Il Napoleon di Ridley Scott

Esce il kolossal del regista inglese. Criticato, esaltato, ridimensionato. Ma è fiction non un testo storico.
Il protagonista Joaquin Phoenix alla prima del film "Napoleon" a Londra. (Photo by Scott Garfitt/Invision/AP)

A me le due ore e passa del filmone sono piaciute. D’accordo, la prima parte è un po’ troppo veloce, ma poi , dopo l’incoronazione (lasciamo stare i dettagli di Pio VII con i riccioli, Talleyrand “ricreato”…) il film vola, eccome. Le sequenze delle battaglie – Austerlitz e poi Waterloo – sono mirabili per dispiegamento di mezzi, realismo crudele, disposizione scenografica. Ma non solo: i caratteri dei personaggi, il fatuo zar Alessandro, l’ambiguo imperatore austriaco, e il duello all’ultimo sangue con Wellington sono figure rapide, essenziali. Rimangono impresse oltre a queste altre scene: Mosca in fiamme davanti all’incredulo Bonaparte, la partenza per l’esilio di un Bonaparte ancora un mito per i giovani davanti ad un Wellington meschino e duro. Le ultime scene dell’esilio, con il Generale controllato, la barba lunga, sono forse il momento più alto di un film epico, drammatico, raccontato all’inglese con sintesi, ma pure con un invincibile sguardo di malinconia, come se il regista osservasse con il pensiero di oggi la rapidità della ascesa e della caduta di un personaggio che si credeva carismatico.

Ecco perciò tratteggiate le debolezze di Bonaparte, l’ambizione sfrenata – memorabile la scena del “colloquio” in Egitto con la mummia del Faraone -, la dipendenza dal clan familiare – la madre -, e soprattutto la lunga storia d’amore con Giuseppina – raccontata molto bene -, il solo amore della vita, pur tra reciproci tradimenti e un divorzio politico.

È la storia di un provinciale introverso che si fa strada, arriva al potere, lo esalta e lo perde, finendo con triste solitudine in esilio (e qui l’attore Joaquin Phoenix dà il meglio).

Un lavoro del genere, tra scenari di interni fastosi, musiche del tempo appropriate e interpreti perfetti (Vanessa Kirby come Giuseppina e Rupert Everett come Wellington) è certo non la storia perfetta da manuale, ma una fiction (sarebbe utile vederla senza tagli) che con un tono anche melodrammatico mostra agli occhi di oggi glorie e cadute di un personaggio oscuro diventato il dominatore d’Europa.

Joaquin Phoenix, come si diceva, recita alla grande: è Napoleone, fisicamente, psicologicamente, nell’andatura, nel linguaggio, nel modo di stare con gli altri, di amoreggiare, e così via. Da Oscar.

Il regista, lo si sente, è un inglese che puntigliosamente enumera i morti a causa di Napoleone e dimostra simpatia per Wellington. Ma lasciamoglielo fare. Già presentare al grande pubblico un personaggio come Napoleone è un rischio. Gente simile è difficilissimo raccontarla. Si pensi solo alle imprecisioni in cui scivolano talora anche storici televisivi come Barbero e Cazzullo. E poi il film-fiction monumentale non è davvero male. Buono spettacolo.

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