L'esperto risponde / Famiglia

Ezio Aceti

Laureato in psicologia, consigliere dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, esperto in psicologia evolutiva e scolastica, è nella redazione del giornalino Big Bambini in giro. ha pubblicato per Città Nuova: I linguaggi del corpo (2007); Comunicare fuori e dentro la famiglia (nuova ed. 2012), Crescer(ci) (2010); Mio figlio disabile (2011); con Giuseppe Milan, L’epoca delle speranze possibili. Adolescenti oggi (2010); Educare al sacro (2011); Mio figlio disabile (2011); Nonni oggi (2013); Crescere è una straordinaria avventura (2016); con Stefania Cagliani, Ad amare ci si educa (2017).

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Società

I bambini e la morte nel tempo del Coronavirus

Cosa dire ai bambini in questo scenario di morte quotidiana a causa del Covid-19? Una mamma molto preoccupata

 

Premessa
L’esperienza che stiamo vivendo in questi giorni di pandemia da Coronavirus è faticosa, difficile, a volte drammatica. Per la prima volta dopo tanti anni, ci troviamo a che fare con la realtà più assurda e drammatica della storia: la morte quasi improvvisa, quotidiana.

Molti adulti trovano difficile parlare ai bambini della morte di un animale e fanno fatica a trovare le parole immaginando la sofferenza del bambino. Figuriamoci poi parlare della morte di una persona cara e conosciuta dal bambino. Come parlare ai bambini della morte?

Cosa dire loro quando questa realtà riguarda il nonno, la nonna, la zia, lo zio o, in rari casi, la mamma o il papà? Per rispondere, permettetemi di fare un po’ di storia.

Nel Medioevo
Nei dipinti del medioevo è frequente trovare raffigurazioni ove monaci, religiosi e santi portano un teschio nella mano o lo stesso teschio appare depositato sopra un comodino, per ricordare che la morte è sempre nostra compagna.

La morte era uno degli argomenti più usuali durante le predicazioni e questo non tanto per incutere paura e riluttanza, ma per ammonire circa il comportamento della vita. Insomma la morte, nel suo dramma, incitava a vivere bene, con responsabilità e attenzione.

In questo modo il ricordo della morte e del dolore aveva un significato terapeutico: aiutava non solo a sopportare le avversità, ma anche a cercare di dare il meglio in ogni circostanza avversa.

Occorre poi ricordare che la morte era di casa, in seguito alle malattie, alle epidemie e alle guerre. I bambini assistevano alla morte in modo diretto e non solo vedevano morire molte persone, ma partecipavano al lutto con tutta la famiglia e i parenti anche per vari giorni. Nessuno quindi, nel Medioevo, si scandalizzava della morte e i bambini la consideravano come la realtà più naturale, della quale era ovvio parlare e discutere.

Epoca moderna
Con la rivoluzione scientifica e la modernità, il benessere e lo sviluppo della tecnica hanno permesso non solo la cura e la guarigione di molte malattie, ma soprattutto la paura della morte si è allontanata sempre più dalla vita. Si è cominciato a non parlare quasi più di questa esperienza ai bambini perché ritenuti incapaci di comprendere o per preservali dalla sofferenza.

Sappiamo che la media di vita nei paesi sviluppati è passata dai 50 anni del secolo scorso agli 80 di questo secolo e le proiezioni ci dicono che non è più un miraggio arrivare preso ai 100 anni.

Se tutto ciò è un bene e occorre sempre incoraggiare la ricerca scientifica per debellare le malattie più invalidanti e permettere una vecchiaia salutare, è importante però ricordarsi sempre che la morte non è scomparsa. In questo mondo non scomparirà mai. Insomma morire fa parte dell’esistenza ed è bene considerarla con tutto ciò che questo comporta.

E poi la morte non riguarda solo la vecchiaia, ma tutte le età. Da ciò si deduce il diritto inequivocabile di ogni persona a sapere e conoscere le verità della vita. Così è per la morte.

