Una nomina per merito e non per raccomandazione

Incarichi dirigenziali nel settore sanitario: non sempre i criteri di attribuzione sono trasparenti. Una testimonianza.
ambulanze

«Sono medico di igiene e sanità pubblica e lavoro da 20 anni nel dipartimento di prevenzione di una piccola Asl; mi occupo di profilassi delle malattie infettive e vaccinazioni. Sono sposata e ho tre figlie, di cui la maggiore appena laureata in medicina. Il mio ambiente di lavoro non è facile perché, come accade spesso, i miei superiori e alcuni dei miei colleghi vivono la professione e le connesse attività di controllo sanitario svolte sul territorio, come un’occasione privilegiata di gestire potere, secondo logiche clientelari di varia natura. Paradossalmente quanto non rientra in tali logiche, come l’organizzazione del lavoro, la gestione di problemi ordinari o straordinari, diventa di interesse secondario e pertanto viene delegato immediatamente ad altri, prescindendo da qualsiasi indicazione operativa.

 

In questa realtà lavorativa, ho cominciato fin dai primi anni di servizio ad essere uno scomodo segno di contraddizione, mettendomi a disposizione dei colleghi e cercando, nonostante tutto, di lavorare al servizio del pubblico che afferiva al mio ambulatorio. Dopo qualche mese dal mio arrivo in quella struttura, il mio superiore mi disse sorpreso “..sei l’ultima arrivata, ma sei già indispensabile!”. Nel giro di qualche anno riuscii a scardinare la logica clientelare cui il pubblico era rassegnato, facendo riacquistare alla gente la dignità di utenti aventi il diritto a prestazioni di qualità, nel tempo dovuto, senza dover ricorrere al “favore personale” del solito amico benemerito.

 

Ho costruito così una fitta rete di rapporti fondati sulla mia disponibilità personale e professionale, ricambiata dalla stima dei colleghi, di gran parte dei medici e pediatri di base della provincia, colmando inoltre la tradizionale rivalità che un po’ dovunque contrappone igienisti e pediatri.

 

Cercare di lavorare con impegno e trasparenza, negli anni ha suscitato non poche ostilità nei miei confronti soprattutto da parte dei vari superiori di turno, infastiditi da un comportamento che inevitabilmente evidenziava le loro inadempienze. Per limitare i disservizi e i disagi all’utenza, negli ultimi dieci anni ho svolto gran parte delle competenze del mio responsabile di struttura, “suggerendo” inoltre la pianificazione del lavoro a chi ha rivestito l’incarico di Direttore di Dipartimento. Ciò mi ha fatto crescere professionalmente: ho inastaurato stimolanti relazioni di collaborazione a livello locale e nazionale, diventando di fatto il medico di riferimento del mio servizio, mentre l’incarico istituzionale veniva conferito di volta in volta a colleghi fedeli alle solite logiche clientelari.

 

In una di queste circostanze, ho conosciuto un funzionario dell’assessorato regionale alla sanità, che apprezzando il mio impegno mi ha coinvolto in varie iniziative in qualità di referente per la mia Asl: ne è seguita una proficua collaborazione, che mi ha consentito di attivare efficacemente alcuni progetti nazionali e regionali all’interno della mia azienda, collaborazione che però si è interrotta bruscamente per l’inspiegabile trasferimento del funzionario ad altro assessorato, estraneo alle sue competenze professionali.

 

Venuta a conoscenza della palese ingiustizia di cui era stato vittima, gli ho inviato una e-mail di solidarietà in cui lo ringraziavo per il suo impegno in favore della nostra gente, auspicando il pronto reintegro al suo posto. Quando l’ho incontrato alcuni mesi dopo, mi ha ringraziata per la lettera, rivelandomi di tenerla sulla scrivania e di averla riletta più volte nei momenti difficili!

 

Intanto nella mia Asl si verificano una serie di scandali e di casi di malasanità, per i quali vengono indagati e destituiti, nel volgere di due anni, ben tre direttori generali, mentre   quel   funzionario   ben   noto   per   la   sua   competenza   è stato   “scongelato” dall’assessorato dov’era confinato e catapultato alla direzione della mia azienda.

 

Dopo qualche giorno mi convoca affinché gli assicuri la mia collaborazione, confidandomi che, pur consapevole di aver ricevuto un incarico rischioso, si era incoraggiato al pensiero che in quel ambiente così compromesso, almeno c’ero io.

 

Seguono mesi di fitta collaborazione, pur tra le ostilità di un ambiente incancrenito dalle solite logiche. Arriva il momento di rinnovare gli incarichi di responsabile di struttura semplice: come già in precedenza è opinione unanime tra i miei colleghi che l’incarico spetti a me, che di fatto lo svolgo da anni, ma in realtà bisogna fare i conti con le logiche clientelari; anche il direttore generale, di nomina politica, è in difficoltà perché soggetto a forti pressioni. Sento la responsabilità di dire “una parola”, chiedo un appuntamento e con sincero distacco gli comunico che ritengo di avere l’esperienza e la competenza per rivestire quell’incarico, pur sapendo quali siano i criteri di selezione; mi esprime le sue difficoltà, lo ascolto, ma sono serena, ho fatto tutta la mia parte e lo ringrazio comunque.

 

Dopo qualche tempo il mio primario convoca una riunione e davanti ai miei ventidue colleghi mi preannuncia il conferimento del nuovo incarico come riconoscimento del mio impegno e della mia competenza, anche se aggiunge di non gradire il mio “stile di comportamento”! Mi preciserà in seguito che avrebbe voluto nominare un suo fedelissimo, ma che aveva ceduto alle indicazioni del direttore generale poiché non aveva nulla da eccepire sulla mia persona!

 

Leggo negli occhi dei miei colleghi una gioia sincera: è la risposta alla mia disponibilità di tutti questi anni; non appena il primario ed il suo fedelissimo, deluso, si allontanano, mi fanno festa uno per uno con calore. La notizia fa il giro dell’AslL, non accadeva da anni una promozione solo per merito! Ricevo auguri assai significativi: “..non credevo che questo potesse ancora succedere!” e ancora “.. .hai riacceso in me la speranza…”.

 

Inizia dunque questa nuova avventura costellata di ostacoli ed ostruzionismi, ma nella certezza rinnovata che operare per il bene comune, con tenacia e nel silenzio, contribuisce sempre alla costruzione di una società rinnovata».

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