Un’alleanza per reinserire i detenuti

Il progetto mira ad applicare il Pay by Result, uno strumento finanziario ancora poco noto in Italia, ma diffuso all'estero, alle carceri, per migliorarne l'organizzazione e le condizioni dei detenuti
Carcere di Foggia

Si chiama Pay by Result e in parole povere significa “pagamento a risultato ottenuto”: è uno strumento finanziario, ancora poco noto in Italia, ma che ha riscosso all’estero un successo interessante, che consente grandi risparmi e coordinamento fra attori diversi, mettendo in sinergia pubblica amministrazione e privati. Human Foundation e Fondazione Sviluppo e Crescita CRT hanno pensato di applicarlo al mondo del terzo settore, ed in particolare all’universo delle carceri, con un progetto sperimentale finalizzato al reinserimento sociale e lavorativo delle persone detenute, alla loro autonomia e all’abbassamento della recidiva.

L’iniziativa, realizzata con l’apporto del Politecnico di Milano, dell’Università di Perugia e di KPMG, con il supporto del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e la collaborazione dell’Istituto Lorusso e Cutugno di Torino, è stata presentata ieri alla Camera di Commercio di Roma, alla presenza del ministro della Giustizia Andrea Orlando, che, sottolineando la coincidenza dell’approvazione – ieri – da parte del Senato, della riforma penale, ha ricordato l’impegno del Governo per arginare il problema del sovraffollamento carcerario e del numero elevato di detenuti in attesa di sentenza definitiva.

“Lo spunto per questo lavoro – hanno spiegato quindi i promotori – parte dalla crescente limitatezza di risorse pubbliche per investimenti finalizzati alla sperimentazione di servizi di welfare innovativi. Per sopperire alla scarsezza di risorse per l’innovazione sociale, il settore privato, collaborando con la Pubblica Amministrazione, può offrire un prezioso contributo ai processi di applicazione di nuove politiche per l’inclusione”.

La presidente di Human Foundation, Giovanna Melandri si è detta “convinta che questa sia la strada giusta per poter sperimentare servizi sociali fondamentali e innovativi, realizzando nuovi modelli applicabili in tutto il terzo settore. Da tempo studiamo e proponiamo l’utilizzo di modelli finanziari che collegano l’investimento ai risultati sociali ottenuti (pay for result), grazie ai quali è possibile la collaborazione tra pubblico e privato secondo criteri di trasparenza e una maggiore efficienza dell’offerta ai cittadini”.

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Rispetto al funzionamento dello strumento finanziario Francesco Mento, direttore di Human Foundation, ha spiegato: “Secondo il modello Pay by Result, vengono mobilitate risorse private che arrivano all’inizio e sostengono l’implementazione dell’intervento durante gli anni necessari ad erogare i servizi e valutarne l’efficacia, per cui si tratta di interventi pluriennali. Poi se l’intervento ha raggiunto i suoi obiettivi, attraverso un valutatore indipendente che va a certificare quei risultati, l’amministrazione pubblica restituisce agli investitori privati, quindi ex-post, il capitale che hanno investito con un piccolo rendimento laddove l’accordo lo preveda”. E se l’intervento non raggiunge il suo obiettivo “ci sono esperienze diverse a seconda dell’approccio che viene utilizzato: fondi di garanzia che tutelano gli investitori, una perdita del capitale, il ritorno del solo capitale (senza rendimento) o la perdita totale del capitale”.

Ma il carattere innovativo del modello riguarda anche l’aspetto metodologico: “è nella collaborazione di attori molto diversi – continua Mento – che hanno mobilitato le loro competenze, che sono specifiche rispetto ai temi dello studio, e da questo punto di vista è stato molto interessante. Rispetto al modello le soluzioni che abbiamo prefigurato di individualizzazione dell’intervento, di gestione e presa in carico attraverso un case-manager, di erogazione di una pluralità di servizi che vanno a rispondere ai bisogni specifici degli utenti rappresenta sicuramente una innovazione sia nei processi di presa in carico che nella erogazione dei servizi”.

Proprio l’individualizzazione dell’intervento, calibrato sul singolo detenuto, rappresenta un valore aggiunto: “il case-manager ha il compito di selezionare il beneficiario, progetta con il detenuto l’intervento e lo accompagna durante il percorso, coordinando i soggetti coinvolti nell’erogazione dei servizi. Lavora in sinergia con gli educatori, con i servizi del territorio e con le organizzazioni del Terzo settore coinvolte”. I detenuti beneficiari degli interventi vengono scelti secondo tre profili specifici: con scarso capitale sociale e personale; con scarso capitale sociale e personale ma con risorse personali e attitudine al cambiamento; con una rete sociale su cui poter fare affidamento e con risorse personali. Tra le attività proposte compaiono counseling psicologico, attività sportive e culturali, attività terapeutiche, percorsi formativi di base e professionali, laboratori motivazionali e di supporto per l’avvio di impresa, attività di mediazione fra il detenuto e la famiglia, costruzione di reti di accoglienza.

Al riguardo, il Ministro Andrea Orlando ha sottolineato quanto “sia necessario passare da un carcere di tipo fordista, che per casi diversi prevede trattamenti uguali, ad un carcere che invece individualizzi il trattamento e offra opportunità concrete di reinserimento. Solo un sistema che assicuri il reinserimento sociale può infatti garantire la sicurezza pubblica”. Il guardasigilli ha quindi auspicato che allo studio “faccia seguito la sperimentazione pilota, da cui partire per rinnovare l’intero sistema penitenziario del nostro Paese”, osservando anche che il modello presentato “può inoltre contaminare positivamente altri ambiti del welfare pubblico”.

Uno dei benefici più rilevanti derivanti dall’adozione di questo modello – ha ricordato infine Giovanna Melandri – consiste infatti nella ottimizzazione della spesa pubblica, che è indirizzata solo verso i progetti e le iniziative di provata efficacia. È la misurabilità dei risultati ottenuti secondo parametri predefiniti che rende l’approccio rigoroso.

“L’impact investing – ha evidenziato Massimo Lapucci, Segretario Generale di CRT – anche grazie ad innovativi strumenti finanziari, è in grado di coniugare risparmi di spesa pubblica, tangibili risultati sociali e realistiche prospettive di ritorno dei capitali investiti nel tempo”.

“Alla base di questi strumenti – spiega una nota diffusa dal gruppo – vi è l’idea di promuovere la sperimentazione di progetti altamente innovativi, orientati a generare benefici misurabili a vantaggio di una determinata popolazione target, ai quali possa essere associato un preciso valore finanziario, approssimato in termini di risparmi futuri rispetto agli attuali livelli di spesa per l’erogazione dei servizi”.

Nel concreto “se la persona detenuta, al termine del percorso trattamentale e detentivo, non farà ritorno nel circuito carcerario, la Pubblica Amministrazione vedrà benefici in termini di risparmi rispetto a costi diretti. Pensiamo, ad esempio, all’eventuale minor numero di pasti da erogare, così come alla riduzione delle spese legate a garantire le misure di sicurezza nell’istituto. Vi sono, poi, benefici indiretti: la comunità godrà di un abbassamento del tasso di criminalità, sino ad arrivare ad un maggiore gettito fiscale laddove il detenuto venga impiegato stabilmente”.

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