Vite che non muoiono mai

Il ricordo di Alberto Michelotti e Carlo Grisolia, il racconto di un’amicizia che diventa cammino e modello di santità
alberto e carlo

Ci sono vite che nascono per non morire mai. Ci sono vite che sembrano schiudersi appositamente per accogliere in sé un anelito di santità. Sono passati circa trent’anni dalla scomparsa di Alberto Michelotti e Carlo Grisolia, i due amici genovesi la cui causa di beatificazione è stata aperta nel 2005, che hanno speso le loro giovani energie per diffondere l’ideale evangelico del mondo unito, e di cui ancora oggi si parla come di modelli senza tempo.

Il loro operato era volto alla diffusione dei più genuini insegnamenti cristiani e la loro stessa amicizia non era di quelle superficiali, bensì era profonda, autentica e rinsaldata dalla uguale volontà di andare verso Dio, di "farsi santi insieme", come raccomandava Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, di cui entrambi facevano parte. Si può comprendere la loro levatura morale attraverso lo stralcio di una lettera che Alberto aveva scritto a Carlo, nella tranquillità della chiesa di S. Siro di Struppa a Genova: «In questo silenzio così bello mi sta rispondendo che non ci possiamo fermare, amare, amare tutti, spaccarci il cuore per fare uscire il vero amore, quello nato dal dolore. So, conosco, le mie, le tue debolezze, forse oggi stesso cadremo con la purezza, ma Lui mi chiede, ti chiede di continuare ad amare».

Due vite intrise del fervore di Cristo e dell’effervescenza dei vent’anni, che si spengono tragicamente e prematuramente nel 1980: Alberto muore il 18 agosto, cadendo durante una scalata sulle Alpi Marittime, vittima della sua stessa passione, mentre Carlo proprio allora apprende la triste notizia del suo cancro, che lo condurrà alla fine quaranta giorni dopo l’amico. È talmente vivo il ricordo, che altri giovani, proprio come loro, hanno deciso di raccontare la loro vicenda attraverso un musical. Si è tenuto a Sarconi, “ll tuffo in Dio: i 40 giorni di Carlo e Alberto”, che ha visto la preziosa testimonianza di Marta Chierico, amica dei due.

L’iniziativa ha coinvolto numerosi ragazzi della parrocchia Santa Maria in Cielo Assunta. Lo spettacolo, della durata di due ore, si è articolato tra momenti di recitazione e la proiezione del documentario ufficiale realizzato l’anno scorso, dal titolo “Insieme possiamo!”. Senza dubbio un momento di aggregazione modellato nel solco di una santità giovane. Sono stati presenti telefonicamente anche Bruno, amico di Alberto, e Titti, sorella di Carlo. «È stato bellissimo, l’ennesima prova del fatto che siamo chiamati ad un percorso molto particolare. Sappiamo che in qualche modo siamo anche responsabili della beatificazione di Carlo e Alberto. Servono anche le nostre preghiere», spiega Graziella, con l’entusiasmo dei vent’anni che le vibra nella voce.

«Questa storia mi ha davvero colpito. Io interpretavo Alberto nel musical e devo dire che in un certo senso mi ha quasi sconvolto: insomma, Carlo e Alberto erano dei ragazzi della mia età circa ed è difficile, soprattutto ai giorni nostri, trovare ragazzi così attaccati alla fede, ma soprattutto a Dio, e questo mi ha davvero fatto riflettere. Credo che fare del bene sia sinonimo di Dio», prosegue Michele, sedici anni, uno dei due protagonisti. «È stata un’ottima occasione per ritrovarmi spiritualmente. È stato il motore che ha spinto persone distanti dalla chiesa ad avvicinarsi», commenta poi Assunta.

«Attraverso questo recital ho capito che l’amore non è solo quello tra due persone, ma quello che si manifestava davanti alla casa di Carlo, su quel muretto dove una lite finiva con un abbraccio. Ciò che conta veramente è acquisire la capacità di amare chiunque ci sta intorno e ci vuole bene». Stupisce per maturità questo commento di Ilaria, quattordici anni. Il messaggio che ne emerge con assoluta prepotenza, è quello di una santità per tutti, come ha commentato don Vito Micuzzi. Si può essere santi aderendo costantemente all’Amore, quando intorno il mondo ci spinge nella direzione contraria, attraverso la massificazione culturale della violenza ad ogni costo, fuorviante e deleteria. Alberto e Carlo il tuffo in Dio l’hanno fatto, in un modo totalizzante e decisamente radicale, scegliendo il percorso impervio ed impopolare della fede, vissuta sin dalla giovinezza.

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