Il grande poeta libanese KhalilGibran (Bsarre 1833 – New York 1931) scrisse: «Vorreste conoscere il segreto della morte. Ma come trovarlo se non cercandolo nel cuore della vita?».

E poi, se la morte rappresenta il dolore più grande, specchio di tutti i dolori, il trovare parole, emozioni, sentimenti appropriati può essere di enorme aiuto per tutti, soprattutto per i bambini.

Oggi, adesso
In questo giorni la morte è quotidiana. Ci è stata sbattuta in faccia. Tante famiglie l’hanno subita, vissuta. Soprattutto, non hanno il tempo di piangere i loro cari… neanche il funerale è permesso… sembra quasi impossibile il ricordo! Si ha paura a descriverla. Si ha l’impressione che sia ingiusto morire. Morire in questo modo!

La morte sembra dare uno schiaffo all’onnipotenza della tecnica e della ricerca. Eppure è importante parlarne… Parlarne ai bambini.

I bambini
I bambini hanno diritto alla sincerità. Se qualcuno è malato o sta morendo è meglio essere sinceri. Occorre considerare che i bambini amano i grandi che gli vogliono bene. Se chi ci ama è silenzioso e cerca di nascondere le cose, i piccoli si sentono smarriti e fanno fatica a comprendere ciò che sta succedendo. Fingere che vada tutto bene e nascondere la verità è molto più triste per i bambini che dire loro cosa sta succedendo.

Allora occorre introdurre nel percorso educativo il concetto della morte e parlarne con i bambini. Questo è importante, sia da parte dei genitori che successivamente, durante le attività scolastiche, a partire dall’infanzia. Parlare della morte delle persone care, anche se è doloroso e faticoso, può aiutare i bambini a evocare i ricordi e dà a noi l’occasione di valorizzare il bene che quel parente ha lasciato. È importante utilizzare parole vere, che danno un senso compiuto a quanto sta succedendo.

Parole e gesti
Tutto quello che diciamo ai bambini deve essere vero e rispettoso dello sviluppo evolutivo. Quando sono piccoli è sufficiente una frase. Dai sette anni si possono utilizzare parole e azioni. L’importante che quello che diciamo sia sempre accompagnato dal sostegno o da un rito che in qualche modo aiuti a ricordare.

Anche in situazioni tragiche, come la morte della mamma o del papà, si può dire: «Di solito si muore da grandi… la mamma è morta giovane… possiamo pregare… andrà tutto bene». Certo le reazioni dei bambini potranno essere le più diverse: rabbia, impotenza, nostalgia, tristezza, pianto, senso di colpa. È fondamentale che i bambini possano manifestare quello che provano e trovino adulti che possano empatizzare con loro e comprendano il loro vissuto.

È poi importante proporre un rito regolare, come la preghiera o il pensiero quotidiano, per mantenere vivo il ricordo che ci dà la possibilità di parlare delle cose belle e importanti della vita.

Gesù e la morte
Nonostante tutto quanto abbiamo detto, occorre ricordare che la morte è comunque assurda e nemica dell’uomo. Non ha senso morire. Nessun senso.

A meno che la morte, nella sua tragicità, rappresenti un passaggio per una dimensione più grande. E papa Francesco, solo di fronte al mondo, ha manifestato il cuore di tanti chiedendo a Dio di proteggerci. È questo quello che Gesù è venuto a fare. È venuto a sconfiggere il pungiglione della morte che, anche se ci colpisce, non ha più il veleno della fine ma, con Cristo, può essere foriera di una vita più grande.

Una vita che, se circondata dall’amore verso gli altri, dalle parole di senso verso le sofferenze, e dall’aiuto verso tutti i bambini nella sincerità, verrà raccolta da Cristo per portarla nel seno del Padre. Questo è quello che occorre dire ai bambini!

Permettetemi di chiudere con un grazie a tutti quanti si stano prodigando per la cura e l’assistenza… insieme ad una particolare vicinanza e preghiera per chi ha perso i cari. Che Dio li tenga tutti stretti a sé… e li abbracci da parte nostra.

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Psicologia

Il mondo a rotoli?

