Vicenda Cancellieri. Spaccato del Paese

Le dimissioni del ministro di Grazia e Giustizia, paventate in seguito al caso Ligresti, appaiono scongiurate e il governo tiene. Ma l'episodio fa riflettere e dipinge un'Italia fiaccata da ingiustizia e confusione
Informativa del ministro Cancellieri sul caso Ligresti

Sulla vicenda del ministro Cancellieri ognuno si sarà fatto la propria idea e conviene stare ai fatti: se ne è discusso in Parlamento, in entrambe le Camere, benché senza voto, e il governo ancora una volta tiene. Le dimissioni appaiono infatti scongiurate e si è imboccata una soluzione che ha la forza del male minore o così siamo un po’ tutti obbligati a vederla. Però possiamo dare uno sguardo generale a tutta la vicenda e ai suoi protagonisti, ricavandone se non qualche riflessione, almeno qualche impressione d’insieme.

Quindi: una famiglia tra le più note, ricche e influenti del Paese, finisce nelle maglie della giustizia con accuse tanto gravi da determinare i magistrati a emettere un ordine di carcerazione preventiva in blocco. Il padre, Salvatore Ligresti, non è nuovo a guai con la giustizia, questa volta si trascina i tre figli: Giulia e Jonella, raggiunte e incarcerate dalle forze dell’ordine, mentre Paolo, fuori dai confini patri, resta tuttora latitante.

All’esame dei giudici la gestione malsana della compagnia assicurativa Fonsai, nella quale emergerebbero falsi in bilancio che scaricherebbero ben 300 milioni di euro di perdite sulle spalle dei piccoli azionisti. A consolare e a esprimere solidarietà alla famiglia, con una telefonata alla compagna di Salvatore, è nientemeno che il ministro della Giustizia, legata da lunga amicizia soprattutto con il fratello di Salvatore, il medico e imprenditore Antonino. Niente di male, di per sé, se il ministro della Giustizia non si fosse espresso con italianissima partecipazione: «Non è giusto…; contate su di me; se posso fare qualcosa…».

Affermazioni che solo la inossidabile reputazione di Anna Maria Cancellieri ha potuto assorbire, ma che lasciano il segno. In più, la vicenda è l’occasione per far conoscere al grande pubblico il figlio del ministro, Piergiorgio Pelosi, un manager competente (come viene riconisciuto) che nel 2011 era stato chiamato a rimettere in sesto proprio il bilancio Fonsai, operazione che si era rivelata impossibile, tant’è che la compagnia si avviò alla fusione con la creditrice Unipol. Il manager, che pare entrato in rotta di collisione con i Ligresti per la sua attività svolta nell’interesse dell’azienda, dopo poco più di un anno va via con tre milioni e mezzo solo di buonuscita.

Nel dipanarsi delle indagini, ecco che entra in scena Giancarlo Giannini, non l’attore, bensì l’allora presidente dell’Isvap, l’istituto pubblico preposto alla vigilanza delle assicurazioni private: si indaga su di lui per sospetta corruzione (per inciso, l’Isvap è ora divenuto Ivass ed è presieduto dallo stimabilissimo direttore generale della Banca d’Italia).

Insomma: potenti famiglie (tra quel dieci per cento che cumula circa la metà dell’intera ricchezza del Paese), vertici istituzionali non pienamente all’altezza se non altro per eccesso di ingenuità, compensi da capogiro elargiti per di più da aziende in fallimento, sospette corruzioni degli organi di controllo e, sullo sfondo, i magistrati con le loro tensioni interne. Uno spaccato dell’Italia dolente e disarmonica di questi tempi. Si può fare ordine in tale confusione ad alto tasso di ingiustizia? Certamente, si può; e tocca alla politica farlo. Ma ad una politica che sempre meno può essere fatta di deleghe in bianco.

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