Il debito pubblico e la tentazione del “qui ed ora”

Troppe facili promesse da parte di una politica demagogica hanno effetti pesanti per il futuro di un Paese come l’Italia. Attenzione ai giovani che non possono essere condannati a pagare i debiti delle generazioni precedenti
Debito pubblico Foto Pixabay

Gli anni successivi alle crisi petrolifere degli anni ’70 hanno visto l’ondata più forte di salvataggi di imprese da parte dei lavoratori. È un fenomeno complesso e molto interessante.

Qui vorrei citare solo un problema. Se la proprietà è in buona parte collettiva, quando le cose iniziano ad andare meglio i lavoratori sono tentati di distribuirsi i salari più alti possibile, non lasciando niente in cassa per finanziare gli investimenti in nuovi impianti e macchinari, con il risultato di meno investimenti o di più debiti.

«Certo, se facciamo un po’ di sacrifici e mettiamo un po’ di soldi da parte, in futuro l’impresa sarà più solida e anche la torta da dividere sarà più grande, ma chissà se noi saremo ancora lì, perché altrimenti i benefici se li godrà qualcun altro». Alcune di queste imprese hanno messo comunque da parte somme di entità adeguata.

Altre, forse perché l’età media dei lavoratori era più alta e quindi l’andata in pensione più vicina, forse per poco senso di solidarietà, di risparmio ne hanno fatto poco o nulla e così nel tempo si sono indebolite.

Quella che ho descritto potrebbe sembrare una situazione strana, lontana. Eppure le nostre scelte di finanza pubblica le assomigliano molto.

Anche qui c’è da decidere se distribuire oggi il massimo possibile – sotto forma di trattamenti pensionistici o fiscali più favorevoli, sussidi, bonus … – o autolimitarsi per contenere l’indebitamento, cosa che negli anni a venire darebbe indubbi vantaggi al Paese nel suo complesso (ma forse non proprio “a me”).

Per avere un’idea di questi vantaggi basta confrontare il caso dell’Italia con quello del Belgio, che negli anni ’90 aveva un debito pubblico peggiore del nostro.

Oggi il loro è poco sopra il 100 per cento del Pil, mentre il nostro supera il 140 per cento e non promette di scendere in fretta.

Risultato: essendo meno affidabile, il Tesoro italiano è costretto a pagare tassi di interesse più alti di quello belga per trovare finanziatori, uno scherzetto da oltre 25 miliardi all’anno, una cifra importante che permetterebbe – ad esempio – di rilanciare la nostra impoverita sanità.

Già questo esempio ci suggerisce che, come nel caso delle imprese di proprietà dei lavoratori, anche in fatto di finanza pubblica c’è qualcuno che riesce resistere alla tentazione di prendere tutto il possibile oggi e lasciare i debiti a chi ci sarà domani.

Ce lo conferma il fatto che tra i 27 membri Paesi dell’Unione Europea ce ne sono 14 che hanno debiti pubblici di ammontare inferiore al 60 per cento del Pil (la soglia a suo tempo indicata dal trattato di Maastricht); e non sono tutti ricchi e potenti. E altri 6 Paesi sono sotto l’80 per cento.

Come spiegare questa diversità dell’Italia? Non è facile trovare eventi sfortunati che si sarebbero verificati solo, o quasi, nella nostra penisola.

La ragione principale sta nel nostro sistema politico: in parte negli orientamenti degli elettori (forse entrano in gioco ancora una volta l’alta età media, che non aiuta a guardare lontano, e il poco senso di solidarietà verso chi viene dopo di noi); e in parte nelle strategie dei leader politici, pronti ad approfittare di quegli orientamenti.

Anche l’ultima campagna elettorale, come le precedenti, ha visto grandi promesse, a dispetto dei rischi di un debito grande come il nostro, che siamo sì riusciti a gestire in questi anni, con il robusto aiuto della Banca Centrale Europea e grazie alle condizioni internazionali di grande liquidità (e quindi di credito facile e di tassi relativamente leggeri).

Ma da quando è riapparsa l’inflazione queste circostanze non sono più – e per un po’ non saranno – altrettanto favorevoli.  L’ottimismo di chi ha continuato ad andare avanti a suon di debiti grazie a circostanze probabilmente irripetibili assomiglia a quello di chi trova comodo per accamparsi il greto di un torrente nel momento in cui è in secca. Ma poi il tempo cambia.

Questo purtroppo i votanti non lo hanno molto considerato e, anziché diffidare di chi prospettava con troppa facilità maggiori erogazioni e tagli di tasse, ne sono stati attratti.

E così adesso, nonostante che la situazione dei nostri conti pubblici non lasci margini, gli eletti vorrebbero realizzare almeno alcune di quelle promesse.

Da qui la trattativa con le autorità europee perché acconsentano che lo Stato italiano si indebiti più di quanto preventivato.

Una strategia che, oltre ad accontentare immediatamente alcune categorie, ha anche il gradevole effetto di sostenere i consumi, e quindi la produzione e l’occupazione; ma a costo di minare ulteriormente la fiducia verso il Tesoro italiano, e quindi di far salire ancora di più i tassi di interesse che dovrà pagare per finanziarsi.

Teniamo presente che i maggiori tassi che furono necessari per collocare i Buoni del Tesoro decennali da metà 2018 all’autunno 2019, quando il governo giallo-verde annunciò grandi programmi di spesa a debito, li stiamo pagando ancora e continueremo a farlo fino al 2029. E che questo atteggiamento di poca responsabilità finanziaria ha fatto sì che sia oggi considerato meno rischioso prestare alla Grecia – la primatista del debito in Europa con il 170 per cento del Pil, ma in rapida discesa – piuttosto che prestare all’Italia; lo si può verificare confrontando i cosiddetti “spread” sui titoli di debito decennali.

Attenti al paradosso! Se il nostro governo otterrà un qualche via libera da Bruxelles ad aumentare il deficit questo verrà presentato come un successo. Ma è come se una persona gravemente sovrappeso potesse cantar vittoria per aver convinto la dietista a chiudere un occhio sui suoi eccessi di calorie!

Che non succeda come ad alcune delle imprese di proprietà collettiva sopra citate: se la situazione finanziaria si aggrava, poi c’è il rischio che i lavoratori con più opportunità se ne vadano, lasciando i debiti ai colleghi. Vi viene in mente qualche somiglianza con i nostri giovani più qualificati, che in gran numero cercano un futuro fuori dalle frontiere di questo Paese che abbiamo sempre più appesantito?

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