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La depressione è la prima malattia d’Europa. Lo scoraggiamento per come va il mondo sembra essere sempre alle porte. Come se ne esce? Cosa possiamo fare? Laura    


Luciano Manicardi, priore della comunità di Bose, dice una cosa bellissima: «La crisi che stiamo vivendo è paragonabile alle doglie di un parto. Ci sono le donne, c’è la sofferenza, ma c’è anche il bambino che può nascere». Bisogna dare un senso diverso alla crisi. Di fronte a questa fatica, a queste ferite, bisogna saper intravedere il nuovo, il bello che avanza. E non si tratta di essere utopisti, si tratta semplicemente di essere intelligenti. Infatti, se guardiamo bene le statistiche, non è vero che tutto va storto, che tutto è depressione. In qualsiasi Paese o città d’Italia succedono metà cose belle e metà brutte. Se fossimo un po’ oggettivi, dovremmo fare un telegiornale con metà notizie positive e metà negative. E poi chi ha detto che la realtà è quella che vediamo? La realtà vera è quella che noi facciamo esistere, che noi possiamo far risorgere. Se io appena conosco una persona nuova cerco di intravedere i suoi lati positivi, spiegandole tutto quello che ha di positivo, creo un circolo virtuoso: la persona darà il meglio di sé e si creerà il circolo dell’amore. Se invece io rilevo il negativo si crea il circolo vizioso, si va in depressione, si continua a parlare di quello che va male. Insomma il modo migliore per uscire dalla depressione, è quello di affrontare la realtà con un atteggiamento diverso, l’atteggiamento che aveva il più grande santo dell’educazione, san Giovanni Bosco. Lavorando con i carcerati, lui non vedeva il negativo che avevano, vedeva il positivo, e da questo positivo ha fatto nascere le scuole professionali, ha fatto nascere un’opportunità per tutti. Così anche noi, di fronte a questo mondo, possiamo dare il nostro contributo lavorando per il positivo e per la pace.
Giovani

I nostri ragazzi, nati per amare

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Il mio bambino sta cambiando (crescendo?). È diventato più taciturno e sgarbato. Quando si guarda allo specchio non “si piace”. Sono un po’ preoccupata… sentendo quello che combinano gli altri adolescenti! Una mamma


Teniamo conto che questa è l’età in cui si modificano il corpo, le idee e anche i sentimenti dei ragazzi. I maschi in particolare non sanno ben interpretare ciò che sta avvenendo e provano interiormente tensioni molto forti. Si struttura così una piccola ansia del crescere che si traduce spesso in comportamenti eccessivamente vivaci nel gruppo di coetanei, con gesti, spinte, linguaggi e modi di fare smodati e talvolta volgari. I comportamenti di gruppo aggressivi e smodati dei preadolescenti sono il sintomo che qualcosa sta avvenendo in loro; ma sono anche lo specchio di una fragilità che è tipica della figura maschile, non in grado di dar voce alle emozioni e ai sentimenti dovuti ai cambiamenti. Nell’adolescenza assisteremo poi ai classici comportamenti di molti maschi che da una parte sono aggressivi e prepotenti, dall’altra incapaci di esprimere quello che provano, con il conseguente disorientamento dei genitori (spesso le madri) che non sanno più cosa fare. E gli adulti cosa fanno? Cosa propongono? Basta guardare il mondo televisivo che tende ad esasperare l’aspetto fisico delle persone, presentando corpi appariscenti e perfetti, quasi sempre in totale disarmonia con il significato vero del corpo. Sono persone in mostra: corpi che testimoniano non la coerenza della vita, ove le idee corrispondono ai gesti e alle azioni, ma corpi “spezzati” di persone dissociate. Per non parlare dei filmini porno che girano sui cellulari, dove tutto è falso: dalle prestazioni sessuali dei maschi, all’apprezzamento femminile di certi modi di fare violenti maschili. Occorre anche constatare come il mondo degli adulti oggi sembri troppo concentrato su di sé per potersi occupare con calma delle problematiche che si affacciano per la prima volta nei fanciulli che crescono. Da parte dei genitori bisogna evitare sia un’eccessiva drammatizzazione, con conseguente aumento dell’ansia e della insicurezza, sia un’eccessiva banalizzazione, considerando infantili i problemi che i ragazzi e le ragazze pongono. Occorre invece presentare il cambiamento (fisico e psicologico) come una splendida opportunità di crescita e maturazione che può aiutare il fanciullo a raggiungere maggior autonomia e indipendenza dai genitori. E siccome il rapporto con l’aspetto fisico è parte integrante della personalità, ogni qualvolta vi rivolgete al ragazzo, ricordatevi che è fondamentale l’idea che avete di lui, idea che deve essere positiva e incoraggiante. Per il ragazzo in crescita le impressioni e i commenti delle altre persone su di lui sono di fondamentale importanza per la costruzione della sua identità. Quindi i genitori devono gratificare con pertinenza gli aspetti positivi e ammonire, senza drammatizzare, per quelli negativi. Soprattutto occorre avere la pazienza di seminare senza fermarsi al negativo dei nostri ragazzi, per vederli invece nel loro dover essere, come li vedeva e li vede Gesù: persone in grado di amare perché nate per amare. Ricordiamoci: i nostri ragazzi sono nati per amare. Per amare sempre.
Salute

