Una nuova via di consacrazione

In che cosa il carisma dell'unità rappresenta una novità nella storia della Chiesa? L'autrice, del Centro Studi del Movimento dei Focolari, presenta in modo sintetico le tappe, gli strumenti e l'incidenza nella cultura di questa nuova spiritualità.
Chiara Lubich in montagna

Se guardiamo alla storia della Chiesa, in particolare ai carismi elargiti dallo Spirito Santo nei due millenni che ci hanno preceduto, possiamo ammirare innumerevoli santi, eroi, miracoli, dottrine che costituiscono un suo prezioso patrimonio e che fanno di essa, la Chiesa, un “Cristo dispiegato nei secoli”, secondo una nota espressione di Chiara Lubich1.

Pur nella loro diversità, nella loro tipicità, questi carismi presentano una caratteristica comune: il cammino spirituale che essi propongono è tracciato essenzialmente per il singolo, in vista della sua perfezione e santità.

Dimensione comunitaria 

La nostra epoca ha visto nascere numerosi carismi, in cui viene evidenziata primariamente la dimensione comunitaria della vita cristiana. Sono carismi che “suscitati provvidenzialmente dallo Spirito Santo nella Chiesa” – come afferma Benedetto XVI – offrono “una testimonianza dell’immensa carità di Dio per la vita di ogni uomo”2.

Essi sembrano rispondere in modo particolare alle istanze del nuovo millennio, come hanno espresso eminenti teologi contemporanei. Il teologo K. Rahner, ad esempio, guardando alla Chiesa del futuro, scrive : “Io penso che in una spiritualità del futuro l’elemento della comunione spirituale fraterna, di una spiritualità vissuta insieme, possa giocare un ruolo più determinante”3.

Il card. W. Kasper si pone sulla stessa linea di pensiero: “La forma fondamentale della fede – dice –, in questa nuova epoca di una civilizzazione universale dell’umanità, sarà l’unità dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo… Questo in futuro dovrebbe avere come conseguenza una nuova forma di spiritualità”4.

Ed è quanto autorevolmente anche Giovanni Paolo II, nella lettera Novo millennio ineunte, sosteneva: “Se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere alle attese profonde del mondo… occorre promuovere una spiritualità della comunione” (NMI 43).

Anche il documento Ripartire da Cristo raccomanda alle famiglie religiose di far crescere tale spiritualità prima di tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale, e di entrare in dialogo e in comunione con le nuove forme di vita evangelica quali, ad esempio, i Movimenti (nn. 28-30).

La nostra, dunque, è un’epoca in cui lo Spirito Santo chiama con forza gli uomini a camminare accanto gli uni agli altri, ad essere, con tutti coloro che lo desiderano, un cuore solo e un’anima sola5. 

La quarta strada 

A mo’ di esempio vorremmo ora soffermarci in particolare su una delle spiritualità sorte nel nostro tempo, sulla spiritualità del Movimento dei Focolari. Essa ammira e abbraccia le splendide spiritualità fiorite fino ad oggi nella Chiesa e offre il suo specifico, ciò che la caratterizza come una via nuova che si percorre insieme con la consapevolezza di perseguire la santità non solo individuale ma anche collettiva.

Come è noto, tutto ebbe inizio a Loreto nell’ormai lontano 1939. Fu lì che Chiara ebbe l’intuizione di essere chiamata ad aprire questa nuova strada di consacrazione a Dio. Così lei stessa racconta:

“Sono invitata ad andare a Loreto per un convegno di studentesse cattoliche. Seguo il corso con tutte le altre. Ma appena posso, nel momento d’intervallo, corro alla Casetta. M’inginocchio accanto al muro annerito dalle lampade. Non riesco a pronunciare parola. Qualcosa di nuovo e di divino m’avvolge, quasi mi schiaccia. Contemplo col pensiero la vita verginale dei tre. Dunque Maria avrà abitato qui. Giuseppe avrà attraversato la stanza da lì a lì. Gesù Bambino in mezzo a loro avrà conosciuto per anni questo luogo. I muri avranno riecheggiato la sua vocetta di infante…

Ogni pensiero mi pesa addosso, stringe il cuore, le lacrime cadono senza controllo. Così la prima volta. Ma poi, ad ogni intervallo del corso, corro sempre lì. Quella convivenza di vergini con Gesù fra loro ha un’attrattiva irresistibile. Ed ogni volta lo stesso senso del divino che quasi schiaccia. È l’ultimo giorno. La chiesa è gremita di giovani. Mi passa un pensiero chiaro, che mai si cancellerà: sarai seguita da una schiera di vergini.

