Un risveglio disumano

L'integrazione, nel piccolo Comune alle porte di Roma funzionava. La presenza del C.A.R.A. aveva generato qualcosa di nuovo in paese. L’applicazione del Decreto Sicurezza è giunta senza preavviso.  Sono arrivati dei pullman che hanno cominciato a caricare le persone verso imprecisate destinazioni di altre regioni italiane, dividendo donne, bambini e uomini. Accanto alla disperazione di chi parte, c’è anche quella di un centinaio di cittadini italiani dipendenti della cooperativa Auxilium che gestiva il C.A.R.A e che, con la sua chiusura, si troveranno, senza il dovuto preavviso, disoccupati. Tra loro, anche famiglie intere.

Il fatto è che la presenza del C.A.R.A. a Castelnuovo di Porto, vicino Roma, aveva generato qualcosa di nuovo in paese. C’erano i migranti, va bene, circa cinquecento. Erano persone “richiedenti asilo”, che attendevano, cioè, che una delle commissioni territoriali competenti esaminasse la loro richiesta di protezione internazionale. Molti di loro, per motivi burocratici, arrivavano ad aspettare anche uno, due anni prima di ricevere una risposta. Insomma, per legge, erano da ritenersi delle presenze temporanee ma a Castelnuovo di Porto, quelle persone “diverse” per colore e lingua, alla fine, erano diventate familiari, parte della vita quotidiana del paese.

Così, all’attuale giunta comunale era venuta un’idea: perché non attivare un protocollo d’intesa con il C.A.R.A. e occupare l’attesa degli ospiti, tentando in qualche modo un’integrazione già sul posto?

L’idea era piaciuta, e così, un gruppo di migranti aveva cominciato ad occuparsi del decoro urbano, della cura delle aree verdi. «Se non c’erano loro, lo scorso febbraio, con la nevicata che c’è stata, stavamo ancora qui, a spalare la neve…» ricorda Roberta Cicciola, presidente dei Volontari del Soccorso di Castelnuovo di Porto «Così, ci è venuta l’idea di far partecipare una ventina di persone ospiti del C.A.R.A. al corso “Colonna Mobile Nazionale” con Anpas, il corso base per le emergenze del maltempo, terremoto, e così via. Erano somali, eritrei ma non parlavano volentieri delle loro origini e noi, per rispetto, non chiedevamo. Però, era bello il confronto, quando ci raccontavano di come si affrontavano le calamità nei loro Paesi».

Emanuele Baldelli, presidente del Consiglio comunale di Castelnuovo di Porto, ricorda che, a quel punto, anche le associazioni locali si erano mosse: alcuni ragazzi del C.A.R.A erano entrati a far parte della locale squadra di calcio, la Castelnuovese, e uno di loro, il diciannovenne senegalese Ansou Cissé, ne era diventato il capocannoniere, ruolo che gli era valso il soprannome di “bomber”.

«Non solo lo sport, » ci tiene a precisare Baldelli «per esempio, in occasione del Festival “Castelnuovo fotografia”, alcuni giovani ospiti del C.A.R.A provenienti da Siria, Afghanistan e da  diversi Paesi africani che, durante l’anno, avevano seguito dei laboratori di fotografia, erano stati coinvolti nel progetto “Box 21”, prestando il loro sguardo per ritrarre gli abitanti di questo piccolo comune».

Anche il prof. Moussa Aziz Abdayem, docente di tecniche dell’incisione all’Accademia di Belle arti di Roma, oggi in pensione, aveva socializzato con i giovani migranti, coinvolgendoli nel restauro di antichi strumenti di lavoro, che poi erano affluiti nel locale Museo delle arti e dei mestieri.

«Però, la nostra non è stata solo accoglienza “organizzata”. Insomma, c’era anche quella semplice, quotidiana, della signora che li invitava al bar, per bere insieme un caffè e fare due chiacchiere» spiega il presidente Baldelli.

O come il quotidiano andare dei bambini a scuola.

