Vite nel limbo, cronache dalla frontiera

Un libro del padre scalabriniano Pat Murphy per capire cosa accade a Tijuana nella Bassa California, in Messico, città con migliaia di migranti respinti sul confine nordamericano, mentre dal ricco Nord arrivano insaziabili consumatori di droghe e persone. Uno sguardo alla realtà rimossa
Di Rei Momo commons.wikimedia

Vidas en Vilo, e cioè, “Vite in Limbo”.È il titolo di un libro pubblicato dal padre  scalabriniano Pat Murphy, Direttore della “Casa del Migrante – Centro Scalabrini” nella città di Tijuana in Messico, a ridosso degli Stati Uniti d’America.

Durante i suoi 30 anni di attività, il centro  è stato una presenza costante e benefica nella esistenza movimentata di coloro che appunto vivono, per così dire, in uno stato di limbo e transitano e sostano, per periodi che variano da pochi giorni a poche settimane, nella casa, non a caso chiamata “casa degli emigranti”, perché  accoglie coloro che sono perennemente in movimento. In cammino verso il ricco Nord America; spesso, in seguito al fallimento di un primo tentativo perché respinti dalle autorità statunitensi di frontiera e rientrati “sconfitti” in terra messicana, in attesa di ritentare la stessa impresa e portare il loro sogno alla conclusione desiderata.

Nei suoi primi 30 anni, la casa del migrante ha aperto le sue porte a 255 mila persone in transito, offrendo ristoro e sostegno morale e legale dopo le fatiche sostenute durante viaggi estenuanti, attraverso varie frontiere del Centro America: uomini e donne presi di mira da guardie, poliziotti ed agenti di frontiera che non disdegnano mai di esigere dai poveri disgraziati del momento un appagamento delle loro brame, e finanziarie e sessuali.

Padre Pat Murphy oltre a riconoscere meritatamente l’appoggio di laici volontari, addirittura lo paragona  alla moltiplicazione evangelica dei pani e dei pesci. Son sicuro che la parabola evangelica potrebbe essere citata non solo per la folla che, allora, aveva fame e sete,  come racconta il Vangelo, ma anche, oggi, per la moltitudine che ha bisogno  non di solo pane, ma soprattutto di giustizia e condivisione reciproca. Allora: poche migliaia di persone. Oggi: centinaia di migliaia.

Quella di Tijuana è una storia nata su una delle tante frontiere del mondo di oggi. A circa mezz’ora d’ auto da San Diego in California, gli “Yankees” la considerano un centro di svago e di divertimento. Il centro della città, Avenida Revolucion, è una lunga via con tanti locali notturni. Per gli americani, Tijuana ha sempre rappresentato un centro di libero scambio di armi, alcol, donne e soprattutto droghe. Mi è stato detto che artisti di mezzo mondo si danno appuntamento in questa città per coltivare discussioni e sfornare teorie legate al concetto di confine mentale oltre che fisico.

Ha fatto bene il libro a raccogliere invece le testimonianze della folla sterminata dei senza voce, di coloro che non paventano la vita neanche quando diventa una scalata molto ripida e irta di difficoltà e di sorprese a non finire. È questo infatti un versante della realtà umana che non viene messo né mantenuto in vetrina. Che contrasto! Ai milioni di turisti che visitano Tijuana, incuriositi o alla caccia di nuove e stimolanti sensazioni, si sovrappongono migliaia e migliaia di persone, non certo turisti, alla ricerca di un miglior tenore di vita per sé e per le proprie famiglie.

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