Bambini e test genetici

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Si parla dell’importanza di fare i test genetici pre-gravidanza o durante la gravidanza, per accorgersi di eventuali malattie genetiche rare del bambino prima che nasca. Questo è giusto. Ma così non si aumentano le paure dei genitori e la facilità con cui si ricorre all’aborto in caso di problemi del nascituro (vedi bambini down)? Una (futura spero) mamma


Il test genetico rappresenta una metodica scientifica particolare che offre la possibilità di conoscere il mistero della vita sin dal suo concepimento. Tutto ciò è una cosa in sé buona e potrebbe essere utile, come potrebbero essere utili tutte le conoscenze scientifiche in possesso dell’uomo. La scienza quando è al servizio dell’uomo può fare “miracoli”, nel senso che può alleviare sofferenze, migliorare la vita e dare gioia e serenità al vivere. È l’uomo al vertice della conoscenza e solo lui può disporre di tutto quanto conosce e dare un senso all’utilizzo delle metodiche scientifiche. Se il test genetico è al servizio della vita e permette di conoscere in anticipo come sarà il figlio, potrebbe servire per amarlo meglio, per accudirlo meglio o per gestire nel migliore dei modi la gravidanza. Qualora il test riveli qualche eventuale problemi per il figlio, la gravidanza potrebbe essere gestita al meglio in modo da accudire nel migliore dei modi il futuro nascituro. È sempre nel cuore e nelle intenzioni dell’uomo che alberga il senso della vita e dell’umano. Anche la paura e i timori eventuali nel sapere di una possibile malattia del figlio potrebbero essere gestiti al meglio se attorno ai genitori si snoda una solidarietà e una vicinanza che permetta al figlio di essere accolto perché è una creatura che merita di essere accolta nel migliore dei modi. Quindi tutto sta nella responsabilità e nella tensione alla vita presente nei genitori che sono liberi di volere o no il test genetico. Indipendentemente dalla scelta è importante che tutto venga fatto per la vita, per una miglior accoglienza. Perché qui c’è in gioco molto: la vita. E forse è bene sapere che essa proviene non dalle tecniche o dalle metodiche scientifiche, ma dall’amore dei coniugi che possono generarla perché a loro volta sono stati generati da Qualcuno che ha creato tutto e che è felice di avere negli uomini e nelle donne delle con creatrici, rispettosi di qualsiasi bambino, perché qualsiasi bambino è immagine di Dio. Un Dio che è ostinatamente amore.
Psicologia

Mio figlio mi tratta come una serva…

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Mio marito se ne è andato. Mio figlio ventenne è ribelle e mi tratta come una serva. Non ce la faccio più. Lo devo buttare fuori di casa?


