Verso il fallimento del tentativo di Guaidó

Da ieri il presidente dell’Assemblea Nazionale cerca di dare la spallata finale al governo di Nicolás Maduro. Non pare abbia ricevuto l’adesione sperata delle forze armate e l’appoggio popolare sembrava limitarsi a limitate manifestazioni nella capitale  
EPA/Jhonn Zerpa /

Non pare incamminata verso una svolta decisiva la crisi istituzionale in Venezuela, dove l’autoproclamato presidente Juan Guadó ieri, 30 aprile, ha cercato di dare una spallata decisiva contro il regime del presidente Nicolás Maduro. Con l’appoggio di alcune decine di effettivi dell’esercito e della polizia, Guaidó ha prima liberato il leader dell’opposizione Leopoldo López, condannato a 14 anni di carcere, commutati in arresti domiciliari, per poi fare ingresso in una base militare di Caracas, da dove ha fatto appello alle forze armate a ribellarsi al regime e convocando a una manifestazione popolare per porre fine al governo “usurpatore” di Maduro.

Col passare delle ore, centinaia di manifestanti hanno appoggiato la mobilitazione di Guaidó, mentre il governo di Maduro faceva sapere che «tutte le unità dell’esercito si erano manifestate fedeli al governo «ed alla costituzione». Sebbene ci sono stati scontri con forze dell’ordine – con un saldo a fine giornata di un centinaio di feriti –, pare chiaro che Maduro ha evitato e sta evitando un bagno di sangue. Non sono apparse le milizie civili che in genere spargono il terrore nelle manifestazioni, con incappucciati che sparano ad altezza d’uomo, e la polizia ha evitato la violenza indiscriminata. Non ci sono notizie, e apparentemente nemmeno indizi, di scontri tra unità dell’esercito ribelli e fedeli al governo. E questo pare sia il dato più indicativo che indica che le forze armate non si sono schierate dal lato di Guaidó. Anzi, pare che la scarsa trentina di effettivi che lo ha appoggiato già abbiano chiesto rifugio presso l’ambasciata del Brasile a Caracas. Da parte sua Leopoldo López, e la sua famiglia, si è rifugiato presso l’ambasciata di Spagna ed ha ottenuto l’asilo politico.

In una frenetica giornata, durante la quale le sedi diplomatiche cercavano di ottenere informazione e mediare nella crisi, pochi hanno potuto farsi una idea precisa del grado di adesione alla mobilitazione di Guaidó. Il ministro degli Esteri venezuelano, Jorge Arreaza, in dichiarazioni al giornale spagnolo El País, ha fatto presente che le manifestazioni e gli scontri sono circoscritti al settore di Caracas vicino alla base militare da dove è partito il tentativo di ribellione. Maduro ha immediatamente impedito ai mezzi stampa dell’opposizione di fungere da eco, anche se non sono apparse altre indicazioni di manifestazioni popolari. Attorno al palazzo Miraflores, sede del governo, si sono riunite centinaia di persone in appoggio al chavismo, ma tali iniziative in genere non sono spontanee. La Casa Bianca ha diffuso la notizia di un intervento della Russia che ha frenato la fuga di Maduro, che sarebbe stata suggerita da alti funzionari dello Stato. Ma non pare una tesi molto credibile.

 

Non sono, invece, apparsi altri leader dell’opposizione, né pare esista una coordinazione politica che sostenga la mobilitazione. Bisognerà allora vedere se Guaidó riuscirà a giocare la carta di una protesta popolare massiva, guadagnando le piazze del Paese. È probabile che Maduro, insolitamente prudente, faccia lo stesso. Nelle prossime ore si saprà se il nuovo braccio di ferro avrà prodotto risultati.

Probabilmente Guaidó sta giocando le ultime carte a disposizione. Che 50 governi lo abbiano riconosciuto come presidente in carica serve a poco, come a poco servono le sanzioni economiche che con una inflazione di un milione per cento solo peggiorano la vita della popolazione ma confermano le teorie di un “complotto imperialista” volto ad appropriarsi delle ricchezze petrolifere. Sa che il tempo gioca a sfavore. Da gennaio in qua, né la sua autoproclamazione, né il meeting organizzato alla frontiera con la Colombia due mesi fa hanno prodotto risultati significativi. E comincia ad esserci delusione tra coloro che hanno creduto potesse essere l’alternativa a Maduro. In tal senso, il rifiuto di dialogare col governo, magari sotto la supervisione imparziale di altri Paesi, non pare gli abbia giovato facilitando un nulla di fatto, mentre il resto del Paese cade a pezzi. Ne Guaidó ne Maduro pare che abbiano chiaro quale sia il bene comune in gioco in questi frangenti.

 

 

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