Un'agenda fitta di impegni articola i tre giorni di visita del pontefice in Congo, dall'incontro con le vittime di violenza a quello con i giovani
Tra suoni di tamburi, applausi ed esultanza migliaia di persone per strada o dai tetti delle case hanno accolto papa Francesco all’arrivo a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, all’inizio del suo 40esimo viaggio apostolico di sei giorni con tappe in Congo e in Sud Sudan, voluto da molto tempo dal pontefice e rinviato per problemi al ginocchio.
Atterrato all’aeroporto Ndjili di Kinshasa, il programma del primo giorno ha previsto una cerimonia di benvenuto presso il Palais de la Nation, dove si è svolta la visita di cortesia al presidente della Repubblica e l’incontro con le autorità, le società civili e il corpo diplomatico.
La seconda giornata, ieri 1 febbraio, si è aperta con la messa nell’aeroporto di N’dolo; durante l’omelia il papa ha lanciato un appello deciso contro lo sfruttamento dissennato e impietoso del Congo e delle sue risorse: «Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare». «Dopo quello politico, si è scatenato infatti un ‘colonialismo economico’, altrettanto schiavizzante. Così questo Paese, ampiamente depredato, non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono ‘straniero’ ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati».
Nel pomeriggio presso la Nunziatura Apostolica l’incontro molto toccante con le vittime dell’est del Paese, durante il quale ha tuonato: «In nome di Dio condanno le violenze armate, i massacri, gli stupri, la distruzione e l’occupazione di villaggi, il saccheggio di campi e di bestiame che continuano a essere perpetrati nella Repubblica Democratica del Congo», «umilmente abbasso il capo e, con il dolore nel cuore, gli chiedo perdono per la violenza dell’uomo sull’uomo. Padre, abbi pietà di noi. Consola le vittime e coloro che soffrono. Converti i cuori di chi compie crudeli atrocità, che gettano infamia sull’umanità intera!» ha continuato, invitando al contempo le vittime al perdono: «Vi prego di disarmare il cuore. Ciò non vuol dire smettere di indignarsi di fronte al male e non denunciarlo, questo è doveroso! Nemmeno significa impunità e condono delle atrocità, andando avanti come se nulla fosse. Quello che ci è chiesto, in nome della pace, in nome del Dio della pace, è smilitarizzare il cuore: togliere il veleno, rigettare l’astio, disinnescare l’avidità, cancellare il risentimento; dire ‘no’ a tutto ciò sembra rendere deboli, ma in realtà rende liberi, perché dà pace. Sì, la pace nasce dai cuori, da cuori liberi dal rancore». «Mai più: mai più violenza, mai più rancore, mai più rassegnazione!» ha aggiunto.
È seguito l’incontro con i rappresentanti di alcune opere caritative con i loro assistiti tra cui orfani, malati e disabili.
Il terzo giorno, oggi 2 febbraio, si è aperto con l’incontro con i giovani e i catechisti, espressione di una Chiesa giovane e partecipativa presso lo Stadio dei Martiri. Davanti a oltre 65mila persone il pontefice ha invitato a «vincere il male con il bene»: «Non lasciatevi manipolare da individui o gruppi che cercano di servirsi di voi per mantenere il vostro Paese nella spirale della violenza e dell’instabilità, così da continuare a controllarlo senza riguardi per nessuno», «siate voi i trasformatori della società, i convertitori del male in bene, dell’odio in amore, della guerra in pace». E «perdonate, perché perdonare vuol dire saper ricominciare. Perdonare non significa dimenticare il passato, ma non rassegnarsi al fatto che si ripeta. È cambiare il corso della storia».
Foto Ap/ via LaPresse
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