L'esperto risponde / Salute e benessere

Spartaco Mencaroni

Spartaco Mencaroni, nato ad Arezzo nel 1978, è un medico specialista in Igiene e Medicina Preventiva (Pisa, 2009); lavora in Direzione Ospedaliera e si occupa degli aspetti relativi ai percorsi igienico-sanitari, alla continuità e sicurezza delle cure e alla gestione del rischio infettivo, con particolare riferimento al controllo dell’esecuzione dei servizi non sanitari affidati in outsourcing.

Vedi tutti gli esperti
salute

Meningite in Italia: che succede, cosa fare

Quanto dobbiamo preoccuparci per i recenti episodi di cronaca, relativi alla paura per la diffusione di malattie invasive da meningococco in Italia?

 

La meningite è una condizione patologica delle membrane che avvolgono e proteggono il sistema nervoso centrale; può essere provocata da molti agenti patogeni (virus e batteri, di diversi tipi). Le infezioni di batteri del tipo Neisseria meningitids (meningococco) sono le più temibili, per la elevata mortalità e le gravissime conseguenze in chi sopravvive all’infezione.

La meningite da meningococco è diffusa soprattutto nei Paesi dell’Africa Subsahariana; il batterio, a livelli molto meno elevati, circola però anche alle nostre latitudini. Nella maggior parte dei casi il patogeno è ospitato, senza conseguenze, nel rinofaringe di soggetti definiti ospiti, che rimangono asintomatici, ma possono trasmetterlo a persone non vaccinate tramite le secrezioni nasali.

In alcune persone, più sensibili all’infezione, e in particolare nei bambini molto piccoli, nei giovani adulti o negli anziani, si può sviluppare la mattia invasiva, con sintomi violenti (febbre alta, confusione, rigidità nucale, vomito). Spesso l’infezione del sistema nervoso centrale è accompagnata da gravissimi sintomi a carico di tutti gli organi che provocano danni irreversibili e la morte. Nei bambini piccoli, in genere prima dei due anni, i sintomi possono essere aspecifici e difficili da identificare, rendendo la patologia particolarmente insidiosa.

La meningite batterica, in generale, in Italia non è molto diffusa: nel 2014 ci sono stati 1479 casi, 1815 nel 2015 e 1376 nel 2016; la mortalità varia dal 10% (meningite da pneumococco) al 23% (meningite da meningococco di tipo C)[i]. L’interesse per questa malattia è cresciuto, fino a sfiorare l’allarme sociale (oggettivamente ingiustificato), a partire dal 2015, anno nel quale in Toscana sono quasi raddoppiati i casi di grave malattia da meningococco C, il tipo più aggressivo e con prognosi più sfavorevole. Nella Regione colpita il servizio sanitario ha reagito molto rapidamente, attivando un’estesa campagna di vaccinazione gratuità per le fasce d’età più a rischio di contrarre il batterio e sviluppare la malattia. Molta importanza, nella comunicazione, è stata data alla sensibilizzazione verso il concetto dei portatori sani che, in assenza di una copertura vaccinale estesa, contribuiscono alla diffusione del virus.

Al di là della situazione locale, vaccinarsi è importante: i vaccini disponibili contro il meningococco coprono attualmente tutti i tipi di batterio più frequentemente associati a malattia invasiva. Accanto al tradizionale vaccino contro il sierogruppo “C” sono stati infatti sviluppati prodotti tetravalenti (attivi contro i sierotipi A, C, W e Y) e, più di recente, è stata messa a punto una formulazione vaccinale in grado di proteggere contro il tipo “B”, più raro ma frequentemente letale in chi viene contagiato.

La vaccinazione è del tutto priva di rischi, dando luogo solo ad effetti collaterali benigni e di tipo locale (come irritazione nel punto di inoculo, in alcuni casi accompagnata da reazione febbrile di breve durata, a risoluzione spontanea).

La protezione vaccinale, anche nei limitati casi in cui non riesce a produrre una risposta immunitaria capace di bloccare l’infezione, ne attenuta in maniera significativa la gravità e aumenta di parecchio la possibilità di sopravvivenza. E’ importante inoltre comprendere che chi si vaccina smette di diffondere il batterio nella popolazione, contribuendo alla protezione dei soggetti che non sono altrimenti protetti.

Maggiori informazioni possono trovarsi presso alcuni siti specializzati, realizzati da esperti e associazioni di medici attivi nel settore della sanità pubblica, come il Sito di “Vaccinar-SI”[ii].

[i]http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2788

[ii] http://www.vaccinarsi.org/inprimopiano/2017/01/06/meningite-no-allarmismi.html

2Risposte
Visualizzazioni
Salute

Nuovo gruppo sanguigno, cosa sappiamo?

Leggi la risposta

Quanto ci riguarda o interessa la scoperta recente di un nuovo gruppo anguigno chiamato Er?


Di recente è stata diffusa la notizia della scoperta, da parte di un team inglese, di nuove molecole che stanno sulla superficie dei globuli rossi. Con molta semplificazione, si è parlato di un nuovo gruppo sanguigno, ma le cose non stanno proprio così. Proviamo a capire meglio di cosa si tratta e delle conseguenze di questa scoperta. Tutte le cellule del nostro corpo sono disseminate, nella loro superficie, di molecole e recettori di tutti i tipi, essenziali per regolare le complesse e raffinate interazioni che sono alla base del funzionamento di ogni organismo complesso. Queste molecole di superfice sono anche utilizzate dal nostro sistema immunitario per riconoscere e attaccare le strutture estranee all’organismo; è il meccanismo con il quale ci difendiamo dalle infezioni, ma è anche alla base di reazioni avverse indesiderate o allergie potenzialmente pericolosissime. La scienza trasfusionale ha imparato pertanto a conoscere molto bene le proteine più importanti che, stando sulla superficie dei globuli rossi, sono responsabili ad esempio delle reazioni di incompatibilità fra ricevente e donatore. Classificando le più importanti di queste proteine, si definiscono i gruppi sanguigni principali: siamo abituati a sentir parlare del sistema “AB0”, in base al quale quasi tutti noi sappiamo rispondere alla domanda “di quale gruppo sei?” AB0 è una sigla che esprime piccole differenze in una delle molte proteine di superficie delle nostre cellule del sangue (emazie, o globuli rossi), per la precisione nella proteina glicosiltransferasi. Questa può essere di tipo A o di tipo B; la differenza, minima, è sufficiente a scatenare il nostro sistema immunitario contro le cellule “diverse” dalle nostre per questo piccolo particolare. Oppure può essere del tutto assente, nel qual caso il gruppo sanguigno si chiama “0”. Alcune persone, infine, hanno entrambe le forme della proteina e il loro gruppo prenderà il nome di AB. Poiché, come abbiamo detto, i linfociti del sistema immunitario attaccano tutto quello che non conoscono, chi ha un gruppo AB potrà ricevere sangue da tutti gli altri, chi ha solo A o solo B non potrà ricevere sangue contenente cellule con la proteina opposta, e chi è di tipo “zero” potrà ricevere solo sangue senza quelle proteine. All’inverso, il sangue di tipo zero può essere tollerato da tutti, mentre quello AB è idoneo solo a chi ha lo stesso gruppo. Abbiamo detto però che i globuli rossi contengono molte proteine: oltre alla glicosiltransferasi ce ne sono altre coinvolte nelle reazioni trasfusionali, ad esempio il così detto fattore Rh, che può essere o meno presente (Rh+, Rh-). Questi due sistemi sono i più importanti per la sicurezza delle trasfusioni, pertanto, sono combinati per definire il gruppo sanguigno principale.
  Glicosiltransferasi
RH Nessuno Tipo A Tipo B Entrambi
Rh presente 0+ A+ B+ AB+
RH assente 0- A- B- AB-
  Si capisce quindi facilmente che il gruppo “0 negativo”, non possedendo né la glicosiltransferasi né il fattore Rh, non verrà mai riconosciuto come estraneo, e pertanto viene detto “donatore universale”. E le altre proteine dei globuli rossi? Anche queste hanno un ruolo nel definire la sicurezza trasfusionale, anche se meno importante e legato a situazioni particolari. I trasfusionisti, quando devono verificare la compatibilità donatore/ricevente, verificano numerosi tipi di classificazione basati sulla presenza di altre proteine: ad oggi si conoscono ben 44 modi diversi di catalogare le cellule, ciascuno dei quali ha la sua rilevanza nel prevenire possibili reazioni avverse, sia legate alle trasfusioni sia ad altre situazioni (come il parto o la gravidanza). La nuova scoperta chiarisce meglio le basi di uno di questi sistemi, detto “Er”. Nel corso del tempo erano evidenze che esistessero tre versioni alternative dell’antigene Er (Era, Erb e Er3), ma le basi molecolari e genetiche dovevano ancora essere chiarite. L’importanza di questa scoperta deriva proprio dal fatto che è partita da un caso di morte neonatale, dovuto ad una non chiarita incompatibilità materno-fetale; successivamente, analizzando diversi campioni di sangue, gli scienziati hanno identificato altre due varianti della proteina Er (Er4 ed Er5). Sebbene dunque non si tratti di una “rivoluzione” o di un vero e proprio nuovo gruppo sanguigno, le informazioni legate a questa ricerca saranno utili per prevenire, in futuro, reazioni trasfusionali e incompatibilità madre e feto rare, ma attualmente difficili da intercettare.
Pagina 1 di 1
Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons