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Elezioni, come funziona il Rosatellum?

Come funziona, in vista delle elezioni politiche del 25 settembre, il sistema di voto previsto dalla legge elettorale Rosato, chiamata anche Rosatellum?

Foto LaPresse - Andrea Panegrossi

In effetti è necessario fermarsi per conoscere, almeno nelle grandi linee, il rosatellum e “capire” la scheda elettorale. È importante esprimere il nostro voto con cognizione di causa.

Partiamo da una informazione di fondo: il nostro sistema elettorale è un sistema misto, per un terzo maggioritario e per due terzi proporzionale. Poiché, si ricorderà, il numero dei parlamentari è stato sensibilmente ridotto, eleggeremo 147 deputati e 74 senatori in collegi uninominali; 245 deputati e 122 senatori in liste proporzionali; inoltre, 8 deputati e 4 senatori saranno eletti nei collegi esteri (il totale fa 400 deputati e 200 senatori).

Per quanto riguarda il collegio uninominale, dobbiamo immaginare una porzione di territorio (in genere molto vasta, specie per il senato, che è il doppio della Camera) in cui verranno eletti un solo deputato e un solo senatore, secondo la regola inglese del first-past-the-post, vince chi prende un voto in più. Nei collegi plurinominali invece ci sono le liste, nelle quali ritroveremo i simboli dei partiti: quelli noti, magari un po’ rivisitati, e le new entry; ogni lista è accompagnata da un breve elenco di candidati, che verranno eletti nell’ordine in cui sono scritti: se la lista conquista un seggio entra il primo nominativo, se ne conquista due entrano i primi due e così via. Questo vuol dire che le liste sono bloccate, cioè l’elettore non può esprimere la preferenza. Ogni lista poi è collegata a un candidato nel collegio uninominale e il voto non può essere disgiunto: votando un simbolo, si vota automaticamente il candidato all’uninominale.

Tutti questi elementi messi assieme fanno sì che i partiti siano spinti a raggrupparsi per convogliare più voti possibile sullo stesso candidato del collegio uninominale e cercare di fargli avere il voto in più per vincere il seggio. Questa è la ragione per cui abbiamo visto partiti, liste e leader vari impegnati in trattative per definire le coalizioni. Sinora Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia formano il nucleo forte del centrodestra, del quale pure fanno parte le formazioni centriste riunite in un’unica lista. Il Partito Democratico ha composto un raggruppamento con le liste di Sinistra italiana e Verdi, +Europa, e Impegno civico. Le altre liste corrono da sole: Movimento 5 Stelle, Azione e Italia viva, Italexit per l’Italia e Unione popolare le principali (è ancora in corso la verifica delle firme per qualche altro caso).

Tralasciando per forza di cose le disposizioni specifiche per le minoranze linguistiche, per conquistare seggi tutte le liste dovranno superare una soglia di sbarramento: nel caso delle coalizioni almeno una deve superare il 10 per cento, mentre le altre il 3 per cento; la medesima soglia del 3 per cento è fissata anche per le liste che corrono da sole, ma la soglia funziona diversamente nei due casi. Se una lista piccola fa parte di una coalizione e prende, ad es., il 2,99 per cento, non otterrà seggi nel riparto proporzionale, ma se ha raggiunto almeno l’1 per cento i suoi voti saranno distribuiti proporzionalmente tra le altre liste della coalizione, quindi non andranno persi; inoltre qualche rappresentante di quella lista entrerà comunque in parlamento attraverso i collegi uninominali (questo ad es. è quello che accadde a +Europa nel 2018). Se una lista piccola, invece, corre da sola e rimane al di sotto del 3 per cento, i voti andranno persi e non avrà alcun rappresentante. Ovviamente la soglia deve essere raggiunta in ciascuna Camera, per avere la rappresentanza di deputati e/o senatori; anzi c’è da aggiungere che il riparto su base regionale dei seggi del Senato comporta che la soglia effettiva sia più alta, in alcuni casi addirittura a doppia cifra.

Data questa difficoltà che le piccole liste incontrano, abbiamo sentito parlare di “diritto di tribuna” per questa o quella lista. Di per sé, il diritto di tribuna è quel meccanismo di sostanziale deroga alle soglie di sbarramento che una legge elettorale può prevedere a tutela della rappresentanza delle minoranze. Il rosatellum non prevede il diritto di tribuna. L’espressione quindi è stata usata impropriamente per i casi di accordo tra liste dove non tutte hanno la certezza di raggiungere il 3 per cento dei consensi, ma l’accordo conviene comunque perché le liste piccole raggranellano comunque qualche seggio e la grande può raggranellare comunque qualche voto, come abbiamo visto (ma è necessario arrivare almeno all’1per cento).

Guardiamo ora un fac-simile di scheda elettorale. Al seggio ne avremo due di colore diverso, una per la Camera e una per il Senato. Sono costruite in maniera identica, quindi basterà osservarne una:

Ai numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 10 sono raffigurati i casi di liste che corrono da sole: vi è un solo simbolo; i nominativi a fianco del simbolo costituiscono i candidati al riparto proporzionale (lista bloccata); il rettangolo che sovrasta simbolo e lista contiene il nome del candidato al collegio uninominale.

I numeri 6, 7, 8, e 9 e 11, 12, 13 e 14 costituiscono due blocchi di liste coalizzate, ognuna composta da 4 simboli di lista, ciascuno affiancato dall’elenco dei candidati al proporzionale; il rettangolo in alto, relativo al candidato al collegio uninominale, esprime un solo nominativo per tutte le liste. Tra tutti i candidati all’uninominale, uno solo prenderà il seggio, quindi si capisce che i raggruppamenti hanno più possibilità di conquistare il seggio, perché tutti i voti delle liste si trasferiscono automaticamente al candidato dell’uninominale.

Il voto infatti si può esprimere in due modi. 1) si è decisi a votare una lista: si mette la X sul simbolo e con questo voto se ne danno due, alla lista e al candidato collegato (anche se è espressione di un’altra lista collegata e anche se non lo sceglieremmo); 2) ci piace il candidato all’uninominale: si può barrare il suo nominativo senza fare altro; in questo caso il voto va anche alla lista se è unica o, se sono più liste, viene ripartito pro-quota tra tutte. Non si può scegliere una lista e insieme un candidato all’uninominale non collegato a quella lista: due X disgiunte non sono consentite e rendono nullo il voto. Questa rigidezza del sistema, oltre a comprimere la scelta dell’elettore, impedisce accordi di desistenza tra liste: altra espressione che si è sentita circolare, perché se la desistenza fosse stata possibile, i collegi uninominali sarebbero stati più contendibili. Ma ci si deve rassegnare al prendere-o-lasciare, a tutti i livelli.

Infine, teniamo a mente una novità assoluta: anche per il Senato si può votare a partire dai 18 anni compiuti!

 

 

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