Le lacrime di Obama e quelle della Mogherini

La commozione del presidente degli Stati Uniti nei suoi discorsi è un segnale di vicinanza al dolore della sua gente; quella del ministro degli esteri europeo invece viene bollata come segno di debolezza. La differenza la fa il genere o la cultura politica?
Federica Mogherini

Leggendo a New York i giornali italiani mi ha sorpreso l’esistenza delle lacrime di genere. Tanti erano i commenti riservati allo scarso self-control e all’inopportunità della commozione dell'Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell' Unione europea, Federica Mogherini, a seguito degli attentati di Bruxelles. La Mogherini si trovava in Giordania e ricevuta la notizia dell’inattesa tragedia poco prima della conferenza stampa, si è visibilmente commossa e ha pianto.

 

Ne è nato un caso diplomatico perché “le sue lacrime sono un segno della debolezza dell’Europa”; “è una scena imbarazzante”; “La gente deve essere rassicurata dai loro leader, non vogliono vederli piangere. È un fatto che può accadere dietro le quinte, non in pubblico”. I titoli dei principali quotidiani andavano dalla cronaca "Le lacrime di Federica Mogherini dopo gli attentati di Bruxelles” alle citazioni “Meloni: «Le lacrime della Mogherini? Incoraggiano i terroristi»”, alle deduzioni politiche “Roma, le lacrime della Mogherini diventano un caso elettorale”, assecondando le polemiche o mantenendo un certo aplomb. Insomma debolezze di una donna che assieme all’ex ministro Elsa Fornero era riuscita nella stessa impresa della più giovane collega: associare lacrime, polemiche e richieste di dimissioni.

 

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il 12 gennaio scorso durante il discorso indirizzato alla nazione, in diretta con milioni di americani e davanti al Congresso ha pianto. Ricordando l’eccidio nella scuola di Sandy Hook, dove nel 2012,  27 persone vennero uccise e 20 tra loro erano bambini tra i sei e i sette anni, il volto del presidente si è rigato di lacrime. Obama si commuove tutte le volte che ricorda i morti provocati dal possesso incontrollato di armi e piange ad ogni incontro con i familiari delle vittime innocenti: i loro racconti sono davvero strazianti.

 

Nessun giornale statunitense, nessun americano e quasi nessun politico (chi lo ha fatto è stato più per opportunismo che per convinzione) ha osato pensare ad un segno di debolezza, al contrario quel dolore manifestato palesemente è un segno di compartecipazione che rende un presidente rappresentante di un popolo.

 

In quell’occasione neppure i giornali italiani hanno sollevato gli scudi, anzi in tanti hanno sottolineato la profonda commozione di Obama.  Al di là delle simpatie o antipatie che i due personaggi suscitano perché usiamo due pesi e due misure? Siamo davvero due Paesi e due culture profondamente diverse di fronte al dolore delle stragi inutili? E ancora: le lacrime hanno diverso valore a seconda dello status di chi le versa?  Modificano la loro levatura se a versarle è un ministro degli esteri donna e bianca o un presidente uomo e di colore?

 

Le lacrime esprimono sentimenti che toccano corde profonde in ciascuno di noi, qualunque sia il compito che riveste o il genere a cui appartiene o il colore della pelle. Alzi la mano chi una volta nella vita non ha mai assaporato il gusto salato delle lacrime, un gusto talvolta amaro per i tanti dolori, qualche volta anche dolce perché scaturito da risa e gioia. Non mi preoccupano tanto le lacrime, mi preoccupa piuttosto chi le teme e ne fa una distinzione di genere e un motivo di debolezza. Forse teme di sentirsi troppo umano, troppo normale, troppo simile a tanti di noi. E forse in fondo non vuole proprio esserlo. 

 

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