Premierato: il parere dei costituzionalisti

Lasciamo spazio alla riflessione sulla proposta di governo a proposito del premierato. Un'analisi delle possibili conseguenze sugli equilibri di governo
Foto Lapresse

La riforma proposta dal governo Meloni prevede l’elezione diretta del premier. Molti costituzionalisti esprimono un giudizio negativo. Per Cesare Pinelli, docente di Diritto Pubblico alla Sapienza: «Ci hanno provato, un po’ di anni fa, in Israele ma dopo pochi mesi è stata eliminata in quanto non andava bene…. Perché manteneva la figura del Capo dello Stato esautorandola di molti poteri. Rendendola, insomma, una figura irriconoscibile» (Huffpost Italia, 3 novembre). Per il professor Francesco Clementi, docente di Diritto Pubblico comparato alla Sapienza: «L’elezione diretta del premier produrrebbe un solo effetto: quella di rendere il cittadino un tifoso, secondo un modello trumpiano o bolsonariano. E a noi non servono tifosi ma, al contrario, cittadini consapevoli che il loro voto sarà ascoltato». Bene cercare la stabilità, ma senza incoerenze come quella di un premier che non può revocare i ministri. Si rischia un effetto boomerang: il presidente eletto può essere disarcionato dalla sua stessa maggioranza senza che ciò comporti un voto anticipato, a costo zero. È un cappotto infrastrutturale con un presidente eletto ostaggio o vittima della sua stessa maggioranza, guidato dal secondo premier che ha brigato per disarcionarlo.

Questa riforma limita fortemente i poteri del presidente della Repubblica nel riattivare il circuito della politica quando il sistema dei partiti si blocca. Si spegne “il motore di riserva“, non più “reggitore dello stato di crisi” (Sole 24 Ore, 4 novembre). Per Sabino Cassese, già giudice della Corte Costituzionale, la riforma va nella direzione giusta, ma invita a introdurre il meccanismo della sfiducia costruttiva: per sfiduciare un premier, bisogna trovare contestualmente un governo nuovo che si regga su una maggioranza (La Stampa, 5 novembre). L’ex giudice costituzionale mette in guardia dal perseguire un eccesso di obiettivi: «Sarà legge con una maggioranza di due terzi. Al referendum finirà male».

La riforma rischia di sbandare soprattutto sulla stabilità in quanto la norma antiribaltone spinge paradossalmente il secondo premier non eletto ma della stessa maggioranza a far cadere il governo. Presidenzialismo o premierato? Insomma bisogna garantire durata e coesione ai governi. No all’uomo solo al comando. Il capo dell’esecutivo dovrebbe però essere in grado di dismettere i ministri. Il governo potrebbe essere sostituito quindi solo con una sfiducia costruttiva. Il presidente della Repubblica dovrebbe mantenere i poteri di orchestrazione che ha attualmente. Critico anche Marcello Pera, ex presidente del Senato, eletto in quota liberale in FdI: «Dubbi tecnici forse aggravano invece che risolvere il problema della stabilità. Ma se il primo ministro non ha il potere di sciogliere le Camere non siamo nel regime del Premierato». Lui avrebbe preferito la formula “simul stabunt simul cadent“. Governo e Parlamento cadano insieme in caso di mancata fiducia.

La seconda critica riguarda la volontà di toccare in modo limitato i poteri del presidente della Repubblica. Quello che per altri è una virtù, per Pera è un difetto. Poi è assolutamente contrario ad inserire in Costituzione il premio di maggioranza al 55%: «Sono contrario a mettere nella Carta i paletti per la legge elettorale» (Domani, 7 novembre).

