35 ragazze hazare trucidate a Kabul

Un tragico attentato in Afghanistan ha di nuovo portato all’attenzione pubblica questo paese e la perseguitata etnia hazara. Le donne nel mirino. Uccidere non ha mai alcuna logica. È rinuncia ad essere umani.
Ragazze harare uccise a Kabul (AP Photo/Ebrahim Noroozi)

Perchè uccidere? Questa domanda penso sia entrata prepotentemente nelle nostre case, nelle nostre menti, soprattutto dal 24 febbraio di quest’anno. La morte, la guerra vicino a casa nostra, hanno fatto irruzione nelle nostre vite in modo violento. La nostra vita è cambiata.

Nei giorni scorsi in Afghanistan, l’ennesima violenza mortale portata da un attentatore suicida all’interno del centro educativo Kaj, a Kabul nel quartiere di Dasht al-Barshi.

Perchè uccidere 35 giovanissime ragazze di etnia hazara? Che male avevano mai fatto? L’attentanto ad una sessione di esami a Kabul, capitale afghana sempre più associata e legata a morte e distruzione della sua stessa gente, ha un bilancio assurdo: 35 morti e 85 feriti, per lo più donne, tutte giovani, di etnia hazara e di religione musulmana sciita, una tra le pìu perseguitate in Afghanistan, sia dai Talebani che dai jihadisti dell’Isis, che considerano gli sciiti eretici e le donne esseri inferiori.

Possiamo chiederci se possono esserci delle “ragioni” che giustificano un atto del genere. Nessuna ragione logica: solo l’assurdo e l’illogicità dell’odio, della violenza, possono portare a tanto. Perchè l’uccisione, la soppressione fisica di qualcuno ritenuto avversario, è comunque una violenza, un sopruso che non ha spiegazione logica. L’odio, il male che ne è la radice, è illogico per essenza, distruttivo per il suo svolgimento. Mentre l’essere umano è per natura portato alla vita, ai legami, ad espandersi, a costruire, l’odio distrugge tutto ciò che incontra, e distrugge chi lo porta in sè, lo coltiva e lo diffonde. L’amore invece edifica colui che lo custodisce e costruisce attorno un ambiente che porta gioia, serenità, sviluppo e legami umani, cioè convivenze pacifiche, sviluppo umano, che aiuta anche il bene degli altri.

Purtroppo per alcuni l’odio è la ragione di vita, al punto di sacrificare ad esso quanto si ha di più caro, perciò anche la propria vita. L’odio cresce per una sorta di autocombustione distruttiva, che non si spegne se gli si dà spazio, e provoca un piacere maligno. La sua forza è anche la sua debolezza, perché si basa su una menzogna, su una distorsione valutativa: la considerazione dell’altro in termini di male assoluto, rifuggendo la bellezza della complessità e quindi della realtà. Smontare questa costruzione illusoria è uno degli antidoti più efficaci nei confronti dell’odio. Ed è quello che dobbiamo fare tutti: smontare la costruzione illusoria di ogni forma di odio, di pseudo ragione che può portare ad uccidere l’altro e me stesso.

Non si possiede l’altro odiandolo e ancor meno uccidendolo. L’amore è gratuito, rispettoso della libertà, non programmabile. Mentre l’odio si può suscitare deliberatamente, lo si può pianificare mediante regole precise e ricorrenti.

E la storia ce ne da esempi a non finire, come il genocidio in Ruanda. Un atto criminale pianificato con anni di anticipo e costato la vita ad un milione di persone in un tempo record: aprile/maggio 1994. La storia moderna è piena di questi esempi orribili.

E sono, sempre di più, le donne a portare il peso di questi eventi. Perchè colpire le donne, la figura della donna? Perchè segregare le donne ad un ruolo marginale nella società, e comunque sempre sotto il controllo di un potere maschilista opprimente? Perchè disconoscere il valore della maternità e della femminilità? Penso a questi fatti e leggo le notizie mentre mi trovo in viaggio su di un autobus tra Bangkok e Chiang Mai, in Thailandia: gli occhi si posano sulla notizia di un fatto appena accaduto, di una giovane donna uccisa dal suo compagno, fatta a pezzi e seppellita ai piedi di una autostrada in sacchi della spazzatura. Mi chiedo come si possa essere capaci di fare questo ad un essere umano, ma soprattutto ad una ex-compagna, perciò ad una persona che sicuramente si è amata e con la quale si è condiviso tempo, sentimenti sogni e progetti?

Non ci possono essere ragioni per spiegare una cosa del genere, se non l’assurdo. Io credo che, come uomo, ho il dovere di difendere la femminilità in generale, di capirne i sogni, i valori, la diversità e le potenzialità: perchè l’umano è uomo e donna o non è. Enon c’è umanità senza diversità.

Le donne con cui lavoro, dalla direttrice di questo giornale ad altre figure importanti nei miei impegni professionali, rappresentano per me un grande valore e una ricchezza che mi stupisce sempre. Sento il dovere di mettere la donna al suo posto nella mia vita personale e nella vita di ogni giorno.

«Senza le donne, l’umanità finirebbe in un sol giorno», ebbe a dire una volta Chiara Lubich quando le chiesero qual era secondo lei il ruolo della donna. Faccio appello a tutti i lettori e le lettrici: abbiamo un compito, quello di portare una comprensione nuova del posto delle donne del mondo. «Mai, come in questo periodo – ebbe a dire Pasquale Foresi anni fa – la figura della donna è attaccata». Devo fare attenzione, allora, a tutto quanto può nuocere alle donne: come uomo sento che posso e devo incrementare la dimensione femminile in me e nella mia vita quotidiana.

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