Ad una domanda così sintetica è difficile rispondere… perché le circostanze sono sicuramente più complesse e occorrerebbe conoscere meglio tutta la situazione. Dalla domanda si comprende la sofferenza della madre e le difficoltà relazionali presenti. Tutto ciò merita la considerazione e la vicinanza. Qualche piccolo suggerimento si può dare:
  • È importante fare in modo che le difficoltà e le sofferenze non abbiano il sopravvento e per questo motivo è necessario abbassare la soglia d’ansia.
  • È importante non spezzare la relazione, ma anche evitare che questa diventi patologica fino a far compiere gesti irrazionali.
  • Occorre considerare che nessuno vorrebbe fallire nella vita e che spesso le difficoltà sono un grido di aiuto, mascherano il desiderio di dare un senso a quello che si vive.
  • I protagonisti della relazione sono persone adulte e come tali potrebbero rapportarsi, salvaguardando ciascuno il proprio modo di vedere le cose.
Per questo mi sembra importante una distanza pedagogica essenziale. Fino a quando madre e figlio vivono insieme, il rischio di farsi del male è molto alto, come molto alta è la manipolazione reciproca fra i due. Per evitare di “sbattere fuori di casa” il figlio, potrebbe essere utile una separazione condivisa. Sarebbe bene trovare un monolocale, magari in affitto, ove il figlio possa andare a vivere, aiutato dalla madre all’inizio… questo andrebbe fatto come costatazione della adultità del figlio e del bisogno di autonomia. Sono sicuro che in questo modo non solo la tensione potrebbe allentarsi, ma anche il rapporto potrebbe migliorare significativamente. Insomma occorre evitare che madre e figlio siano troppo vicini (col rischio di farsi del male), ma anche troppo distanti, per salvaguardare la relazione… Comunque, sentitemi entrambi vicini e… sono sicuro che con l’intelligenza illuminata dalla disponibilità possiate farcela.
Psicologia

Baby gang che fare?

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Le baby gang sono un incubo. Dobbiamo inasprire le pene e diminuire l’età di carcerabilità? Sergio  


Alla televisione ormai ci stiamo abituando ad osservare atti vandalici e violenti da parte di ragazzi di 12, 13, 14, 15, 16 anni. Questo è agghiacciante. Cos’è una baby gang? È costituita per lo più da ragazzi, per lo più maschi, che manifestano la volontà di rompere, aggredire, violentare persone e cose. Anzi possiamo ridefinirla così: ragazzi che aggrediscono la realtà, perché fanno fatica a stare nella loro realtà. Aggrediscono perché non sanno stare nella propria interiorità. Provano disagio e noia perché non conoscono se stessi, non sono capaci di introspezione e interiorità. Si affermano rompendo e aggredendo. Tutto ciò è desolante e preoccupante, perché rischiano di vivere fuori di sé pensando di essere superiori a tutto, mentre invece sono incapaci di relazionarsi alla vita, alle persone, alle cose. Insomma sono ragazzi superficiali che compiono atti vandalici, con gravi conseguenze per le persone e le cose. Perché tutto questo? Di solito le cause sono educative ed evolutive. Ma non voglio addentrarmi sulle cause, sarebbe molto lunga. Lei mi chiede cosa possiamo fare. Sarebbe semplice punirli e castigarli, ma senza un parallelo lavoro di recupero della loro personalità “danneggiata”, la conseguenza sarebbe solo di farli diventare ancora più aggressivi di prima. Due, secondo me, sono gli interventi urgenti:
  • fargli riparare il danno: è importante che riparino i danni che loro stessi hanno provocato. Dovrebbero quindi fare attività obbligatorie di risarcimento, come lavori utili, magari con disabili e anziani, cioè a contatto con i bisogni degli altri. Questa attività fa comprendere loro come si possono recuperare atti vandalici mediante atti altruistici.
  • rieducarli alla dimensione sociale: occorre che questi ragazzi si rendano conto della propria dimensione interiore, delle capacità presenti in loro, dell’inutilità della violenza. Occorre che partecipino a momenti educativi e formativi, che li aiutino a comprendere il danno e allo stesso tempo li aiutino a relazionarsi con la propria interiorità e identità, onde scoprire di essere persone relazionali.
Certo, tutto questo è faticoso, ma urgente. Infatti, se da una parte occorre punirli e fargli risarcire i danni commessi, dall’altra occorre recuperare ed educare la loro persona. Ricordiamoci che l’atto va risarcito, ma la persona va educata, sempre. Sempre.
Psicologia

Bambini e adulti violenti

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Quanto conta l’esempio positivo o negativo dei grandi nella formazione del carattere litigioso o amichevole dei bambini?


