanto le persone e i progetti. In questo quadro, di cui dò solo una lettura personale, non essendo né sociologo né studioso di sistemi politici, conta molto “come” si arriva al voto, non solo “con chi”.

Non so se è un bene o un male ma certo la raccolta voti facile, con un “mai con i comunisti”, “mai coi fascisti”, residuo della seconda guerra mondiale, o i più recenti “mai con i 5 stelle” sembra perdere fascino.

I litigi nella coalizione di centrodestra, e una volontà di Fratelli d’Italia di far valere il proprio peso elettorale nella scelta dei candidati a presidente di Regione, che anni fa non avrebbero nemmeno fatto notizia, abituati al cosiddetto “manuale Cencelli”, sono stati puniti dagli elettori.

E in precedenza sia il Pd che il Movimento 5 Stelle hanno sperimentato che l’impuntatura sull’andare da soli e sulla difesa identitaria dei propri valori, paga meno di un onesto anche se parziale compromesso. Che poi era la specialità delle correnti Dc, ma questa è storia.

Quindi lo spunto che desidero proporre ai lettori è che c’è desiderio di unità delle forze politiche: non si chiede tanto l’uomo o la donna forte ma la capacità di fare sintesi, di “lavare i panni sporchi in casa”, non in modo ipocrita ma reale. Meglio fare meno ma in unità, ci diciamo a volte nei gruppi spirituali, e forse non vale solo lì.

In un mondo politico polarizzato da anni c’è voglia forse di pace, di relazioni normali tra maggioranza e opposizione, di meno demonizzazione dell’avversario e più postura istituzionale. Che non vuol dire rinunciare al confronto anche aspro, ma provare a fare “outing” di una fraternità di fondo tra cittadini e nazioni che il Vangelo ricorda da 2000 anni, in vista delle elezioni europee ormai imminenti.

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