Tornata nel Trentino trovo la mia scolaresca e il parroco. Questi mi vede felice e domanda: ‘Hai trovato la tua strada?’. ‘Sì’, rispondo. ‘Il matrimonio?’. ‘No’. ‘Il convento?’. ‘No’. ‘Rimarrai vergine nel mondo?’. ‘No. È una quarta strada’ concludo”6.

“Per me era una strada nella quale c’era tutto il sapore della famiglia, ma una famiglia di tutti vergini: Gesù, Maria e Giuseppe. C’era anche il profumo del convento: la casetta di Loreto ricordava la totale consacrazione a Dio. Ma si era in mezzo al mondo; vergini nel mondo, non isolati, ma raggruppati. E lì ho trovato la nostra strada”7.

Dopo quattro anni Chiara avverte che Dio la chiama a donarsi a Lui per sempre. Il 7 dicembre 1943 si consacra e ben presto molte giovani la seguono. 

Dio Amore 

Il percorso di questa nuova strada è segnato – per tutti noi che l’abbiamo intrapresa – da varie tappe. La prima è un incontro o meglio una scoperta: Dio è Amore. La nostra vita si è come illuminata: è stato incontrare una luce che ci ha attirati e coinvolti nel cuore e nella mente. Per cui tutta la vita si è trasformata, ha preso – direbbe Benedetto XVI – “la direzione decisiva”8.

Scoprire che Dio ci ama immensamente è stata per noi una novità assoluta, tale da operare una sorta di conversione. Da quel momento abbiamo scorto Dio presente dappertutto con il suo amore: nelle nostre giornate, nei nostri propositi, negli avvenimenti gioiosi e tristi.

“Egli c’è sempre e ci spiega che tutto è amore – scrive Chiara -: ciò che siamo e ciò che ci riguarda; che siamo figli suoi ed Egli ci è Padre; che nulla sfugge al suo amore, nemmeno gli errori commessi; che il suo amore avvolge i cristiani come noi, la Chiesa, il mondo, l’universo”9.

Si va scoprendo non più un Dio lontano, inaccessibile, estraneo alla nostra vita, ma il volto paterno di Lui e, di conseguenza, quella relazione tra Cielo e terra che ci unisce quali figli al Padre e fratelli fra noi. Ed è Dio Amore, Dio Padre che sempre ci accompagna lungo il cammino spirituale che percorriamo singolarmente e insieme.

In particolare, ci insegna ad abbandonarci totalmente a Lui; a stupirci di fronte ai suoi interventi, alla sua provvidenza puntuale e concreta; ad essere staccati dalle cose; a vivere la vita terrena immersi nel soprannaturale, immersi in quel Regno di Dio già presente sulla terra.

In una parola possiamo dire che scoprire che Dio è Amore ci insegna a scoprire sempre e dovunque, in noi e attorno a noi, l’amore. “Abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4, 16): è stata ed è questa la risposta immediata alla scoperta di tanto amore, e di conseguenza è la norma che – sentiamo – deve informare il nostro agire e plasmare sempre tutto il nostro essere. 

Vivere la Parola 

Per realizzare ciò, tutti noi, membri del Movimento, guardiamo a Colui che nella sua vita ha fatto dell’amore l’unico scopo: Gesù. Siamo infatti chiamati ad essere altri Lui per portare nel mondo il suo modo di agire, il suo modo di pensare, il suo modo di volere.

Gesù infatti – scrive Chiara – “è la Vita, la Vita completa. È l’Uomo, l’uomo perfetto, che riassume in sé tutti gli uomini e ogni verità e spinta che essi possono sentire per elevarsi al proprio posto. E chi ha trovato questo uomo ha trovato la soluzione ad ogni problema umano e divino” 10.

Per fare ciò sentiamo di dover conoscere e tradurre in vita tutto quanto Lui ha detto e ha fatto, di dover vivere cioè anzitutto la sua Parola – secondo una pratica collaudata fin dagli inizi del Movimento –, nutrirci di essa, assimilarla finché penetri nel profondo dell’anima nostra.

