L’ultimo avvertimento di Henry Kissinger

È morto il 29 novembre all'età di cento anni l'ex segretario di Stato americano. Un uomo che ha fatto la Storia, pur tra le molte controversie che il suo approccio di realpolitik ha generato
L'ex segretari0o di Stato Usa, Henry Kissinger, mentre partecipa al programma televisivo "Cavuto Coast to Coast". (AP Photo/Richard Drew, File) Associated Press/LaPresse Only Italy and Spain

(da New York) Era arrivato sommessamente in sala stampa, sulla sua sedia a rotelle, circondato dalle guardie del corpo. Proibito fargli domande o scattare foto. Non interveniva alle celebrazioni e preferiva inviare video registrati, ma per Mario Draghi aveva fatto un’eccezione: voleva esserci. Voleva esserci per lodare «la capacità analitica, il coraggio e la visione di Mario», oltre che sottolineare la trentennale amicizia nata da uno scambio di panini su un volo. Henry Kissinger non ha mai voluto mancare agli appuntamenti con la storia e anche l’assegnazione del premio statista dell’anno a Draghi, da parte della Fondazione Appeal of Conscience a New York, era uno di questi. L’ultimo appuntamento è stato a Pechino lo scorso luglio, quando da diplomatico, ormai centenario, ha voluto spianare il terreno all’incontro tra il presidente americano Joe Biden e il presidente cinese Xi Jiping e sciogliere un nuovo fronte di guerra fredda, spostata stavolta in Oriente.

Quella sera Kissinger ci osservava in silenzio, meditabondo. Seguiva assieme a noi giornalisti i discorsi introduttivi alla premiazione di Draghi. Qualcuno dei colleghi lo sospettava assopito, ma è bastato l’ingresso in sala e le prime parole rivolte a Mario perchè Henry Kissinger si mostrasse ancora una volta Kissinger: il geniale e controverso segretario di stato statunitense. Il prefisso ex non gli si addiceva, anche oltre mezzo secolo da quel 1969, quando il presidente repubblicano Richard Nixon scelse questo professore ordinario di Harvard come consigliere alla sicurezza e segretario di Stato. Mandato che gli confermò anche il successore di Nixon, Gerald Ford fino al 1977, tracciando gli otto anni con cui Kissinger ha segnato la storia degli Usa e del mondo.

Kissinger è morto mercoledì alle tre del mattino nella sua casa in Connecticut da centenario: il 27 maggio scorso il suo compleanno era stato celebrato con un ricevimento nella storica Biblioteca della 5 Avenue di New York. Il segretario di stato americano, Antony Blinken e il direttore della Cia, William Burns, vi avevano partecipato.

Nato da una famiglia ebrea nella Germania di Weimar nel 1923, Kissinger, assieme alla famiglia partì per New York nel 1938, all’età di 15 anni, per sfuggire alla persecuzione nazista. Negli Usa si laureò ad Harvard, diventando professore ordinario di politica dei governi. Il suo lavoro accademico focalizzato sulla realpolitik sarà la bussola della sua attività di segretario di Stato. La diplomazia, per lui, serviva a raggiungere obiettivi pratici piuttosto che a promuovere nobili ideali; e per far fronte a un sistema anarchico le grandi potenze dovevano agire nella Storia e promuovere i propri interessi.

Nel corso della sua permanenza nel gabinetto di Nixon Kissinger ha ottenuto molti grandi successi: ha aperto relazioni diplomatiche con la Cina, ha negoziato la fine della guerra dello Yom Kippur, e ha saputo riunire sotto lo stesso tetto il presidente egiziano Anwar al-Sadat e il primo ministro israeliano Menachem Begin. Il segretario americano è stato il pioniere della politica di distensione con l’Unione Sovietica, attraverso negoziati sul controllo degli armamenti e vari contatti diplomatici. Ha voluto fare degli Stati Uniti un baluardo contro la tirannia e il totalitarismo, anche se quando si trattava di difendere gli interessi americani non si è fatto mai problemi nel sostenere tiranni e dittatori; in virtù del pragmatismo politico che ha guidato sempre il suo lavoro, portandolo ad usare mezzi discutibili pur di assicurarsi che gli Stati Uniti non fossero minacciati dall’espandersi di stati socialisti o comunisti.

Tra le pagine più controverse delle sua carriera ci sono i bombardamenti in Cambogia nel 1970 per frenare il rifornimento e le vie di infiltrazione dei Viet Cong, che alla fine si rivelarono una pista favorevole alla presa di potere degli Khmer rossi che uccisero oltre 1,5 milioni di persone, compiendo un vero e proprio genocidio. Anche il sostegno indiretto al colpo di stato militare cileno del 1973, che destituì l’allora presidente Salvador Allende, come l’appoggio all’operato della giunta militare argentina, sono imputabili alla sua politica del realismo. Mentre il suo silenzio di fronte alle atrocità compiute in Bangladesh dal Pakistan, quando a morire furono 300.000 bengalesi, continua a pesare sul valore delle sue strategie diplomatiche.

Nel 1973 Kissinger ricevette un controverso Premio Nobel per la Pace, principalmente per aver contribuito a porre fine alla guerra del Vietnam. La decisione di insignirlo di questa onorificenza fu seguita dalle dimissioni di due membri della Commissione per il Nobel e dal rifiuto di Le Duc Tho, capo della commissione centrale organizzativa del Partito Comunista del Vietnam, co-assegnatario assieme all’allora segretario di stato Usa. Quando Saigon cadde nel 1975 e gli Stati Uniti contarono oltre 21.000 militari americani morti, Kissinger cercò di restituire il Premio Nobel per la pace, ma senza esito. Nel 2015, quando da 91enne Kissinger comparì davanti alla commissione per le forze armate del Senato, decine di manifestanti irruppero nella seduta chiedendo l’arresto dell’ex segretario di Stato, accusandolo per crimini di guerra.

L’ultima frontiera di Kissinger, assieme alla Cina, è stato esplorare le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale in ambito diplomatico e nelle relazioni internazionali, in un libro scritto con il co-fondatore di Google.

A quanti si domandano quanto le sue radici ebraiche abbiano influito anche nelle sue scelte politiche, va ricordato che Kissinger si definiva «prima un americano, poi un nixonista e per ultimo un ebreo»; eppure nel libro Leadership. Sei lezioni di strategia globale, scritto a 99 anni, esprimeva ammirazione per sei leader internazionali definiti da lui «tutti profondamente religiosi». Proprio questo spirito sostiene le società occidentali e l’erosione della religiosità, secondo Kissinger, sta portando divisioni interne alle stesse società che ispirava. Il suo ultimo avvertimento di realpolitik.

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