Il Venerdì santo della diplomazia

La guerra è notoriamente il regno della menzogna e la sconfitta del negoziato. Ma dalle macerie può emergere il senso della comune appartenenza al genere umano, che necessita di compromessi
Venerdì santo
Members of the Ukrainian community living in Milan stage a flash mob remembering killing of civilians at the railway station of Kramatorsk, in Milan, Italy, Wednesday, April 13, 2022. (AP Photo/Luca Bruno)

In questa Settimana santa, in particolare oggi Venerdì santo, tocca proprio riuscire a tirarsi su, il che cristianamente vuol dire immergersi nel mistero pasquale e trarne i dovuti insegnamenti, inserendosi nella logica della risurrezione. E ciò malgrado le notizie dal fronte, morti, stupri, affondamenti, epurazioni, vendette e controvendette, droni sempre più sofisticati e una cyberwar che fa vittime a ripetizione, ma dando l’impressione che la guerra sia pulita.

Malgrado la povera gente, il popolo, quello che sta perennemente sulla bocca dei politici di turno senza che abbiano il diritto, seduti sulle loro comode poltrone, di pronunciare queta parola che è il sale della democrazia.

Ancora, malgrado tanti leader religiosi – cristiani, cristianissimi! – non riescano a svincolarsi dalla palude del potere politico e degli interessi curiali per affermare alto e forte: amate i vostri nemici, fate del bene a chi vi fa del male.

Malgrado, nella competizione economica, emerga l’irritante euforia dei commercianti di armi, che così possono continuare a sperimentare le loro tecnologie d’avanguardia, magari affermando che ciò porta a un vero e proprio progresso dell’umanità, perché le tecnologie utilizzate diventeranno poi pacifiche e pacificanti.

Malgrado il sangue continui a colare, anche se sugli schermi esso appare solo coagulato, imbrunito, quasi un dipinto. Chi conosce, chi ha conosciuto la guerra in diretta, sa che ancora non si è trovato il modo di disturbare le narici degli spettatori e de telespettatori con l’odore orribilmente dolciastro dell’emoglobina rafferma.

Malgrado un uomo politico di primissimo piano rispolveri vetusti imperialismi, minacciando di deportare i migranti clandestini, chissà perché, in Ruanda.

Malgrado continui a nascondersi nelle pieghe della convenienza e della coscienza tacitata la continua sofferenza di madri sofferenti e di zigoti ridotti a ipotesi d’esistenza.

Malgrado?

No, non malgrado, ma proprio per tutte queste ragioni e per ogni altro abominio, un uomo ebreo, venti secoli addietro, si è fatto crocifiggere, aprendo lo spazio a una salvezza che finallora era stata negata dalla brutalità dei cento, mille Caino che vivono tra di noi, quelli che fanno la guerra; dei Golia tronfi del proprio potere; dei Mengele che manipolano le chiavi dell’esistenza corporale; dei Pilato che i voltano dall’altra parte… Diciamocelo: siamo tutti un po’ Caino, un po’ Golia, un po’ Mengele e soprattutto un po’ (molto) Pilato.

Proprio per questo c’è da sperare contro ogni speranza. Perché prima o poi il “santo” negoziato tornerà necessario. Perché dopo la guerra può riemergere il bene, la generosità, la misericordia, e pure moltiplicati. Buona Pasqua sul fronte sempre enigmatico della nostra umanità.

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