E abbiamo constatato che nel “lasciarsi vivere dalla Parola” si diventa Parola vissuta. Ed essere Parola vissuta significa essere un altro, far la parte dell’Altro che vive in noi, trovare la nostra vera libertà nella liberazione da noi, dai nostri difetti, dal nostro non essere11.

Cerchiamo poi di comunicare sempre agli altri le esperienze della Parola vissuta, per rievangelizzarci come singoli e come comunità. Solo così sappiamo di poterci formare ad essere altri Gesù e a scoprirci come persone che si realizzano nell’amore. 

Amore reciproco 

In questa nuova vita, che il carisma dell’unità è andato via via suscitando, si è evidenziata la caratteristica essenziale di quell’amore che Gesù ha portato sulla terra: l’amore stesso della Trinità. Un amore che è incondizionato reciproco dono di sé, e dunque totale comunione. Un amore che, riflettendo il dinamismo della vita intratrinitaria, trasforma il nostro modo di rapportarci con gli altri.

Come scrive Chiara: “Io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato da Dio in dono a me, come il Padre nella Trinità è tutto per il Figlio e il Figlio è tutto per il Padre. E per questo il rapporto tra noi è lo Spirito Santo, lo stesso rapporto che c’è fra le Persone della Trinità”12.

Il nostro amore reciproco deve essere, quindi, espressione di questa realtà trinitaria perché la vita del Cielo sia trasferita in qualche modo sulla terra o, meglio, la terra si faccia anticipo di Cielo. E quando ciò avviene, si sperimenta che nascono rapporti interpersonali nuovi, radicati su un fondamento saldo, profondamente umano e, al tempo stesso, profondamente divino. Constatiamo, ad esempio, che guardare al fratello che ci passa accanto come un dono d’amore di Dio suscita nell’altro una risposta d’amore.

“Quanti, errando, – spiega Chiara – guardano alle creature e alle cose per possederle! Ed il loro sguardo è egoismo o invidia o, comunque, peccato. O guardano dentro di loro per possedersi, per possedere la loro anima, e il loro sguardo è spento perché annoiato o turbato… Guarda fuori di te: non in te, non nelle cose, non nelle creature: guarda al Dio fuori di te per unirti con lui. Guarda ogni fratello amando e l’amare è donare. Ma il dono chiama dono e sarai riamato. Così l’amore è amare ed essere amato”13. 

Amare il fratello 

Di più: il fratello amato diventa per noi via – e via privilegiata – per arrivare a Dio. Infatti è esperienza comune che, dopo aver amato tutto il giorno i fratelli, a sera, quando ci si trova da soli si avverte nell’anima l’unione con Dio.

Chiara scrive: “Noi abbiamo una vita intima e una vita esterna. L’una dell’altra una fioritura; l’una dell’altra radice; l’una dell’altra chioma dell’albero della nostra vita. La vita intima è alimentata dalla vita esterna. Di quanto penetro nell’anima del fratello, di tanto penetro in Dio dentro di me; di quanto penetro in Dio dentro di me, di tanto penetro nel fratello”14.

Ma il fratello va amato con la misura dell’amore di Dio. “L’Amore, che è Dio, – scrive ancora Chiara – è luce e con la luce si vede se il nostro modo di accostare e servire il fratello è conforme al Cuore di Dio, come il fratello lo desidererebbe, come sognerebbe se avesse accanto non noi, ma Gesù”15.

Amare il fratello, con questa misura, richiede alcune condizioni: accogliere tutto di lui, entrare nelle sue necessità, fare nostri i suoi dolori, le sue difficoltà, viverli come cosa nostra. È il “farsi uno” con lui (cf. 1 Cor 9, 22), che implica da parte nostra il vuoto più completo di noi, il nostro essere nulla. 

Gesù abbandonato 

Fin dagli inizi il carisma ci ha indicato quale è per noi il modello del più profondo farsi nulla per amore: Gesù che grida al Padre “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34): un vuoto d’amore infinito che è supremo atto d’amore, in cui Egli si manifesta tutto amore e perciò fonte di quell’amore che ci unisce al Padre e fra noi.

