Viaggio dentro la malattia. Per rinascere.

L'infermità diventa letteratura nello spettacolo “(H)L-dopa”: affresco corale di Antonio Latella tratto dal libro “Risvegli” di Oliver Sacks.
hldopa

«Uomini fummo, e or siam fatti sterpi». Tratto dal Canto XIII dell’Inferno della Divina Commedia, questo verso di Dante compare nelle “controindicazioni mediche” del foglietto contenuto nella scatoletta da medicinale distribuita agli spettatori all’ingresso dello spettacolo (H)L-Dopa. Un incipit determinante racchiuso in quella lettera H prima della parola che completa il titolo. H come Hell, inferno. Metafora di una condizione esistenziale, oltre che fisica e mentale, anche dell’anima.

 

«È una vita d’inferno!», urla uno dei pazienti. La stessa condizione che, con sfumature diverse, consapevoli o addormentati, vivono gli altri degenti del Mount Carmel Hospital di New York. Sono i malati di encefalite letargica descritti dal medico-letterato Oliver Sacks nel libro Risvegli, di cui conosciamo una celebre versione cinematografica con Robert De Niro e Robin Williams. Il neurologo, che li ebbe in cura negli anni Sessanta, sperimentò su di essi un farmaco, l’L-Dopa, appunto, che li svegliava momentaneamente dal coma soporoso. La speranza di guarirli da quello stato vegetativo durò ben poco. Dopo vari tentativi di somministrazione graduale l’effetto benefico scompariva e ricadevano in una crisi ancora peggiore.

 

Se raccontare scenicamente la malattia e il disagio del vivere attraverso la letteratura è materia alquanto difficile, per Antonio Latella, regista sempre in ricerca e in sperimentazione per necessità vitale, l’operazione deve aver rappresentato un’ulteriore avvincente sfida. Perché Latella appartiene a quegli artisti che credono nel senso del teatro, nella sua funzione catartica di luogo «dove non si ha paura di esporre la propria malattia: quella fisica, mentale, dell’anima… per esorcizzare il male di vivere». Per rigenerarsi, forse guarire. «Perché – continua Latella – il teatro stesso può diventare cura, medicina».

 

Parabola buffa, grottesca, tragica, comica, politica, (H)-Ldopa rappresenta una discesa infernale   con ritorno che sa di rinascita. L’emozionante spettacolo nasce soprattutto da una drammaturgia di gruppo che ha visto impegnati per oltre un anno con la collaborazione di Linda Dalisi un’affiatata ed encomiabile compagnia di 14 attori di cinque Paesi europei che hanno lavorato sul tema della metamorfosi, guidati dall’estro sempre creativo di Antonio Latella. Per il regista di Castellamare di Stabia lo spettacolo è il preludio al felice ingresso alla direzione artistica del Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, dopo gli anni legati allo Stabile dell’Umbria e ad altre istituzioni, e dopo la lunga permanenza a Berlino che lo ha lanciato sulla scena europea. E in questo spettacolo si avvertono idee, umori e stimoli innovativi, che attingono da fermenti interculturali e modelli di matrice sperimentale che la capitale tedesca offre come nessun’altra città.

 

Il risultato è un prodigioso viaggio umano e spirituale dentro noi stessi: divertente e spietato allo stesso tempo, leggero e profondo come raramente capita di vedere a teatro. Scandito in tre stadi resi distinti anche visivamente da un trionfo di costumi e d’invenzioni sorprendenti (la scena prevede un sipario trasparente con le sagome disegnate di una folla in posa segnata da numeri, e una scritta al neon col nome del farmaco), lo spettacolo s’apre con una spassosa Valentina Gristina che, seduta fra il pubblico, presenta il luogo che ci accoglie. E lei stessa si unirà al felice e rumoroso irrompere in platea dei parenti in visita. Una fauna variopinta di prototipi umani che siederanno a parlare ciascuno col proprio congiunto, rappresentato da una piantina di fiore o di peperoncino sul proscenio alla quale rivolgeranno la loro meticolosa attenzione. L’esilarante dialogo che via via s’intreccia fra i convenuti rivelerà storie e vissuti, traumi e visioni, per sfumare in una danza che prelude al successivo straziante atto.

 

Seduti frontalmente in stato catatonico e tutti in abiti bianchi, l’irruzione cabarettistica dal fondo della sala del dottor Sacks di Emiliano Masala darà il via alle loro biografie e all’elencazione dei singoli casi, scatenando in ciascuno gli effetti “miracolosi” del farmaco. Subiranno stati fisici e psicologici contrastanti che li faranno vivere momenti di eccitazione e di depressione, di panico ed euforia, di ossessioni e di tranquillità, fino allo prostrazione. Alterneranno parole in libertà a tic, gemiti, pensieri ad alta voce, insubordinazioni. L’ultimo quadro, il sogno, ci sorprende ulteriormente.

 

Immedesimati nei personaggi da fumetto e cartoon della loro fantasia – da Dylan Dog a Biancaneve, da Hulk a Wonder Woman, da Calimero a Titti, alla Sirenetta – i malati irrompono in sala. Sembrano tornati bambini e sognano la guarigione. «Ma è tardi!», ripete il Bianconiglio di Alice nel paese delle meraviglie di Daniele Pilli, in una danza che lo libera per un istante dal quel meccanismo che lo ossessiona. Egli dà l’avvio a movimenti meccanici su una musica martellante che rompe il loro sogno e li ricompone seduti, storditi nuovamente e senza più difese. Svestendosi dei costumi fantastici del sogno, che altro non era se non una grande allucinazione partorita dalla mente del dottor Sacks, quelle creature, nella lotta disperata per poter “essere” in quel paese delle meraviglie, svelano la grande, vera solitudine del medico e della sua impotenza finale. Immobile, al centro della scena, con lo sguardo allucinato dichiarerà il suo fallimento. Anch’egli smetterà il suo ruolo e, indossando la testa del Bianconiglio, porrà sulle spalle di una delle malate un paio d’ali. La bianca e tenera figura dell’attrice portoghese Paula Diogo lentamente siederà in proscenio e, guardandoci, ci consegnerà parole di speranza oltre la sofferenza, mentre gli altri scendono nella platea in penombra. Con movimenti decelerati si arrampicano sulle poltrone attraversando le teste degli spettatori. Sembrano creature soprannaturali, angeli che, lambendoci, come un balsamo purificatore prendono su di loro tutta la nostra umana sofferenza. Per involarsi alle nostre spalle, lasciandoci la commozione di un’esperienza indimenticabile. Ed è esemplare la grande prova interpretativa e fisica degli interpreti, da menzionare tutti oltre ai già citati: Alexandre Aflalo, Jean-François Bourinet, Estelle Franco, Juliàn Fuentes Reta, Natalia Hernandez Arévalo, Dominique Pattuelli, Luìs Godinho, Daniela Labbè Cabrera, Martim Pedroso, Ana Portolés. Attori come note fondamentali di una partitura musicale che si fa carne e spirito, e rompe la separazione tra il mondo normale e quello malato.

 

Al Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, fino al 24 gennaio. Vedi anche il sito di Antonio Latella

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