Un’educazione ai social è possibile?

A che età è giusto dare al proprio figlio un cellulare? È giusto controllarlo sui social o è meglio lasciarlo libero di navigare? Come educarlo ad un uso equilibrato e responsabile dei social media? Sono tra le domande più ricorrenti dei genitori di oggi. Nel libro Nasci, cresci e posta Simone Cosimi e Alberto Rossetti rispondono.

Il rapporto tra social media e figli rappresenta una delle sfide educative che un genitore si trova a dover affrontare. A quale età è giusto iscriverlo? E su quali social? Lo dobbiamo fare insieme o posso lasciarlo navigare da solo così fa esperien­za? Devo conoscere tutti i social che frequenta mio figlio? Si potrebbe andare avanti a lungo nell’enunciare tutte le possi­bili domande che possono giustamente sorgere a un genitore che per la prima volta nella storia dell’uomo si trova a dover educare anche a questo nuovo ambiente. Un ambiente che, nonostante tutto, rimane ancora poco conosciuto. I genitori più spaventati parlano di figli “dipendenti dallo smartphone”, non più in grado di parlarsi di persona e sempre pronti a iso­larsi davanti allo schermo del dispositivo tecnologico. Quelli un po’ meno preoccupati cercano di trovare gli aspetti positivi dei social media e non rinunciano a osservare le capacità re­lazionali ancora presenti nel figlio. Al di là di quella che può essere la posizione personale di ciascun genitore, alla luce di quanto abbiamo detto finora, possiamo sostenere che i social media contribuiscono alla costruzione identitaria e incidono nel modo di relazionarsi di ciascun essere umano.

A tale proposito una mamma, al termine di una conferen­za, ha preso la parola e, con un filo di nostalgia, ha messo in luce con estrema semplicità questo paradosso della modernità. Da quando lo smartphone è entrato nella nostra famiglia facciamo molta più fatica a comunicare tra noi. Ognuno passa il suo tempo libero sui social a commentare, chattare, guardare video… non ci parliamo più.

Ma come, i social media sono nati per aumentare le nostre possibilità comunicative e nelle famiglie, il luogo per eccel­lenza in cui ci si dovrebbe relazionare, si parla di meno anche a causa loro? Come mai si continua ad anticipare l’età in cui si regala ai figli uno smartphone e un tablet se tutto questo si traduce in un peggioramento delle relazioni all’interno delle mura domestiche?

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Eppure sono sempre di più i ragazzi al di sotto dei 13 anni che possiedono uno smartphone e aprono almeno un account su un social media, cominciando così la loro navigazione, con contenuti personalizzati, in solitudine. Del resto, i dati lo dimo­strano in maniera impietosa, a guidare la scelta di un genitore non sembrerebbe esserci una valutazione di tipo educativo, come potrebbe essere la presunta maturità del figlio, quan­to piuttosto la sempre maggiore accessibilità economica di smartphone e tablet, insieme all’idea, tutta da dimostrare, che questi dispositivi siano necessari a qualunque età. Questa cor­sa al digitale o, potremmo dire, all’essere tutti più social, non tenendo conto della differenza generazionale, ha messo tutte le persone sullo stesso piano e creato numerose incomprensio­ni e difficoltà. Oggi si continua a rincorrere l’utopica idea di un’educazione digitale di tipo cognitivo e comportamentale, che insegni cioè ai ragazzi a utilizzare questi nuovi media in maniera corretta e sicura, non mettendo mai in discussione il modo in cui vengono utilizzati dagli adulti, i messaggi che essi veicolano con le loro scelte e la dimensione socio-politica col­legata a questi nuovi media della comunicazione. […]

I primi a essere in difficoltà nella gestione dei social net­work sono proprio gli adulti ed è per questo inutile invocare un’educazione digitale a scuola se non si parte prima da se stes­si, dal modo di restare connessi, dal significato che si dà all’es­sere su un social. Bisogna cominciare da qui, dalle domande e dai dubbi che sorgono quando si decide di stare all’interno di un social network, dalle letture critiche che aiutano a com­prendere il cambiamento che sta avvenendo, dall’osservazione di come questi potenti media stiano modificando il proprio modo di entrare in relazione all’altro. Da questo punto di osservazione è poi possibile chiedersi se il proprio figlio, al li­vello di sviluppo in cui è arrivato, ha davvero la necessità di utilizzare il social o se è meglio che se ne stia alla larga ancora per un po’.

Occorre che i bambini imparino a parlare prima che a uti­lizzare le emoji, che provino a esprimere i propri sentimenti di fronte a un altro essere umano senza utilizzare uno smartpho­ne, che riescano a distinguere un palcoscenico dalla vita reale:

per tutto questo, che piaccia o no, serve la testimonianza vera, e per questo anche imperfetta, di un adulto.

 

da “Nasci, cresci e posta. I social media sono pieni di bambini: chi li protegge?” di Simone Cosimi e Alberto Rossetti

 

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