Quante volte abbiamo sentito le mamme dire: «È fatto così… è il suo carattere… cosa posso fare?». Oppure espressioni come: «Ha un brutto carattere, devo stare attenta a quello che dico». Insomma, queste espressioni sembrano dirci che ciascuno nasce col proprio carattere e deve tenerselo per tutta la vita. Ma è proprio così? No. No. È arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza, togliendo dai nostri pensieri un pre-giudizio duro a morire: non c’è il carattere bello o brutto… non c’è. Ognuno ha il suo carattere, i bambini hanno il loro carattere che, se ben orientato, può manifestare generosità, altruismo, solidarietà, attenzione… viceversa, lo stesso carattere può manifestare chiusura, diffidenza, scontrosità. È stato il grande psicologo analista Carl Gustav Jung (1875 – 1961) a classificare le persone secondo tipologie psicologiche, partendo dalle mosse del carattere nel loro adattamento alla realtà. Ma è lo stesso Jung ad affermare che comunque in ogni tipologia psicologica sono presenti tendenze equilibranti, che favoriscono la maturità di ciascuno. Quindi l’importante non è la tendenza naturale di ciascuno (determinata dal corredo cromosomico ereditato dai genitori), ma l’utilizzo e l’orientamento di questa tendenza. Ed è qui che entrano in gioco i modelli educativi e gli esempi soprattutto delle figure più importanti, a partire dai genitori. Sappiamo infatti che per i bambini i genitori sono come il Dio in terra. L’esempio dei genitori è fondamentale. I bambini sono come spugne che assorbono e vivono quello che ricevono. Spesso bambini che picchiano o utilizzano un linguaggio volgare, sono a loro volta picchiati o umiliati con parolacce da parte dei genitori. I bambini però sono spugne intelligenti. Sono perfettamente in grado di comprendere i genitori e di capire quando un comportamento può essere dovuto ad arrabbiatura o stanchezza momentanea dei genitori, o quando invece è sistematico e ripetuto. Nel primo caso è sufficiente che i genitori chiedano scusa e vi garantisco che non rimarranno tracce negative, per cui si possono strutturare nel bambino comportamenti socievoli e tolleranti. Nel secondo caso invece il bambino si convince di essere cattivo e che sia giusto picchiare e aggredire gli altri. Il fatto è che in termini di educazione siamo ancora agli inizi. È perverso pensare ancora che castighi, punizioni e minacce possano funzionare. Tutto questo succede perché non conosciamo ancora i bambini, e pensiamo che la scuola dell’infanzia sia solo di accudimento. No, la scuola dell’infanzia è la scuola più importante che esista. Occorrerebbe dedicare più risorse all’infanzia triplicando gli insegnanti nelle scuole dell’infanzia, obbligando ogni famiglia a conoscere meglio i bambini e soprattutto realizzando una società al servizio dell’infanzia. Cosa che in Italia non c’è. Eppure i grandi pedagogisti, da Montessori a Winnicott, da Pestalozzi a Bruner, sono lì a indicarci la strada, che guarda caso è la stessa che Gesù ha fatto con noi: «Regredire empaticamente fino al livello evolutivo del bambino e testimoniare, con l’amore, l’apertura alla vita e il sostegno alla crescita». Occorre che lo facciamo… come ha fatto Janus Korczak: «Dite: è faticoso frequentare i bambini./ Avete ragione./ Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello,/ abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli./ Ora avete torto. Non è questo che più stanca./ È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza/ dei loro sentimenti./ Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi./ Per non ferirli». (Janusz Korczak – Quando ridiventerò bambino).
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