Riassumendo le prime critiche finora espresse, sembra a molti che la riforma sia un pasticcio tecnico, assemblato cioè con sciatteria tecnico-intellettuale. Non è presidenzialismo. Sembra un progetto per rendere più forte l’istituzione governo, per rendere più stabile con il secondo premier di riserva, la maggioranza politica che lo occupa. Paradossalmente il ribaltone non potrà essere realizzato dall’opposizione ma dalla stessa maggioranza con il “secondo premier” che non potrà essere più toccato da nessuno. È come se cadesse Meloni eletta dai cittadini e governasse invece Salvini non eletto come premier fino alla fine della legislatura. Poi è grave non aver indicato una soglia del 50% più uno, per accedere al 55% dei seggi, fissato in Costituzione.
«Il referendum al termine dell’iter parlamentare darebbe una legittimazione ad una riforma che incide sul funzionamento della democrazia», sostiene Francesco Saverio Marini, costituzionalista vicino a Meloni, uno dei “padri” del premierato all’ italiana. A suo avviso la norma “antiribaltone” non esclude un allagamento della maggioranza. Il presidente della Repubblica non ha ragione di dimettersi se passerà la riforma, perché i suoi poteri non vengono toccati se non in minima parte. «Il rafforzamento degli esecutivi è un fenomeno diffuso in tutte le democrazie occidentali, fisiologico anche alla luce del fatto che negli organismi sovranazionali è il Governo a rappresentare il Paese, più che i capi di Stato. A differenza delle tradizionali forme di premierato non c’è la formula simul stabunt simul cadent, ma il presidente eletto può essere sostituito, e questo restituisce una sua centralità al Parlamento, anche se un po’ indebolisce il presidente eletto» (Avvenire, 3 novembre).
Il prof. Stefano Ceccanti dell’Università La Sapienza, teme «conflitti di natura esplosiva perché si eleggerebbe un premier a poteri formalmente invariati ma la cui fortissima legittimazione spingerebbe ad espandersi in modo eccessivo oltre a qualche limitazione formale alla formazione dei governi durante la legislatura». Infatti l’incarico, dopo il premier eletto, può essere affidato solo al secondo premier di riserva della stessa maggioranza.

Una riforma della forma di governo è  necessaria per avere governi efficienti di legislatura ma per questo basterebbe la soluzione tedesca del Cancellierato con legge elettorale maggioritaria, indicazione (non elezione diretta) del premier, fiducia in una sola Camera, potere di revoca dei ministri, sfiducia costruttiva ad un nuovo governo a maggioranza assoluta, potere di chiedere al capo dello Stato lo scioglimento delle Camere se entro pochi giorni non si elegge un nuovo cancelliere a maggioranza assoluta. In Italia il presidente della Repubblica verrebbe ridotto a un ruolo notarile con potenziali conflitti con un premier che fortemente legittimato dal voto tenderebbe ad impadronirsi di poteri che formalmente non gli vengono attribuiti da questa riforma. Ceccanti si augura che la maggioranza, temendo una sconfitta al Referendum, possa fermarsi prima e trovare una soluzione condivisa con le opposizioni. Esiste infatti una gravissima anomalia: viene attribuito il 55% dei seggi senza la soglia del 50% più uno dei voti, in doppio turno, come nella elezione dei sindaci. La riforma, afferma, è incamminata su un binario sbagliato. La stabilità dell’esecutivo si può ottenere in modo condiviso con la soluzione tedesca senza avere un Premier “comandante senza poteri” (Vita del popolo, 17 novembre).
Per Giuliano Amato viene stravolto il sistema basato sul Parlamento. Così il Quirinale perde autorevolezza. Viene prosciugato il ruolo di garanzia del presidente della Repubblica. Preferibile il modello tedesco che non altera la nostra struttura costituzionale. Per il prof. Roberto D’Alimonte l’elezione diretta del premier si può ottenere senza cambiare la Costituzione. Basta una legge elettorale che preveda un ballottaggio se nessun premier indicato raggiunge la maggioranza assoluta al primo turno. Questa soluzione piace a Italia Viva: un ballottaggio al secondo turno come nella legge per i sindaci. Una parte del PD forse accetterebbe.
Il prof. Paolo Armaroli, docente di Diritto pubblico comparato all’Università di Genova, invita Giorgia Meloni a ripensarci. La riforma è un arretramento rispetto al premierato di fatto e se sconfitta al referendum rischia di perdere la faccia. È sbagliato eliminare i senatori a vita se presenti in Aula e prestigiosi in vari campi. Escludere il premier di riserva tecnico limita le possibilità di uscire da grave crisi finanziaria e istituzionale. Vede poi ribaltoni possibili con il secondo premier di riserva. Le opposizioni infine, su questa riforma, troveranno un bersaglio comune. Il costituzionalista Michele Ainis vede il rischio di sfasciare l’attuale sistema di equilibri indebolendo presidente della Repubblica e Parlamento. Servono pertanto correttivi per evitare un “pasticcio costituzionale ” (Milano Finanza, 10 novembre). Il prof. Giovanni Orsina, al contrario, vede nel premierato proposto dal Governo Meloni un antidoto al populismo (La Stampa, 12 novembre). Gli elettori infatti sono mal disposti al fatto che la scelta del vertice dell’Esecutivo non spetti a loro. La mediazione dei partiti non è più accettabile ora che questi sono fragili.

Il dibattito continua. Speriamo in un saggio dialogo tra maggioranza e opposizioni trattandosi di regole comuni da condividere senza lacerazioni istituzionali e politiche.

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