Gesù Abbandonato ha, infatti, “riempito ogni vuoto, ha illuminato ogni tenebra, ha accompagnato ogni solitudine, ha annullato ogni dolore, ha cancellato ogni peccato”16.

È guardando a questo divino modello, Gesù Abbandonato, che impariamo ad affrontare ogni situazione negativa, personale e altrui, e a trasformarla in occasioni di nuova crescita nel rapporto con Dio e con i fratelli. 

L’unità e Gesù in mezzo

 Amare dunque, amarci reciprocamente avendo come misura il grido di abbandono di Gesù. È qui il nucleo fondamentale della via nuova che i membri del Movimento intraprendono, avendo sempre dinanzi, come guida e meta, la preghiera di Gesù al Padre: “Che siano uno, affinché il mondo creda” (Gv 17, 21). Essi, sentendo propria ogni mancanza di unità che incontrano, cercano di stabilire pienamente fra loro l’unità perché possa irradiare e risplendere sempre più anche attorno a loro.

Questa unità realizzata ha come effetto la presenza di Gesù promessa a coloro che sono uniti nel suo nome (cf. Mt 18, 20)17, presenza che ci fa uno in Cristo (cf. Gal 3, 28), “non una cosa sola, ma uno, un unico soggetto nuovo”, come afferma Benedetto XVI che conclude: “Se viviamo in questo modo, trasformiamo il mondo”18.

Per noi che percorriamo la via dell’unità Gesù in mezzo è perciò essenziale, è – si può dire – la natura della nostra vita, la norma delle norme19. Non è quindi solo un punto di arrivo ma un punto di partenza. È Lui fra noi che caratterizza il nostro carisma. Per questo siamo costantemente protesi a “generare” la sua presenza fra noi20. Ed è per Lui fra noi che tutto assume significato e valore: nella preghiera, nello studio, nel lavoro ed anche nella nostra tensione alla santità.

Ciò fa comprendere come questa nuova via sia percorsa da ciascuno nella sua singolarità ma in una profonda comunione di vita e di pensiero fra tutti coloro che la intraprendono. 

Strumenti concreti 

E perché questo cammino sia sempre condotto insieme si ricorre ad alcuni strumenti concreti. Oltre la comunicazione delle esperienze sulla Parola di vita già richiamata, alcuni momenti sono riservati ai colloqui personali dei responsabili con i vari membri per condividere eventuali prove, per rimuovere difficoltà che possono subentrare nel cammino, per illuminare e aiutare. Sono stati proprio questi tipici colloqui la prima forma di struttura del Movimento nel suo nascere.

Altro strumento utile e indispensabile è la consuetudine denominata “ora della verità”, che si richiama alla correzione fraterna esercitata nella prima comunità cristiana (cf. Col 3, 16; 2 Cor 13, 11; Eb 10, 24-25). Con essa ci si aiuta vicendevolmente non solo a togliere i difetti ma anche ad accrescere le proprie virtù.

Si pratica, inoltre, la comunione d’anima, la comunicazione cioè di quei momenti significativi, di dolori e di grazia, che si incontrano nel percorso intrapreso. E questa comunione, fatta solo per amore – poiché ciò che si fa per amore non si perde ma rimane e si moltiplica –, incoraggia reciprocamente.

Anche i voti – per coloro che nel Movimento li formulano – acquistano un significato nuovo. Essi infatti servono a puntellare l’unità: il voto di obbedienza è finalizzato a rendere più sicura l’unità con i superiori; quello di castità per avere un cuore puro atto ad amare Gesù in ogni prossimo; quello di povertà per essere pronti a realizzare con i fratelli la comunione dei beni.

Ma anche i momenti di preghiera sono vissuti, in certo modo, insieme. Durante la Messa, ad esempio, disponendoci ad accogliere l’Eucaristia con l’amore reciproco tra noi, sperimentiamo che essa ci infonde pace, gioia, luce e ci unisce a Cristo e tra noi.

Il frutto, poi, delle nostre personali meditazioni – fatte sulla S. Scrittura o su testi riguardanti la spiritualità – a tempo opportuno viene comunicato ai fratelli. E, nei giorni dedicati al ritiro o agli esercizi spirituali alcuni spazi vengono riservati al silenzio, altri a conversazioni fraterne per l’edificazione di tutti. 

