Studiare i movimenti delle microplastiche per affrontare l’inquinamento

Uno studio dell'Università di Udine e dell'Università di Tecnologia di Vienna fa luce su come queste particelle si muovono nell'acqua, ponendo le basi per contrastarne la dispersione
La costa di Bali ricoperta da rifiuti di plastica. Foto via Ansa EPA/MADE NAGI

L’inquinamento da microplastiche rappresenta una minaccia sempre più grave per oceani, mari e fiumi e, di conseguenza, per la salute umana. Prova ne sia il fatto che queste particelle sono così piccole – hanno dimensioni che vanno da un millimetro fino anche a un nanometro, ossia un miliardesimo di metro – da essere state trovate anche nel sangue degli esseri umani; e che, posto l’uso (e abuso) che facciamo della plastica ogni giorno, è estremamente facile che i microscopici pezzettini che si staccano dagli oggetti per normale usura finiscano poi nell’acqua (basti pensare al lavaggio dei vestiti sintetici in lavatrice, o di scatole per alimenti magari già un po’ “vissute” nella lavastoviglie). Le microplastiche possono poi galleggiare o essere trasportate nelle profondità marine attraverso diversi processi; e, quando ingerite da pesci od altri organismi, possono rilasciare sostanze chimiche nocive, con conseguenze negative per l’intero ecosistema.

Concentrazione di microplastiche in porocinto di sedimentare nel mediterraneo. Come si nota, l’Italia è interessata dal fenomeno in particolare nell’Adriatico (immagine ufficio stampa Unid)

Uno dei principali problemi da affrontare per contrastare questa minaccia è comprendere come queste particelle di plastica vengano trasportate dai corsi d’acqua, si disperdano nell’oceano e infine si depositino sul fondale marino: detto in altri termini, se sappiamo come si muovono, sappiamo anche come andare a fermarle o quantomeno ad ostacolarle, tanto più che non sono visibili ad occhio nudo. Una nuova ricerca fa luce proprio sulla dinamica dei movimenti delle fibre di microplastica, fornendo informazioni cruciali sulle proprietà di trasporto, come la velocità di sedimentazione e le caratteristiche di dispersione di questi inquinanti. L’obiettivo è che questi risultati possano contribuire al monitoraggio delle particelle e alla progettazione di strutture più efficaci per la loro rimozione. Lo studio è stato condotto da Vlad Giurgiu, Giuseppe Caridi, Marco De Paoli e Alfredo Soldati, e il loro articolo, frutto della collaborazione tra l’Università di Udine e l’Università di Tecnologia di Vienna, è appena stato pubblicato su Physical Review Letters, prestigiosa rivista internazionale di fisica.

«La maggior parte delle microplastiche negli oceani sono piccole fibre allungate, e la loro rotazione durante il trasporto gioca un ruolo cruciale – spiega Soldati, professore di di fluidodinamica e presso l’Università di Udine e la TU Wien – . In un canale d’acqua di laboratorio, abbiamo misurato la velocità di rotazione delle fibre microplastiche lungo tre assi. Sperimentalmente il problema è molto complesso e richiede sofisticate apparecchiature ottiche con illuminazione laser». Questi dati originali, conclude Soldati, «miglioreranno la previsione della resistenza delle fibre microplastiche e faciliteranno la calibrazione dei modelli di dispersione e sedimentazione delle microplastiche nei flussi oceanici».

Fino ad oggi, la comprensione di dove e come le microplastiche tendano ad accumularsi nell’ambiente era limitata, non esistendo studi di questo tipo. Ora, grazie agli esperimenti ottici, sarà possibile approfondire la conoscenza dei meccanismi di movimento delle microplastiche nei flussi oceanici ed intervenire di conseguenza.

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