Un parricida dentro la gabbia di Tebe

"Tebas Land", del drammaturgo franco-uruguaiano Sergio Blanco, ha come tema centrale la figura reale, letteraria, mitologica e psicoanalitica del parricida, un'opera ispirata al mito leggendario di Edipo, alla vita del martire san Martino e a un fatto di cronaca giudiziaria. Allo Spazio Diamante di Roma

Ci sono un regista e un ragazzo parricida, che sono anche un drammaturgo e un attore. Entrambi entrano ed escono, di continuo, dal ruolo d’interprete e di personaggio per assumere, appunto, i panni di un commediografo (che si rivolge anche al pubblico illustrando le sue azioni e i suoi pensieri) e di un giovane attore selezionato per una parte. Sono collocati in un unico luogo con doppia funzione: uno spazio-prove e il campo di basket di una prigione. Per rendere ancor più intrigante l’interesse per Tebas Land, aggiungiamo che l’autore della commedia in questione si chiama Sergio Blanco, drammaturgo, regista e attore franco-uruguaiano, di geniale inventiva per un’abilità di scrittura basata sull’auto-finzione.

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Persone e personaggi, vita reale e vita romanzata, infatti, si alternano nelle sue narrazioni come in un sistema di scatole cinesi, che ci spostano da ciò che è a ciò che potrebbe essere o potrebbe essere stato. Nei suoi testi il lettore/spettatore è continuamente indotto a chiedersi se ciò che legge o vede rappresentato, è accaduto realmente; se il luogo in cui ci conduce esista veramente; se i fatti e le esperienze che egli ci racconta sono autobiografici oppure no. Si può rappresentare la realtà, la verità, sul palcoscenico? Pirandello docet. Blanco parla del suo processo creativo e del suo teatro come di una «finzione reale»; e ancora: «Non è la mia vita, ma non è una menzogna». Insomma, apre molte domande e dà poche risposte.

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In Tebas Land (Terra di Tebe), egli manipola, con cognizione di causa, temi d’attualità e miti, realtà e fantasia, letteratura e psicologia, autobiografia e immaginazione, dramma e divertimento, aggiungendo la musica di Mozart e degli U2. Ed è proprio questo coltissimo maneggiare materiali così diversi – dove, fra il resto, troviamo riferimenti e rimandi a Pirandello, Sofocle, Freud, Genet, Dostoevskij –, sapendoli fondere con un’originale scrittura che spiazza lo spettatore incollandolo alla poltrona. Va dato merito, ancora una volta, alla compagnia Pupi e Fresedde di Firenze, ovvero Angelo Savelli e Giancarlo Mordini, aver scoperto per primi in Italia – come è già successo con altri autori stranieri – l’affermato artista uruguaiano, e messo in scena questo testo: prima produzione in italiano di uno dei suoi lavori più noti e rappresentati.

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La trama di Tebas Land verte su un professore drammaturgo, di nome S. (Sergio, nome dell’autore?), deciso a realizzare una pièce teatrale ispirata a un fatto di cronaca nera. La sua ricerca per la stesura del testo si basa sui colloqui e la testimonianza diretta col parricida, di nome Martìn Santos (con riferimento al Santo del IV secolo), che egli incontra sistematicamente in carcere dove sta scontando la pena per aver ucciso brutalmente il padre violento. L’intenzione è far recitare la parte proprio al giovane il quale manifesta entusiasmo per la possibilità offertagli, ma gli è rifiutato il permesso di uscire dalla prigione. Il fatto costringe il regista a scegliere un attore – Federico il suo nome – che impersoni l’assassino. L’attenzione, quindi, si sposta gradualmente dalla ricostruzione del crimine alla rappresentazione scenica degli incontri di prova tra i personaggi. Nell’intersecarsi dei diversi piani d’immedesimazione s’innescano così altre dinamiche relazionali fra i due. Comprensibile immaginare che dal mutevole confronto, dall’accresciuta conoscenza, dallo sgretolarsi delle difese, dagli svelamenti, dal sottile, ambiguo gioco tra potere e seduzione, possano subentrare sentimenti inaspettati, ribaltamenti di sensibilità, identificazioni spiazzanti (padre e figlio, allievo e mentore, confidente e amante). Quando nel finale, abbracciandosi, si separeranno definitivamente – la scena ideata da Savelli prevede l’allontanarsi del professore verso la platea vuota del teatro mentre si colora di rosso, e il detenuto in piedi dentro la cella con un libro in mano –, udremo la voce dell’uomo descrivere il lascito che, inconsapevolmente, avrà trasmesso al giovane: «Quando poi sono entrato in uno dei padiglioni, mi sono girato e da una finestra l’ho visto dentro la sua gabbia. Aveva acceso il suo tablet. Aveva scelto il Concerto per piano n.21 in Do maggiore di Mozart». E subito dopo: «…D’un tratto potei vedere le sue labbra che si muovevano lentamente. Allora ho capito che aveva cominciato a leggere qualcosa. Mi è sempre rimasto il dubbio di sapere cosa stesse leggendo». Noi invece lo sappiamo, dato che, mentre riecheggiano le note di With or without you degli U2, udiamo la sua voce scandire le parole dell’Edipo re di Sofocle. Perché la commedia di Blanco fa del protagonista un Edipo di oggi al quale la musica e la lettura regalano una speranza di redenzione.

Diretti dalla sapiente regia di Angelo Savelli (autore anche della traduzione), sono di encomiabile bravura, di perfetta calibratura nei tempi, e di misurato equilibrio nella crescente tensione emotiva, il maturo Ciro Masella e il giovane Samuele Picchi. Vicino agli spettatori disposti sul palcoscenico, muovendosi dentro l’alta gabbia metallica della prigione e, fuori di essa, tra un tavolo pieno di libri e una lavagna, i due attori sono pienamente credibili ed efficaci soprattutto nel discontinuo e non facile confondere finzione e realtà, variando toni e fisicità nell’alternare reticenza e complicità, empatia e distacco, slancio e timidezza. Una bella, intensa, prova d’attore.

“Tebas land”, di Sergio Blanco, traduzione, scene, costumi e regia Angelo Savelli, con Ciro Masella e Samuele Picchi, assistente e figurante Pietro Grossi
, luci Henry Banzi
, allestimento scena Lorenzo Belli, Amedeo Borelli
. Produzione Pupi e Fresedde – Teatro di Rifredi, Centro di Produzione Teatrale. A Roma, Spazio Diamante, dal 20 al 23/2, e dal 27/2 al 1/3.

 

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