Lambert, alla morte non ci si abitua

Tetraplegico da oltre 10 anni, dopo un incidente stradale nel 2008. Muore a 42 anni. Restano alcuni messaggi che questa vicenda ha dato e lascia alle coscienze di tutti coloro che l’hanno seguita anche solo sui media e sui social. La deriva eugenetica sembra oggi più vicina.

Alla morte non ci si abitua. Conosco equipe di cure palliative, ma anche di sala operatoria, e di terapia intensiva e rianimazione che in quel momento unico e irripetibile («è morto…») si fermano per qualche secondo, in silenzio, per rispetto di fronte a quell’evento che resta avvolto da qualcosa di sacro e richiama al mistero, sempre («una persona è morta»). E per ritrovarsi nella comune umanità: la morte dell’altro, inevitabilmente ci parla anche della nostra, di quella dei nostri cari. Anche quando la morte è improvvisa, o rimossa, o temuta, o attesa al termine di lunghe malattie… C’è un processo nel morire, ma non si muore poco alla volta, o “a pezzi”; non si muore nel momento in cui si perde l’autonomia o la coscienza, o nelle fase acute di uno scompenso: il momento della morte ha un preciso istante, in quel secondo di quel minuto di quell’ora, di quel giorno.

Forse per questo di fronte alla notizia “Lambert è morto” restiamo prima di tutto in silenzio: tre parole che spazzano via le polemiche, i dibatti, le sentenze e i ricorsi nei tribunali. È morto un uomo… non si è “concluso un caso”. Come se gli fosse restituita in quelle tre parole tutta la sua umanità.

Ma non può essere un silenzio acritico o indifferente: restano alcuni messaggi, fortissimi, che questa vicenda ha dato e lascia alle coscienze di tutti coloro che l’hanno seguita anche solo sui media e sui social.

  • Innanzitutto: la posizione della Chiesa è stata chiara e netta, da subito (a chi su Facebook cavalca il luogo comune di una Chiesa-ong che si occupa dei migranti ma non dei “valori non negoziabili” consiglio di leggere tutti gli interventi del papa, e i numerosissimi articoli sui giornali cattolici che hanno seguito la vicenda almeno dal 2015 e che sono stati quasi quotidiani nelle ultime settimane), ma non è stata questa volta una contrapposizione fra “laici” e “cattolici”. Vincent Lambert, con la sua sola presenza, ha costretto ad un esame di coscienza collettivo l’intera società: il Comitato Onu per i diritti delle persone con disabilità aveva chiesto più tempo, i medici consulenti del tribunale si erano opposti alla sospensione di idratazione e nutrizione, lo stesso aveva fatto un’equipe curante (a differenza di quella precedente). Si è arrivati alla decisione conclusiva a colpi di ricorsi. Si potrebbe dire che si sono materializzati quei timori (“la china pericolosa”) da sempre considerati “fuorvianti” e “strumentalizzanti” dai fautori dell’eutanasia: se una vita a seguito di una disabilità “non ha senso”, dove potrà spostarsi il limite? A quale livello di disabilità? Fisica? Psichica? O a tutte le disabilità? La deriva eugenetica sembra oggi più vicina, ma proprio per questo sembrano ridestarsi le coscienze delle persone capaci di farsi domande. Una ricostruzione molto completa delle diverse posizioni e degli interrogativi aperti mi è parsa quella pubblicata sul sito dell’associazione Articolo 21.
  • Se la moglie di Lambert si è battuta per quello che riteneva un diritto, certamente la testimonianza degli anziani genitori, il loro dolore e il coraggio fino all’ultimo, fino alla richiesta dell’estrema preghiera, non hanno lasciato indifferenti. Per amore avrebbero continuato a seguirlo fino allo stremo delle forze: c’è stato un qualcosa di semplice e  rivoluzionario al tempo stesso, in questa loro presenza (e pensiamo a quanti genitori, o coniugi, o figli lo fanno nelle nostre case, per anni e anni…spesso in solitudine…). Verrebbe da dire “in dubio, pro vita”, mutuando un noto principio giuridico. Ma questa non è stata la scelta del Tribunale amministrativo di Parigi.
  • Si sono aperti molti interrogativi clinici: ormai ha sempre meno senso il concetto di “stato vegetativo”: il fatto stesso che Vincent Lambert fosse in uno stato di “coscienza minima” lascia moltissimi punti di domanda anche sulla liceità stessa della decisione. Inoltre, c’è stato il paradosso della sedazione necessaria per lenire i sintomi della disidratazione: un ossimoro, che sembra dire che “per garantirgli una morte degna” gli è stato tolto un semplice supporto vitale (l’acqua), non solo anticipando di molto il decesso, ma anche esponendolo di conseguenza a una sofferenza fisica gratuita tale da richiedere un intervento farmacologico che si riserva ai sintomi più gravi e non altrimenti trattabili, alla fine della vita (e quindi eticamente lecito in tali situazioni, ben diverse da quella di Lambert): sicuri che questa sia dignità?
  • Purtroppo agli eccessi ne corrispondono sempre di opposti: la sospensione di idratazione e nutrizione artificiali è stata una scelta non adeguata ai bisogni e non proporzionata alla situazione, oltretutto presa senza sapere con certezza se tale sarebbe stata davvero la sua volontà. Per questo è stata errata, clinicamente ed eticamente. Questo nel caso di Lambert. Penso però che non per questo si debba auspicare una legge che dica che nutrizione e idratazione siano sempre obbligatorie fino all’ultimo. Ci sono situazioni in cui anche “semplici flebo” possono essere “troppo”, aumentare le sofferenze (pensiamo alla dispnea o al rantolo della fase agonica), persino accelerare il decesso (il sovraccarico idrico può determinare o peggiorare lo scompenso cardiaco) o anche solo causare disagi senza alcun beneficio. La decisione su nutrizione e idratazione artificiali alla fine della vita deve rimanere nell’ambito di una delicatissima valutazione clinica, etica, e relazionale. Non una scelta dettata dalle leggi o dalla sentenza di un tribunale. Né in un senso (“fare sempre”) né tantomeno nell’altro (“sospendere”).

Queste, secondo me, alcune riflessioni sui temi che “resteranno a lungo” dopo questa morte.

Per lui, per i suoi genitori, per i suoi fratelli, per sua moglie, valgano le parole con cui iniziava il tweet del papa appena giunta la notizia: «Dio Padre accolga tra le sue braccia Vincent Lambert».

Per tutti noi, il suo auspicio: «Non costruiamo una civiltà che elimina le persone la cui vita riteniamo non sia più degna di essere vissuta: ogni vita ha valore, sempre».

 

 

 

 

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