Una politica industriale prima di un salvatore

«Disposti a tutto»: i lavoratori sardi sotto il ministero dello Sviluppo alla ricerca di una soluzione per un caso (quasi) impossibile 
Alcoa - Sardegna

La società multinazionale statunitense Alcoa, l’Aluminum Company of America, sta lasciando l’Italia. La procedura sarà ultimata nei pochi mesi che restano del 2012. Rimangono i lavoratori e uno stabilimento a Portovesme in Sardegna che sta spegnendosi secondo i tempi dettati dalla tecnica. Un destino prevedibile dalla sigla dell’accordo, avvenuta alla fine del 2009, tra il grande produttore di alluminio nordamericano e la Ma’aden, Saudi Arabian Mining Company. Non si investe senza una strategia di lungo periodo che prevede lo sviluppo degli affari sulle coste della penisola arabica piuttosto che nella bella isola dei quattro mori. «Non dobbiamo nasconderci: la situazione è quasi impossibile», ha detto recentemente il ministro dello Sviluppo Passera in un dibattito pubblico durante la festa nazionale del Partito democratico. Ha usato i toni espliciti di chi è abituato a gestire i casi aziendali.

L’unico risultato della disperazione degli operai sardi accorsi a Roma il 10 settembre è stato, finora, quello di rallentare il processo di chiusura degli impianti in attesa dell’offerta di un compratore estero, svizzero forse, che non potrà non dettare le condizioni per investire. Il tempo è brevissimo. I tre anni dalla sigla della joint venture saudita sembrano passati invano senza trovare una via di uscita per il sito produttivo, ceduto, nel 1995, agli americani dalla società italiana a partecipazione statale Efim.

La privatizzazione vuol dire anche questo, e cioè che nessuno può obbligare la multinazionale a restare sul suolo italiano se non è più conveniente. Anche se le maestranze dimostrano con orgoglio una grande capacità produttiva, resta il nodo del prezzo dell’energia, che rappresenta il 40 per cento dei costi di produzione e che finora ha ricevuto sconti pagati con i soldi pubblici. Il caso Alcoa è illustrato in un intero capitolo del libro “Mani bucate”, sugli sprechi pubblici, curato dal giornalista Marco Cobianchi dove si ricorda come la società dovrebbe «ancora restituire all’Italia 295 milioni di euro così come ha stabilito la Ue il 19 novembre del 2009, come risarcimento per aver ottenuto sussidi in modo illegittimo negli anni precedenti». D’altra parte l’Alcoa ha dedicato un intero sito web a rendere trasparente la procedura di chiusura dell’impianto a partire dalle motivazioni che derivano dalla constatazione che i «vari strumenti e accordi che hanno concorso a definire la tariffa elettrica garantita (valida fino a dicembre 2012) non sono sufficienti, nel contesto attuale, ad assicurare costi di produzione competitivi», mentre nel lungo termine «la posizione di costo dello stabilimento è destinata a peggiorare ulteriormente a causa del rialzo dei prezzi dell'energia e dei costi aggiuntivi dettati dalla normativa europea».

La questione centrale resta quindi la capacità di adottare una coerente politica industriale a livello europeo che non si riduca a creare le condizioni per qualche incentivo temporaneo per attirare capitali pronti sempre a far le valigie (“Alcoa Usa e getta” è stato uno degli slogan gridati davanti al ministero dello Sviluppo situato molto vicino all’ambasciata statunitense).
La forza della vertenza dell’Alcoa e dei tanti, troppi casi che riguardano la Sardegna, sta tutta nella capacità dei lavoratori di muoversi con un forte senso di identità e di coesione ("Forza Paris" è il canto “nazionale” che vuol dire “avanti assieme”), rappresentando quella situazione estrema di abbandono che tanti vivono invece in maniera solitaria. Si pensi alle società informatiche e delle telecomunicazioni (come i 580 licenziamenti annunciati dalla Nokia Siemens in Italia) che lasciano per strada ingegneri cinquantenni.

Si fanno, a proposito di Alcoa, articoli e titoli sulle bombe carta lanciate apposta per distrarre l’attenzione, ma è a questo malessere diffuso di chi non vede il futuro immediato che bisogna prestare grande attenzione.

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