Nella cittadina di Mae Sot

Mae Sot
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Mae Sot

Sentire una profonda compassione per l'altro, nel più profondo delle proprie viscere. Le sue gioie, i suoi dolori e le sue paure; avvicinarsi all'altro, finché si stabilisce una comunicazione che va al di là  delle parole: questo  è il significato di en splanchnois, parola greca, ovvero "amore viscerale".

 

È l'unica parola che ho trovato per esprimere ciò che, insieme ad alcuni amici, ho sperimentato al confine tra Thailandia e Myanmar, nella cittadina di Mae Sot, a diretto contatto con i profughi Karen, un'esperienza che va avanti ormai da cinque anni.

 

Non restare indifferenti, in quest'epoca digitale che ci fa essere sempre più freddi ed estranei a sentimenti come la compassione è una grossa sfida per ognuno di noi. 

 

Saper vedere l'altro che ci sta vicino e agire per aiutarlo; saper parlare al suo cuore col proprio cuore (qui a Mae Sot la lingua karen è così diversa che non ci si capisce se non con un traduttore o con una comunicazione non verbale); parlare con gesti (donare una bottiglia di olio di palma, una scatola di sardine…), come anche fare una foto insieme; tutto questo è dare onore a chi scappa da una vita ed ha paura di tutto e di tutti.

 

Non si è più gli stessi dopo aver sentito le viscere fremere per la vita di chi soffre; ed è quest'esperienza che ci riporta alla vera realtà e ci dona uno scopo per cui vivere: sognare insieme un mondo nuovo, più unito, dove non ci sono più morti a causa del terrorismo e della guerra.

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