«Recentemente, erano 14 i bimbi del C.A.R.A., ma non tutti andavano a scuola, perché molto piccoli. La loro presenza nelle nostre scuole è stata un arricchimento, sia per gli altri alunni, che per noi insegnanti. A scuola, le diversità si azzerano. Quest’esperienza multiculturale durava ormai da più di dieci anni. Personalmente, vivo la loro partenza come una specie di lutto» confida Flora De Vivo, insegnante di Castelnuovo di Porto.

Poi, all’improvviso, senza preavviso, – non dovuto, per carità, però… – la mattina del 22 gennaio sono iniziati i trasferimenti dei migranti e la scoperta della decisione del Viminale di chiudere il C.A.R.A.

«A noi non è arrivata nessuna comunicazione, abbiamo scoperto sul web che la convenzione con la cooperativa Auxilium che gestiva il C.A.R.A. non sarebbe stata rinnovata al 31 gennaio.  La Prefettura non era obbligata ad avvisare l’amministrazione comunale ma forse si poteva concertare meglio…» lamenta Baldelli.

Nell’applicazione del Decreto Sicurezza, senza preavviso, sono arrivati i pullman che hanno cominciato a caricare le persone verso imprecisate destinazioni di altre regioni italiane, dividendo donne, bambini e uomini. “Disumano”, è l’aggettivo che è stato usato dai più, modalità da “deportazione”, è stato ripetuto. Spiazzante, tragico, lacerante, se solo si prova ad immedesimarsi nel vissuto di queste persone sopravvissute ai lager della Libia, ai trafficanti, ai marosi del Mediterraneo, alle carrette del mare e chissà cosa nei loro Paesi, che sono partiti nella speranza di una vita migliore, che forse qui, a Castelnuovo di Porto, avevano cominciato a sperimentare, fatta di affetti ricostituiti, relazioni, calore, presenza umana, accoglienza fraterna. Viceversa, i cittadini di Castelnuovo, avevano trovato in loro “amici”, come in molti ripetono, persone di cui prendersi cura, avevano trovato nel confronto la ricchezza di culture lontane, la bellezza del donarsi, come un risveglio. Forse, non avrebbero dovuto, per la natura temporanea del C.A.R.A. “affezionarsi” gli uni agli altri, però è successo, ed è questa l’”integrazione” di Castelnuovo di Porto, quella semplice di chi riconosce nell’altro la comune appartenenza umana, e per questo lo considera amico, fratello, non un “altro” da ignorare o addirittura un pericolo, una minaccia.

Così, il Comune, la parrocchia, la diocesi, il mondo dell’associazionismo, i cittadini, un’intera comunità è scesa in strada, dando vita ad una marcia di protesta silenziosa che prosegue in questi giorni con un presidio davanti al C.A.R.A., dove i volontari del Soccorso raccolgono abbigliamento, valige, beni di prima necessità per i migranti che lasceranno il paese, ultimo presidio di umanità.

Racconta il Presidente Baldelli: «Per adesso, siamo solo riusciti a sapere che i nuclei familiari, circa 50 persone, saranno trasferite in Piemonte, e poi rimane l’incognita per i 19 destinatari di protezione umanitaria che, secondo il Decreto Sicurezza, devono lasciare il C.A.R.A. e che si troveranno d’improvviso senza un tetto sulla testa. Per loro si sta muovendo incredibilmente la solidarietà civile dei cittadini di Castelnuovo e dell’intera Penisola. Abbiamo ricevuto offerte di ospitalità anche dalle Marche, da Matera, addirittura da Varese».

Qualche sera fa, in una delle tende del presidio, le mamme dei compagni di scuola dei bambini costretti a partire, hanno organizzato una festa con torte, maschere di carnevale, per permettere ai loro figli di salutare gli amici.

Accanto alla disperazione di chi parte, c’è anche quella di un centinaio di cittadini italiani dipendenti della cooperativa Auxilium che gestiva il C.A.R.A e che, con la sua chiusura, si troveranno, senza il dovuto preavviso, disoccupati. Tra loro, anche famiglie intere.

Difficile trovare un altro aggettivo adeguato alla situazione. È tutto e soltanto molto disumano.

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