Una banca reale, un sogno collettivo

Esce il libro di Salviato sul primo decennio di Banca Etica.
copertina libro su Banca etica

La sua storia in Italia sta a dimostrare che è possibile una “cultura del fare” intesa nel senso di “fare bene”, con equità, creando lavoro e opportunità di crescita senza esclusioni. Che considera una formidabile risorsa quell’ampia fascia di società che, normalmente, non gode di legami e protezioni lobbistiche e politiche e quindi ha difficile accesso al sistema bancario. Questa possibilità di accedere alla disponibilità di denaro, per persone e aziende, è un bene pubblico che andrebbe tutelato; e, invece, sembra di esclusiva competenza dei sacerdoti della finanza che le cronache recenti ci hanno svelato all’origine di una crisi esplosa proprio dalla gestione disinvolta di alcuni contratti bancari, come i mutui subprime.

 

Nonostante lo scetticismo di tanti, dopo un lungo lavoro collettivo che ha visto l’impegno di migliaia di persone provenienti dal mondo associativo fatto di reti e movimenti attivi nel campo sociale, della pace e dell’ambiente, è sorta una banca che ha superato i dieci anni di vita e si appresta a diventare un modello per una grande Banca Etica a livello europeo.

 

Intervistiamo Fabio Salviato che ha terminato il mandato come presidente di questa originale e rivoluzionaria realtà raccontata in un libro, Ho sognato una banca, scritto dallo stesso Salviato, con una prefazione di Ilvo Diamanti e una postfazione di Stefano Zamagni. In uscita nelle librerie dal 7 aprile, ha già un programma denso di presentazioni in varie città d’Italia. Un percorso di banca, come si dice nella presentazione del testo, «lontani dai riflettori della politica-spettacolo e dai salotti buoni delle grandi famiglie dell’industria e della finanza» da parte di cooperative, associazioni e le organizzazioni non governative che «hanno saputo rispondere in modo creativo e partecipato ai bisogni di milioni di persone, creando opportunità di lavoro e integrazione per giovani emarginati, disabili, disoccupati dalle regioni più isolate e depresse fino alle periferie infinite delle grandi città contemporanee».

 

Un successo che qualcuno ha voluto imitare diversificando solo un settore della propria attività creditizia, cercando nomi più accattivanti e spendibili socialmente, ma la radicalità del progetto di Banca Etica è proprio un’altra storia.

 

Considerando l’origine storica e sociale di tanti istituti di credito in Italia, che bisogno c’era di una banca etica? A quale esigenza ha cercato di dare risposta?

 

«Purtroppo è un fenomeno mondiale il fatto che da oltre dieci anni le banche hanno cessato di fare credito sostenendo l’economia reale, finendo per favorire un mercato finanziario spesso non controllato. Questa è la crisi in cui ci dibattiamo. Una mancanza di fiducia che sta alla radice della scarsità del credito per chi, a partire dalle esigenze sociali, rischia ragionevolmente per il bene comune. Tutto nasce da una diversa gestione nell’uso del denaro. La nostra esperienza ha inciso sul sistema bancario e sulla società civile spingendo a ripensare la responsabilità sociale di tutte le relazioni che si vanno ad intrecciare nel campo finanziario. Un dialogo con le esigenze del territorio che come banca popolare abbiamo visto rinascere in maniera significativa nel campo del credito cooperativo».

 

Di solito le banche hanno soci e azionisti che pesano in maniera decisiva e altri che non hanno affatto voce in capitolo. La vostra sfida è stata quella di dare spazio ad base eterogenea di soci molto attivi, esigenti sul piano della coerenza e provenienti da realtà molto composite. Come si gestisce il dialogo ma anche il conflitto?

 

«La grande fatica di una banca etica cooperativa e popolare consiste proprio nel mettersi in ascolto delle esigenze che vengono dalla società. L’azionista e il socio chiedono continuamente ragione delle scelte compiute rese sempre trasparenti e accessibili a tutti, che è il primo modo per essere coinvolti. Un impegno che evidentemente è stato riconosciuto e premiato se proprio nel pieno della crisi è cresciuto l’interesse verso la finanza etica.

«Abbiamo un’apertura di nuovi conti correnti che registra l’aumento del 30-40 per cento su base annua. Nel 2009, mentre tutte le banche chiudevano i cordoni della borsa e le imprese lamentavano il credit cruch noi abbiamo registrato una crescita del 25% dei finanziamenti concessi. Evidentemente un fenomeno in controtendenza legato anche a quell’economia del terzo settore che ormai raggiunge dimensioni importanti. Ma proprio perché stiamo attenti alle esigenze di un mondo associativo molto attivo e creativo, abbiamo finanziato progetti innovativi nel campo del risparmio energetico e delle energie rinnovabili (eolico, solare, e fotovoltaico). Così come è molto sviluppato tutto quel settore del microcredito che rappresenta uno strumento di lotta contro la povertà dei singoli e delle famiglie».

 

Siete molto conosciuti e apprezzati per il sostegno alle aziende fondate sui terreni strappati alle mafie, ma la vostra intransigenza viene contestata quando denunciate, con la partecipazione alla campagna contro le “banche armate”, la necessità di togliere ossigeno finanziario alle imprese di armi.

 

«A dire il vero cerchiamo di rispettare una legge vigente, la 185 del 90, che è una delle più avanzate in Europa. Ci sembra inconcepibile non prendere atto che molte banche sono al centro del grande fenomeno dell’esportazione delle armi nel modo. Ma abbiamo fatto qualcosa di più. Un nostro studio ha messo in evidenza come il 70 per cento dei fondi di investimento italiani posseggano azioni di aziende direttamente coinvolte nella corsa agli armamenti da quelli leggeri a quelli pesanti. Un criterio sull’uso del denaro depositato nei conti bancari che non può non riguardare ogni singolo correntista e noi come Banca Etica, anche come Fondazione culturale Responsabilità etica, non possiamo non dare il nostro contributo a tutto il sistema finanziario e creditizio in questo campo».

 

E adesso siete ormai proiettati verso il progetto della costruzione di una banca etica europea.

 

«Un volto della globalizzazione è anche la ramificazione internazione di quelle reti sociali che hanno fatto nascere diverse esperienze di banche etiche e alternative che già dal 2001 hanno avvertito l’esigenza di avviare una federazione europea. Un settore quindi già avviato e consolidato da più di 30 anni in alcuni Paesi. Nel continente siamo arrivati per ultimi, dando tuttavia un contributo riconosciuto da tutti tanto che a breve avverrà la trasformazione in Banca Etica Europa, prima banca etica europea cooperativa, con oltre 60 mila soci. Sarà una società europea, di diritto italiano con sede a Padova, e filiali in Francia e Spagna, mentre esistono premesse già consolidate per l’espansione in Germania».

 

 

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