Cultura della risurrezione 

In questa via dunque si cerca la santità altrui come la propria, al fine di realizzare il progetto di Dio su ciascuno e insieme. Al tempo stesso, noi membri del Movimento cerchiamo di irradiare uno stile di vita evangelica anche negli ambienti dove svolgiamo le nostre attività professionali.

E, convinti che il Vangelo può penetrare realmente in ogni ambito –dall’economia alla politica, dal diritto alla sanità, dalla scuola alle comunicazioni sociali –, ci impegniamo a collaborare con tutta la Chiesa per far emergere una cultura fondata sul Vangelo e sui valori in esso contenuti, capaci di offrire risposte risolutive alle numerose problematiche della società odierna.

Per questo di fronte al consumismo proponiamo la cultura del dare; di fronte all’immoralità la cultura della purezza, di fronte alla non credenza la “cultura della risurrezione”21, cultura, cioè, di Gesù Risorto presente in mezzo a noi che ci guida alla edificazione di quella civiltà dell’amore oggi più che mai auspicata22. 

Maria 

Lungo le tappe del nostro cammino, tutti noi guardiamo ad una creatura pienamente realizzata: Maria. Ella, lungo l’arco della sua vita accanto a Gesù, ha costantemente creduto all’amore di Dio; ha vissuto pienamente la Parola; si è fatta dono d’amore, nulla d’amore per tutti; ha continuato e continua a generare la presenza del Figlio suo in tutta la Chiesa, diffondendo così la cultura di Lui Risorto.

È per questo che Maria si offre a quanti aderiscono al Movimento – che significativamente porta il nome di Opera di Maria –, quale modello da imitare e ancor più da rivivere per essere sulla terra, per quanto possibile, una presenza e quasi una continuazione di Lei23. 

 

NOTE

1 Cf. Nuova Umanità 111/112 (1997), p. 389.

2 Benedetto XVI, Alla fraternità di Comunione e liberazione, 24 marzo 2007.

3 Elementi di spiritualità nella chiesa del futuro, in Problemi e prospettive di spiritualità, a cura di T. Goffi – B. Secondin, Brescia 1983, p. 441.

4 W. Kasper, Introduzione alla fede, Brescia 1973, pp. 204-205.

5 Cf. C. Lubich, Una via nuova, Roma 2003, p. 20.

6 C. Lubich, Scritti spirituali/1, Roma 19974, pp. 10-11.

7 C. Lubich, in AA.VV., Come un arcobaleno, (ad uso interno del Movimento dei Focolari), Roma 1999 p. 448.

8 Cf. Deus caritas est, n. 1.

9 Cf. C. Lubich, Una via nuova, op. cit., pp. 33-34.

10 Cf. C. Lubich, La dottrina spirituale, Milano 2001, p. 220.

11 Cf. Ib., p. 171.

12 C. Lubich, Spiritualità dell’unità e vita trinitaria, in Nuova Umanità 1(2004), pp. 15 e 16; Id., L’arte di amare, Roma 2005, pp. 128-129.

13 C. Lubich, La dottrina spirituale, op. cit., p. 123.

14 Ib., p. 105.

15 Ib., p. 128.

16 C. Lubich, Scritti spirituali/1, op. cit., p. 44; cf. Deus caritas est, n. 12.

17 Cioè, come attestano i Padri della Chiesa, nel suo amore. Cf. Giovanni Crisostomo, In Matth 63: PG 58,587; Teodoro Studita, Ep. II: PG 99,1350.

18 Benedetto XVI, Omelia del Sabato Santo, 15 aprile 2006.

19 In modo significativo, gli Statuti del Movimento si aprono proprio con questa premessa: “La mutua e continua carità, che rende possibile l’unità e porta la presenza di Gesù nella collettività, è per le persone che fanno parte dell’Opera di Maria la base della loro vita in ogni suo aspetto: è la norma delle nome, la premessa di ogni altra regola” (Statuti Generali, p. 5).

20 Cf. Paolo VI in Insegnamenti VI,II, 1964, pp. 1072-173.

21 Cf. C. Lubich, All’incontro dei focolarini, Castelgandolfo, 4 gennaio 2004.

22 Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, n. 30: EV 9,683.

23 Cf. Statuti Generali, art. 2.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons