L'esperto risponde / Economia e lavoro

Chiara Andreola

Giornalista professionista dal 2009, si è specializzata nel comparto della birra artigianale, ottenendo nel 2017 il diploma di biersommelière alla Doemens Akademie di Monaco di Baviera. È autrice del blog “La giornalista BeerLance”.

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Birra artigianale: come fare a riconoscerla?

Si sente spesso parlare di birra artigianale, del fatto che in Italia stia prendendo piede, e che sempre più locali la tengano in listino: ma come si fa a distinguere la birra artigianale da quella industriale?

La domanda non è peregrina, nel senso che le associazioni di categoria dei birrai artigianali – Unionbirrai su tutte – ha più volte segnalato l’esistenza di frodi in commercio su questo fronte: birre non artigianali presentate cioè come tali, anche se non lo sono. Esiste infatti una legge del 2016 che stabilisce quali requisiti debba avere una birra per essere considerata artigianale.

Il primo è essere realizzata in un birrificio che non superi la produzione di 200.000 ettolitri annui: limite in realtà parecchio largo per il nostro Paese, dato che – fatta eccezione per i grossissimi nomi – nessun birrificio non solo supera, ma neanche si avvicina attualmente a questa soglia. Verifichiamo dunque lo stabilimento di produzione, che deve essere obbligatoriamente riportato in etichetta: se si tratta sì di una birra che vuole dare un’idea di artigianalità (o si dichiara apertamente artigianale), ma è prodotta da una grossa azienda, siamo in realtà di fronte ad una cosiddetta “crafty” – che potremmo tradurre come “artigianaloide”, ossia che vuole assomigliare alle artigianali senza esserlo. Il che, intendiamoci, è perfettamente legale fintanto che questa birra non pone in etichetta il termine “artigianale”: si tratta però comunque di una pratica che può trarre in inganno il consumatore meno informato.

Assomigliare alle artigianali in che senso? Altro requisito che viene posto dalla legge è quello che queste birre siano non microfiltrate e non pastorizzate: due processi – microfiltrazione e pastorizzazione – mirati a far sì che la birra si conservi più a lungo anche senza osservare la catena del freddo, ma che vanno a pregiudicare alcune caratteristiche organolettiche della birra – il sapore, gli aromi, fino al contenuto nutrizionale che la birra ha in virtù del lievito e dei cereali che contiene. Molte grandi aziende, negli ultimi anni, hanno creato linee non filtrate e non pastorizzate appunto per rivolgersi a coloro che apprezzano queste caratteristiche: cosa naturalmente del tutto legittima, ma che deve essere fatta senza spacciare le birre in questione per artigianali – in virtù del requisito della dimensione massima del birrificio. Verificare se una birra sia stata microfiltrata e pastorizzata è più difficile, dato che non è obbligatorio indicarlo in etichetta: generalmente una birra non filtrata si distingue da una che lo è perché appare velata, ma esistono anche metodi diversi dalla microfiltrazione per rendere una birra limpida, per cui non si tratta di un’indicazione universale.

Ulteriore requisito è quello dell’indipendenza: i birrifici artigianali non possono essere cioè detenuti, a livello societario, da un’altra azienda, né da un’altra azienda devono dipendere a livello economico o di impianti. Hanno a tal proposito fatto scalpore negli scorsi anni le acquisizioni, da parte di grandi multinazionali, di rinomati birrifici artigianali italiani; che hanno di conseguenza perso tale titolo, pur continuando normalmente la propria attività.

Come vediamo, non c’è alcun riferimento a quelle che debbano essere le caratteristiche gustative di una birra artigianale: non ha quindi senso affermare che si distingua da una industriale perché è “strana”. Se una distinzione c’è in questo senso, sta nel fatto che una birra artigianale può apparirci “originale” nella misura in cui ogni ricetta è creazione del birraio, non è standardizzata (a differenza appunto delle industriali), ma espressione della sua creatività; nella ricerca di materie prime a km zero, espressione del territorio in cui la birra è prodotta (cosa che in realtà fanno, per piccole produzioni a mo’ di “edizione speciale”, anche alcune industrie); e nel fatto che si tratti di un prodotto “vivo”, dato che la non microfiltrazione e non pastorizzazione fanno sì che con l’invecchiamento questa birra continui ad evolvere. Potremmo poi parlare del valore del dare sostegno alla produzione di un piccolo artigiano rispetto ad una grande azienda: ma questo è un altro grande capitolo.

 

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