Un patto contro le mafie per uscire dall’ambiguità

Non si può tollerare l’assenza del contrasto alle mafie nel dibattito politico. A 30 anni dalle stragi del 1992 restano troppe pagine oscure mentre la criminalità organizzata perfeziona la sua presenza nel tessuto economico della società italiana.
©LaPresse Archivio Storico 11-05-1988 Varie Nelle Foto : Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

La questione della lotta alle mafie, salvo rare eccezioni, è assente dal dibattito politico prevalente a 30 anni dalle stragi mafiose del 1992. Eppure i dati che le autorità ci consegnano, tracciano un quadro preoccupante. Le mafie, attraverso le proprie articolazioni, hanno permeato in maniera silente e costante segmenti importanti e strategici del tessuto economico e sociale dei territori: appalti, ciclo e smaltimento dei rifiuti, azzardo solo per citarne alcuni. Di fronte a questo contesto, tuttavia, c’è chi minimizza o peggio ancora si volta altrove.

C’è bisogno quindi di un nuovo impegno responsabile per il bene comune per onorare chi, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in nome della difesa della democrazia, ha sacrificato la propria esistenza.

Superata dallo scorrere del tempo quella che venne definita dai media la stagione stragista, perseverano una serie importante di domande che sono senza risposte in merito agli eventi. Esistono ancora a così lunga distanza una serie importante di circostanze mai chiarite. A cominciare dal fatto che sono stati individuati e puniti gli autori materiali delle stragi ma non è seguito l’accertamento della verità circa la responsabilità, anche indiretta, di coloro che progettarono ed ingegnarono quei tragici eventi.

Le lunghe ombre fatte di depistaggi, calunnie e falsità che fin da subito hanno accompagnato le stragi, sono purtroppo ancora tra di noi. Una serie interminabile di avvenimenti, mai chiariti, che hanno gettato, a giusta ragione, sdegno, rabbia e sconcerto e discredito nei confronti di una larga parte di soggetti delle istituzioni.

Gli esempi si sprecano: dalla c.d. ‘trattativa’ Stato mafia ai 57 giorni (l’arco temporale trascorso tra gli attentati di Capaci e via D’Amelio) durante i quali, nonostante le sollecitazioni avanzate da Paolo Borsellino, nessun Magistrato ritenne di udirlo.

La sparizione della famosa ‘agenda rossa’ che il giudice aveva sempre con sé e nella quale annotava i suoi appunti. E ancora: la presenza, accertata dopo parecchio tempo dagli eventi, nei luoghi degli attentati di personaggi appartenenti ai servizi segreti. Una serie di circostanze che restano ambigue al di là degli esiti processuali.

Permane, dopo 30 anni, la validità e l’attualità del metodo di lotta alla mafia pensato ed elaborato dai due magistrati a partire dall’aggressione ai capitali mafiosi. Nonostante le mutazioni genetiche compiute dalle mafie in questi anni, nei quali le consorterie criminali hanno prediletto gli affari alle armi, l’attenzione della politica e delle comunità nei confronti della presenza mafiosa si è tuttavia abbassata e di molto.

Se è vero che dopo il ’92 la repulsione alla violenza mafiosa dette inizio alla rinascita di una fondamentale e condivisa coscienza civile oggi, in questa epoca segnata da diseguaglianze sempre più crescenti, precariato, povertà e guerre alle porte dell’Europa, la questione mafie pare inattuale. Ed è un errore che non possiamo e non dobbiamo assolutamente commettere. La presenza delle mafie, di ogni ordine e grado, rappresenta un furto di democrazia e di futuro per le giovani generazioni che pagheranno un conto altissimo in termini ambientali, di lavoro e di prosperità.

Per uscire da ogni retorica è necessario, perciò, un rinnovato senso civico, un patto tra le generazioni che abbia come denominatore comune la repulsione assoluta nei confronti delle mafie.

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