Venti di guerra nel Mar Giallo

L'affondamento di una nave militare sudcoreana riaccende le tensioni tra le due parti del Paese. Che però non hanno alcun interesse ad arrivare davvero alle armi.
corea

Venerdì 26 marzo i cittadini sudcoreani che guardavano il telegiornale delle 21 hanno visto in basso allo schermo una didascalia che non c’entrava con le notizie trattate: «Vicino all’isola di Baeknyeong sta affondando uno scafo militare della marina sudcoreana». Baeknyeong si trova nel Mar Giallo, poco più a sud del confine con la Corea del Nord: è infatti conosciuta per due tragiche battaglie navali tra le due Coree, la prima nel giugno 1999 e la seconda il 29 giugno 2002 proprio durante i mondiali di calcio, che ha causato la morte di 6 marinai sudcoreani. Perciò l’affondamento, avvenuto in pochi minuti causando la morte di 46 marinai, ha riportato alla mente questi episodi. I timori della popolazione coreana si sono avverati. Il 20 maggio 2010 la commissione internazionale di indagine ha dichiarato l’affondamento è stato provocato da un siluro sparato da un sommergibile nordcoreano.

 

Come accennato sopra, l’area dove l’affondamento è avvenuto si trova poco più a sud della cosiddetta Nll (“Northern Limit Line”), il confine marino con la Corea del Nord, dichiarato unilateralmente dall’Onu dopo la guerra di Corea. La Nll si trova molto più a nord rispetto al confine terrestre, la Mdl (“Military Demarcation Line”): di conseguenza, i villaggi costieri nordcoreani dell’area non possono utilizzare il mare davanti a casa tranne che per pochi chilometri, e per raggiungere il mare aperto devono fare un lungo giro verso nord seguendo lo stretto corridoio tra le isole sudcoreane e la costa. Perciò il regime nordcoreano non riconosce ancora la Nll come confine.

 

Le reazioni del governo di Seoul

Dopo la pubblicazione dei risultati dell’indagine, il presidente della Corea del Sud, Lee Myong-Bak, ha reso noto che il Paese non permetterà più il passaggio delle navi nordcoreane nel proprio territorio, e che eserciterà immediatamente il diritto di autodifesa in caso di invasione. La questione sarà inoltre portata davanti al Consiglio di sicurezza dell’Onu, per l’adozione di ulteriori misure restrittive nei confronti di Pyongyang.

 

Le contromisure prese da Seoul segnano la fine della cosidetta “ politica sunshine (raggi di sole)”. Adottata dall’ex presidente Kim Dae-Jung, mirava ad un’apertura graduale verso la Corea del Nord, ma era molto criticata dalla destra per aver arricchito unicamente il dittatore nordcoreano Kim Jong Il aggravando le sofferenze della popolazione nordcoreana in estrema povertà.

 

I provvedimenti presi dal governo sudcoreano significano un grosso colpo alla già fragile economia nordcoreana e il ritorno ad un passato di tensione. A segnarlo è stata soprattutto la ripresa della “guerra psiclogica”, con la distribuzione di volantini nel territorio nordcoreano attraverso grandi palloncini. Questi contengono, insieme a dollari Usa, informazioni sulla vita personale del presidente-dittatore Kim Jong Il – ben diversa da come è presentata dalla stampa nordcoreaana – e notizie sul mondo e sulla Corea del Sud. È inoltre ripresa la trasmissione di contenuti simili attraverso potenti altoparlanti lungo il confine. Per quanto queste iniziative sembrino insignificanti e ridicole, le autorità nordcoreane sono più sensibili a queste decisioni che agli altri provvedimenti presi da Seoul. Tale suscettibilità è motivata dalla vulnerabilità del regime, che ha finora ben controllato e manipolato la popolazione attraverso il blocco totale delle notizie dall’esterno.

 

Le reazioni della Corea del Nord

Pyongyang non ha accettato i risultati dell’inchiesta, e ha proposto una propria commissione di verifica. Ha inoltre affermato che «risponderà con provvedimenti durissimi, come l’immediata “guerra totale”, nel caso in cui vengano adottate misure restrittive». E se la Corea del Sud proseguirà con la “guerra psicologica”, bloccherà il complesso industriale di Gaeseong – che ospita le imprese sudcoreane al nord – e «non esiterà a servirsi dei colpi di cannone per distruggere gli altoparlanti».

 

Le reazioni internazionali

L’incidente ha costretto la comunità internazionale di fare una scelta: con Seoul o con Pyongyang. Usa e Giappone si sono schierati dalla parte del Sud, la Cina da quella del Nord, mentre la Russia è ancora esitante. Gli Usa intendono includere di nuovo la Corea del Nord nella lista dei Paesi che promuovono il terrorismo, il che comporterebbe automaticamente misure come il blocco delle transazioni di denaro. Anche il Giappone si propone di svolgere un ruolo attivo presso il Consiglio di sicurezza per far adottare provvedimenti restrittivi più efficaci.

 

Pechino, “fratello maggiore” della Corea del Nord, non può tuttavia trascurare il Sud, uno dei partner commerciali più importanti dell’area. Infatti la Cina, uno dei cinque membri permanenti con diritto di veto in Consiglio di sicurezza, non ha preso ancora una posizione chiara nonostante le pressioni del governo sudcoreano e statunitense e anche dell’Unione europea, che ha adottato il 17 giugno una delibera a sostegno della Corea del Sud. 

 

Conclusione

Con il passar del tempo, una cosa è chiara: le minacce del regime di Pyongyang suonano vuote se si considera il danno che esso stesso dovrà subire. Basti pensare che la sospensione della collaborazione economica e commerciale con la Corea del Sud costituirebbe una ferita mortale per l’economia. Infatti le autorità nordcoreane non hanno preso nessun provvedimento contro il complesso industriale di Gaeseong, dove più di 40 mila operai impiegati nelle industrie sudcoreane ricevono stipendi molto più elevati rispetto agli standard del Paese. Difficile quindi dire come si evolverà la crisi tra le due Coree: forse l’incidente è servito solo a rafforzare le reciproche posizioni. E nonostante le minacce e controminacce, non si respira davvero aria di guerra.

 

  

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