Venezuela: situazione di stallo?

Si sgonfia il tentativo di Guaidó? Pochi i risultati interni, la regione latinoamericana cerca di mettere in moto i negoziati per indurre il chavismo a voltare pagina. I militari fattore decisivo

A quasi una settimana dal tentativo dell’autoproclamato presidente del Venezuela, Juan Guaidó, di ottenere la caduta del governo del presidente Nicolás Maduro, non pare che si siano prodotti i cedimenti sperati, soprattutto tra le file delle forze armate che ancora difendono in grande maggioranza il chavismo. Durante il fine settimana, Guaidó ha inviato i suoi accoliti presso le caserme per cercare di muovere le acque tra i militari, che oggi sono il fattore decisivo per la continuità del chavismo o per un cambio di regime. Ma finora gli unici risultati ottenuti sono la fuoriuscita di un paio di centinaia di militari che si sono rifugiati all’estero, mentre gli effettivi che martedì scorso hanno iniziato un conato di ribellione pare si siano rifugiati nell’ambasciata brasiliana a Caracas.

Non esiste forse scontento anche nelle file delle forze armate? Certamente esiste, ma va tenuto conto che gli effettivi delle tre armi sono 250 mila, e oltre un milione i miliziani riservisti. Il chavismo ha saputo lusingare le loro file con facili promozioni. I generali sono circa 2 mila e tale sproporzione appare con tutta evidenza quando si considera che l’esercito degli Stati Uniti ne ha “appena” 600. Ha favorito mutue convenienze, e quindi la lealtà dell’esercito sta rendendo difficile a Guaidó trovare appoggi. La promessa di un’amnistia non ha ottenuto i risultati sperati, se non uno stillicidio di diserzioni che non hanno raggiunto mai la massa critica. Anche la protesta popolare, sulla quale ha fatto affidamento Guaidó, non ha messo sotto scacco il governo. Sebbene la situazione sia critica in tutto il Paese, siamo lontani da una presenza nelle piazze tale indurre Maduro a prendere atto che è l’ora della resa.

L’altra arma di Guaidó è l’appoggio internazionale. Nonostante sia dubbia la legittimità della sua autoproclamazione, una cinquantina di governi lo hanno riconosciuto. Nella regione latino-americana, Guaidó riceve la simpatia del Gruppo di Lima, sorto precisamente di fronte alla crisi istituzionale venezuelana. Perù, Colombia, Brasile, Argentina, Paraguay, Cile ed Ecuador ne sono i principali sostenitori, dato che ormai di alleati fedeli all’ideologia chavista non sono rimasti che Cuba, Nicaragua e Bolivia. L’altro alleato di Guaidó è la Casa Bianca, alla quale manca però la capacità di disegnare una strategia che non si limiti all’uso della clava, minacciando a pie sospinto l’uso della forza. È stata notevole, questa settimana, la figura barbina fatta dalla diplomazia statunitense, che sponsorizza Guaidó fin da giovanotto ed ora lo vuole al governo del Paese, ma senza tener conto – come spesso succede al Dipartimento di Stato – del contesto politico e sociale.

Senza presentare prove, la Casa Bianca ha accusato Cuba di sostenere il regime chavista, come se Washington non stia sostenendo un governo ben peggiore di quello di Caracas, l’Arabia Saudita, responsabile della diffusione mondiale del terrorismo islamista. Tra una minaccia e l’altra di tuoni e fulmini dall’Olimpo di Washington, il Gruppo di Lima ha invece agito con buon senso chiedendo a L’Avana di collaborare con Caracas per approdare a una soluzione negoziata della crisi istituzionale. Il segnale politico è evidente: è ormai chiaro che da Washington non è dato attendersi segni di buon senso, pertanto pare logico giocare la carta del dialogo e per varie ragioni. Sebbene sia appoggiato da Putin, Mosca è lontana.

Nella regione nessuno se la sente di collaborare con un regime antidemocratico. Pertanto, le speranze di uscire dalla crisi economica sono scarse. Per evitare che questa giunga a livelli tali da scatenare sommosse militari o nelle piazze, la migliore via di uscita è quella di negoziare una transizione che consenta a un futuro governo di tornare alla normalità. C’è solo da augurarsi che tale buon senso prevalga.

 

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